пять

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Secondo la legislazione dei lupi, ledere in alcun modo ad una creatura gravida può e porterà sempre soltanto verso una sola condanna: quella alla pena capitale.
Nessuno, neppure il diavolo, avrebbe potuto salvare il figlio di uno dei più potenti uomini d'affare del paese, seppur disponesse di una fortuna capace di comprare buona parte dei gioielli della corona - che comunque non avrebbe gettato al vento per una causa già persa.

Il padre della creatura a cui Jonathan stava per dare la vita, sarebbe stato crocifisso in pubblica piazza.

Nonostante la condanna, Jonathan non riusciva a sentirsi sollevato, ricordando in ogni suo dettaglio Seth, intossicato dall'alcol, giungere nelle sue stanze.
Era da sempre stato il suo preferito, poiché Seth si sentiva estremamente potente nel dominare qualcuno di così virile. A differenza della maggior parte degli Omega, Jonathan era riuscito a trovare un impiego come bracciante, scolpendo il suo corpo al volere della natura, fin dai suoi tredici anni, desiderando aiutare con ogni mezzo la sua famiglia. Divenne forte: le spalle delle creature leggendarie che si diceva abitassero gli oceani, la pelle del volto bruciata dalle troppe ore esposto al sole, pur col suo fidato cappello di tela, le mani callose.
Seth, un misogino come pochi ne erano esistiti al mondo, aveva faticato tanto a trovarlo e, dopo averlo fatto sedare e trasportare in una delle numerose ville del suo papà, non aveva perso tempo per usare il suo prezioso giocattolo.
I polsi erano legati alla testiera del letto, mentre le caviglie erano sapientemente strette alle cosce, imprendendo all'allora ventiduenne qualsiasi libertà di movimento, mentre il suo corpo veniva abusato.
Picchiarlo era diventato per Seth una coccola irrinunciabile, dopo dei così dolci e macchinosi amplessi, ma, fato volle, non perse quell'abitudine nel momento meno indicato per farlo: la ventunesima settimana di gravidanza dell'Omega favorito, quello a cui aveva lasciato la stanza più grande e le cicatrici più profonde.

Quella sera, Jonathan era rimasto solo, come spesso accadeva e, piuttosto che rimanere sdraiato a far nulla, aveva preso a girare per la casa, nell'area harem, riservata agli amanti del suo padrone, come piaceva farsi chiamare lui.
Per sua sfortuna, solo una creatura sembrava sopportarlo, in quella casa così grande, ma troppo poco era il tempo che il suo angelo poteva concedergli e l'altro doveva accontentarsi della compagnia degli altri Omega, che  però proprio non riuscivano a sopportarlo.
Jonathan aveva delle stanze private, quando spesso tre o quattro di loro, erano sistemati come animali in una stessa minuscola camera, sperando di rimanere gravidi al più presto, per ottenere il favore del loro padrone. Eppure no, pure questo era toccato a Jonathan, e con lui pure la creatura nel suo grembo era guardata con disprezzo.

In quel momento, però, nessuno sembrava essere in casa, se non qualche cameriere solitario che si aggirava per i corridoi tutto trafelato, non prestando la minima attenzione a lui. All'inizio pochi avevano capito fosse un Omega, vista la sua stazza, e questo aveva portato in lui un moto d'orgoglio, per poi rendersi conto che - nonostante l'aspetto esteriore fosse quello di qualcuno superiore a lui, nella società - lui era un'analfabeta.
Gli Omega con una buona istruzione si potevano contare sulle dita di una mano, nati da intrighi di palazzo o da scherzi del destino, nonostante tutto fortunati, se i genitori non avessero deciso di abbandonarli in mezzo alla strada.

Sfruttava il suo tempo cercando di crearsi un'istruzione di base, ascoltando le signore che pulivano le sue stanze parlare, oppure chiedendo a qualcuno di leggergli il giornale, mentre cercava disperatamente di imparare a farlo pure lui.
Voleva realizzarsi, lasciando da parte l'amore, che considerava una cosa meravigliosa, sì, ma molto lontana dalla sua persona - o almeno, così credeva.

La sera, quella giornata d'autunno, era giunta più rapidamente di quanto Jonathan s'aspettasse, mentre osservava dalle grandi vetrate della sala da pranzo i grandi abeti che punteggiavano il bosco intorno alla tenuta, di un verde tendente al nero, come se un pittore sbadato non avesse pulito con accuratezza il pennello, una volta deciso di cambiare colore.
Tornò nelle sue stanze con tranquillità, solo il suo respiro ed il rumore dei suoi passi a risuonare in quei corridoi vuoti.
Quello era forse il ricordo più limpido di quella serata, la placidità con la quale era passata, quieta, prima della tempesta.

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