2º Capitolo

591 34 27
                                    

Blue blood - 2º Capitolo.

Blue blood.

I latrati della luce solare perforarono i vetri cristallini dei balconi posti dinnanzi al letto matrimoniale di Harold. Il ragazzino, costretto dai fasci di luce splendenti, mugugnò una coda di parole volgari e ciò gli costrinse a sollevare le palpebre, la luce lo svegliò nella parte migliore del suo sogno. Non c'erano dubbi, era un mattiniero nato. Si scostò di dosso delle pile di lenzuola e si sedette sul letto, poi Morfeo lo rapì.

«Harold, Harold!», una voce di ragazza strillò il suo nome ed a questi urletti si susseguirono anche dei battiti di nocche sulla superficie di legno liscia della porta. Esausto, assonnato e stanco, con una forza immane si sollevò dal letto e dimenticandosi della sua nudità che per lui era più che normale, andò ad aprire con nonchalance, appoggiandosi di peso allo stipite della porta.
«Sì?», la sua voce era impastata e roca per via del sonno. Si spassò gli indici sulle palpebre e le stropicciò. La ragazza, dall'altro lato restò a bocca asciutta: gli osservò con occhi curiosi il costato, le spalle e le braccia, poi scese più giù con la coda dell'occhio. Le sue pupille si dilatarono e gli venne un colpo al cuore, perse qualche battito, sicuramente. Le guance le si colorarono di un'amarena lievemente sfumato e gli occhi color nocciola quasi non le uscivano dalle orbite, risollevò il viso come se avesse appena visto un fantasma. Tossicchiò, e si girò di scatto, dandogli le spalle. Probabilmente per lei era la prima che vedeva un'erezione, per lo più mattutina. Si tamponò le guance e scosse il capo, la sua chioma ondulata seguiva i movimenti dettati dal suo imbarazzo.
«Louis la sta aspettando giù», disse tutto d'un fiato e scomparve via, nel nulla. Harry annuì e richiuse la porta lievemente perplesso per l'atteggiamento della ragazza.

***

«Harold, buon giorno!», fu accolto nella sala da un caloroso Louis, che fremeva di vederlo. Harry fece un guizzo con le labbra, avvicinandosi a lui con passo sostenuto. «Buon giorno a lei.» Sospirò lui, prendendo posto al tavolo, si sedette di fronte a lui con la schiena diritta e rigida, come una corda di violino. Voleva sembrare all'altezza, voleva somigliare ad un nobile. La ragazza di prima passò come un soffio di brezza dinnanzi a loro, e posò sul tavolo un vassoio in argento contenete delle brioches. Harry la salutò, ma lei non ricambiò. Fece un segno con il capo a Louis con le goti avvampane e scomparì, di nuovo.
«Non capisco che le ho fatto», sbuffò Harry roteando gli occhi.
«In che senso?» domandò Louis, accennando un sorriso dolce.
«Stamattina mi è venuta a svegliare, mi ha dato le spalle e poi è scomparsa. Non capisco, sono davvero così brutto?», disse a bassa voce, con un filo di malinconia nelle parole.
Louis corrugò la fronte ed inarcò un sopracciglio. «Josephine!», invocò quel nome ad alta voce, lo urlò. E la ragazza dai capelli ondulati si presentò come la luce davanti ai suoi occhi. La ragazza evitò il contatto visivo con gli occhi di Harry, ma osservò Louis con il capo chinato, in segno di rispetto.
«Josephine, cosa pensa lei di Harold?», le domandò con tono puntiglioso, aspettandosi una risposta.
«Nulla, perché questa domanda, Monsieur?» l'osservò lievemente sbalordita. Harry osservò la scena in terza persone, sembrava di guardare uno spettacolo teatrale.
«Harold afferma che lei non lo degna di uno sguardo e tende sempre ad evitarlo»
«E che io...»
«E che lei cosa?»
«Ero in imbarazzo»
«Perché era in imbarazzo?»

Harold picchietto i polpastrelli sul tavolo, se avesse potuto si sarebbe messo le mani in viso. Era stufo di quel quarto grado, si sentiva escluso.

«Era nudo», non finì nemmeno di terminare quella frase che chinò il capo in avanti, e si divorò le punte delle scarpe. Louis alternò uno sguardo tra la ragazza ed Harry, e si morse il labbro inferiore.
«Puoi andare Josephine.»

La ragazza sparì.

«Le hai aperto la porta nudo?», si trattenne delle risate altrimenti la brioche gli sarebbe andata di traverso. Harold lo guardò con aria interrogativa, per lui era più che normale.
«Cosa c'è di strano? Ho sempre dormito così, qui non è così?»
Louis congiunse la mani e gli fece un cenno di no con la testa, scuotendola. Harry restò in silenzio, ora le guance folgorate dall'imbarazzo le aveva lui.

