Anathema - La Maledizione dell'Angelo

Uno - cenere tra le ceneri

UNO

CENERE TRA LE CENERI

Era un'immagine ricorrente.

Mar vedeva se stessa, con i capelli rossi legati in una coda stretta e un sorriso indecifrabile sulle labbra, che affondava un coltello in qualcosa di duro e freddo, come pietra. Ogni volta che lo faceva, iniziava a perdere sangue dal naso e dalle orecchie, poi affogava fino a non respirare più.

Quel giorno, però, lo scenario era diverso. Si trovava in piedi circondata da buio e nient'altro. Fin dove il suo sguardo riusciva ad arrivare, vedeva solo vuoto; una compatta distesa di nulla che sembrava il susseguirsi costante di pareti di vetro e specchi che riflettevano se stessi all'infinito. In essi, però, Mar non riusciva a vedere se stessa: vi si rifletteva, nonostante l'oscurità, una luce densa e calda, come di fiamme e scintille.

Allungò, quasi fosse stata in trance, una mano verso la superficie traslucida della sua prigione, e quando il suo polpastrello vi entrò in contatto sembrò non succedere nulla. Avvertì solo un lieve pizzicore a fior di pelle, come si fosse punta con uno spillo, e si ritrasse d'istinto, arretrando di qualche passo.

Máiread...

Il vetro sembrò percepire il brivido che la sconquassò da capo a piedi quando, nelle orecchie, sentì il sibilo del suo nome: venne scosso da una serie di rumori leggeri, secchi e crepitanti che le fecero intuire che la parete si fosse incrinata. Con sguardo abbacinato, Mar si voltò per cercare la sorgente di quella voce. Non trovò altro che fiamme ad illuminarle lo sguardo freddo, così alte che dovette alzare gli occhi per scorgerne la fine.
Strinse le palpebre, le spalle scosse dai tremiti di un freddo che non c'era, e caracollò più vicino possibile al fuoco.

Lì, in mezzo alla distesa divorata da quell'energia distruttrice e inarrestabile, vide una donna dai capelli rossi. Teneva la testa alta e sorrideva con fierezza, quasi con sfida, lo sguardo scuro puntato nella direzione di Mar. La riconobbe quasi immediatamente come sua madre. Nonostante si trovasse tra le fiamme, pareva che neanche che la sfiorassero. Sembravano, più che altro, un ostacolo frapposto tra la vittima e il suo carnefice.

Tra la vittima e il carnefice.

In quel momento, Mar capì esattamente ciò che doveva fare. Il pugnale si materializzò nelle sue mani nel momento in cui, imperturbabile, attraversò il fuoco per raggiungere Seraphine. E allora, sorridendo, lo affondò senza esitazione nel suo petto. Per qualche attimo, non successe nulla. Poi estrasse con decisione la lama dalla carne della madre, e lei la guardò come se si fosse aspettata sin dall'inizio il gesto della figlia. Come se avesse saputo cosa Máiread era venuta a fare. A poco a poco, i suoi occhi persero la loro luce, e con un fiotto di sangue scuro a rigarle il mento e le labbra, Seraphine si accasciò tra le fiamme come una marionetta cui fossero stati recisi i fili all'improvviso.

Allora, Mar lasciò andare il pugnale, a corto di fiato, e venne percossa da uno spasmo violento. Non riuscì nemmeno a urlare, la gola serrata e il corpo rigido come una lastra di marmo.
Il dolore fu così intenso e improvviso da mozzarle il fiato in gola, svuotandole il polmoni. Boccheggiò, crollando in ginocchio e fissando il fumo denso e nero che le riempiva il naso, la bocca secca e gli occhi appannati di lacrime. Provò ancora a urlare, ma dalle sue labbra non usciva che un suono roco, stridulo e secco che tanto assomigliava al crepitìo delle fiamme. Si sentiva ardere, sentiva il fuoco corroderle il sangue e la pelle.

Poco prima di diventare cenere, venne accecata da un brillante color perla, tanto intenso che, in mezzo a quell'inferno rosso e nero, non avrebbe mai potuto ignorarlo. Era un abbagliante fuoco opalescente, intenso e ipnotico, ammaliante, tanto che quasi non si accorse del momento in cui, tra fiamme, polvere e fumo, comparvero due ali di un colore che tanto assomigliava a quello del sangue e del fuoco.