***
I giardini della reggia di Louis erano immensi, proprio come il suo cuore ed i suoi occhi. Erano tagliati in modo preciso, ogni singolo filo di erba era perfetto, ed erano abbelliti da delle piccole gocce di rugiada che riflettevano la luce del sole ed allora sembravano piccoli cristalli preziosi. Harry era seduto su una panca, con le gambe accavallate ed osservava Louis come si destreggiava libero, come una farfalla nel suo piccolo roseto. Colse una rosa, la più bella, la più rossa con le proprie mani, noncurante delle spine. Sapeva che il fiore non gli avrebbe mai fatto del male di proposito, si fidava dei fiori, si fidava delle cose che gli appartenevano, ed il colore del gambo si miscelò con il colore del sangue di Louis, quella rosa brillava di vitalità, passione, lussuria ed amore. Rosso. Era fiero del suo piccolo raccolto, e con orgoglio la porse ad Harry, ma quest'ultimo guardò perplesso il gambo verde di quel fiore così particolare, ma il modo in cui Louis gliela porse, come se fosse un trofeo, accompagnato da un: «e per te» sussurrato a bassa voce, senza farsi sentire da nessuno, solo dalla rosa che acquistò più bellezza grazie a quelle parole. Harry la prese tra le mani, delicatamente, non la strinse la guardò semplicemente.
«Quanti anni hai, Harry?»
Louis prese posto accanto al suo fanciullo.
«Quindici», si morsicò l'interno liscio e delicato della guancia.
«Sei così giovane», osservò Louis, sorpreso.
Harry odiava quando si parlava di lui, odiava essere il soggetto delle discussioni, perché non si sentiva all'altezza, allora, deviò il discorso, ponendo l'attenzione su Louis.
«E lei? Quanti anni ha?»
Sembrò pensarci, prima di sputare un numero.
«Trentacinque», si lasciò cullare dal dolce sfiorare del vento che gli accarezzava con piccoli soffi la pelle rosea e candida del viso.
Harry non fiatò.
«Penso che dovresti andare a casa, avvertire la tua famiglia. Saranno in pensiero per te», suggerì Louis ed Harry annuì, si alzò di scatto e seguì il consiglio di Louis.
«Ritorna appena il sole tramonta, sarò qui ad aspettarti».

Harry entrò nella reggia, salì le scale ed andò in camera 'sua', si vestì come un semplice ragazzino di Parigi, prese i suoi soldi e a grandi falcate scese le scale. Notò che sul tavolo vi erano ancora delle brioches, non ci pensò su, se ne infilò un paio sotto alla maglietta, e andò via da lì.

***

I viali di Parigi erano sempre così, vi era un flusso di persone e venditori ovunque. Parigi, la sua Parigi. Si infilò in qualche vico, svoltò per un paio di volte e trovò il monolocale dove alloggiava la sua famiglia, composta da sua madre e sua sorella.
«Sono a casa», entrò e vide sua sorella seduta a cucire degli abiti con accanto sua madre. Posò le brioches sul tavolo in pietra, e sua sorella, nemmeno lo salutò, si alzò di scatto dalla sedia e corse veloce al tavolo, fiondandosi sulle paste. Afferrò incredula una brioche e la spezzò, l'annusò e quel profumo dolciastro le inebriò le narici. «E ciò che mangiano i nobili!» sbottò lei, ed addentò quella pasta che le si sciolse completamente in bocca. Aveva lo stesso viso di chi stava nel Sahara ed aveva trovato un'oasi.
«È buona, Gemma?» domandò Harry ironicamente, senza aver risposta. Prese una pasta e la portò alla madre, che accettò con piacere. Lasciò sul tavolo il gruzzoletto di soldi ed andò a sedersi accanto alla madre.
«Dove sei stato?», la voce di Gemma era leggermente preoccupata.
«Ho trovato un piccolo lavoro», mentì.
«Capisco, e le brioches? Dove le hai comprate?»
«Gemma, smettila», intervenne Anne, sua madre, ed Harry tirò un sospiro di sollievo.
«Non preoccupatevi di me, io sto bene», sussurrò il maschio di casa. Parlarono del più e del meno, delle nuove conoscenze di Gemma, finché: «Vorrei restare, ma ora devo andare. Ciao mamma, ciao Gemma», detto fatto. Harry era già tra i viali di Parigi, con passò svelto si immerse tra la sua gente e poi proseguì per la reggia di Louis. Il sole ora stava calando dal cielo, ed Harry col fiatone era appena arrivato al giardino di Louis, dove gli aveva dato appuntamento. Lui era seduto sulla panca con accanto un uomo. Anziano, forse era suo padre. Discutevano animatamente, lui voltò il capo, come offeso. Ma il padre insisteva, chissà su cosa. Poi, il più anziano dei due lasciò il posto, andandosene chissà dove. Dopo pochi secondi, Harry ricoprì quel posto che era stato lasciato.
«Ti ho detto di andartene!» urlò un Louis ferito e furioso, di spalle.
«Sono Harold», mormorò a bassa voce il riccio appoggiandogli una mano sulla spalla.
«Scusami... Harry, pensavo fossi mio padre», spiegò Louis.
«Perché stavate discutendo?», disegnò figure astratte sulla sua clavicola. Il petto di Louis si alzò e s'abbasso, aveva gli occhi chiusi. Stava trattenendo le lacrime.
«Louis», bisbigliò preoccupato.
«Vuole che mi sposi per affari, Eleanor, il suo nome è Eleanor», il fiato di Louis tremava, singhiozzava. La sua voce era spezzata, e gli occhi di Harry sbarrati. L'oceano degli occhi di Louis stava scivolando via assieme alle sue lacrime. Lui non l'accettava. Lui non lo voleva, no. Non poteva sposarsi per affari, era un'offesa per i suoi valori morali, Harry non l'avrebbe permesso, l'avrebbe aiutato.



(Scusatemi per gli errori grammaticali! Ho scritto dal cellulare...)

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: Apr 19, 2014 ⏰

Aggiungi questa storia alla tua Biblioteca per ricevere una notifica quando verrà pubblicata la prossima parte!

It's blue bloodDove le storie prendono vita. Scoprilo ora