3. Let's see what you can do

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Il weekend è passato più velocemente di quanto pensassi, tra le mille domande di Abbey su come andava a lavoro e su quando avrei ripreso gli studi.
Avevo totalmente smesso di pensare all'iniziare l'università durante questa settimana, il che non è neanche male dato che era un pensiero che mi assillava da mesi.
Mi sono svegliata una ventina di minuti prima del solito per poter fare colazione a casa tranquillamente, quando sento dei passi e vedo Abbey uscire da camera sua tutta vestita bene: dove deve andare oggi?
"Sorpresa oggi ti accompagno a lavoro" esulta con un sorriso stampato sulle labbra.
"Non ce n'è bisogno, tranquilla."
"Dico davvero, voglio vedere dove lavori così posso passarti a trovare ogni tanto. Non avrai mica paura che ti caccino per assumere me?" Ride e si avvicina al frigo per cercare qualcosa da mangiare.
Alla sua battuta mi sfugge una risatina tesa, a cui non sembra fare molto caso.
Non volevo venisse troppo a contatto con il bar, soprattutto con la gente che c'era dentro. L'ultima cosa che voglio è portarla in mezzo a tutto questo casino.
"Vatti a vestire o farai ritardo e darai sicuramente la colpa a me" ammette ridacchiando, così faccio come mi dice.
Mi metto un jeans blu chiaro e una camicia bianca.
In un attimo siamo già sotto che ci incamminiamo verso  il bar.
Camminiamo una di fianco all'altra, Abbey di solito parla molto ma ora sta in silenzio e tiene la testa bassa a guardarsi le punte dei piedi, finché non alza di colpo la testa e rompe quello strano silenzio.
"Oggi vado a prendere il modulo per provare ad iscrivermi all'università"
Un leggero fumo bianco esce dalle sue labbra mentre parla, è l'unica cosa su cui riesco a concentrarmi.
Gira la testa puntando il suo sguardo su di me, annuisco leggermente.
"Buona fortuna allora" sussurro accennando un sorriso.
"Tu cosa pensi di fare, sai, della tua vita? Lo so che hai appena iniziato a lavorare lì, ma come puoi accontentarti di un bar quando potresti arrivare molto più in alto?"
Il suo sguardo fisso su di me inizia a mettermi a disagio. Dal suo tono di voce si capisce che lo sta dicendo per il mio bene, ma come posso dirle che io da questo lavoro non me ne posso andare?
"Ci penserò" un altro sussurro.
Lo sguardo di Abbey torna dritto sulla strada.
"Se non ti iscrivi quest'anno non puoi entrare nei corsi di settembre. Prima invii il modulo e più è probabile essere accettati..."
"So come funziona" la interrompo bruscamente.
Avevamo intenzione di andare alla stessa università, il che significherebbe doversi trasferire e andare a vivere dentro il campus. Le iscrizioni sarebbero state aperte da gennaio a marzo e l'anno scolastico sarebbe iniziato a settembre.
Forse ha ragione, mi è sembrato che ci fosse una marea di tempo, ma in realtà ho ancora un mesetto per mandare il modulo.
"Scusa non volevo innervosirti" la sua voce ora è molto più calma. "Cambiando discorso, siamo quasi arrivate? Ci sarà già qualcuno dei tuoi colleghi?"
"Si, siamo quasi arrivate. E no, non penso ci sarà qualcuno dei miei... colleghi"
il doverli chiamare così davanti a lei mi faceva quasi impressione, sono tutto tranne che colleghi per me.
Dopo poco raggiungiamo il bar, la sua espressione è tutto tranne che convinta.
"Me lo facevo un po' diverso, ma immagino che dentro sarà molto più accogliente" ridacchia, ma io penso lo stia dicendo per non farmici rimanere male.
Annuisco mentre mi dirigo sul retro ad aprire seguita da Abbey.
Appena entrate lei si fa qualche giretto su e giù tra i tavolini mentre io tiro su le serrande e giro il cartellino "aperto" sulla porta.
"Che te ne pare?" Chiedo guardandomi attorno.
"Penso che sei vestita troppo elegante per un posto simile" ammette ridendo.
"Non posso sicuramente venire a lavorare in pigiama" rispondo scuotendo la testa ridacchiando, per poi andare dietro al bancone.
Il suo sguardo si ferma su un punto indefinito e la sua faccia è stranamente sconvolta. Il mio primo pensiero è che ci siano di nuovo bottiglie rotte o sangue spalmato da qualche parte, ma viene stroncato subito.
"Vendete alcool qui nel bar?"
Mi giro verso le mensole piene di bottiglie attaccate sul muro alle mie spalle per poi rigirarmi verso di lei e annuire.
"Dovresti portare un po' a casa almeno abbiamo qualcosa per accompagnare i film tristi che guardiamo la sera" ride.
Non capisco come faccia a scherzare continuamente e strapparmi sempre una risata.
"Lo sai che non posso"
"Beh, all'università non possiamo più fare queste cavolate quindi meglio farle ora"
Scuoto la testa, doveva sempre tirare in ballo l'università?
"Scusate l'interruzione" dice Jay entrando nel bar ridacchiando seguito da Suga.
"Buongiorno, siete i colleghi di Madison?" Abbey li guarda sorridente.
"Ti ha parlato di noi?" Chiede Suga alzando un sopracciglio.
"In realtà non mi parla mai di niente" fa spallucce.
"Eravate arrivati da tanto?" Chiedo prendendo un panno e iniziando a passarlo sul bancone.
"Non da troppo, ma da abbastanza" ammette Suga con uno strano sorrisetto stampato in faccia.
Tengo lo sguardo puntato sul bancone. Non ho voglia di dargli corda, sicuramente erano appena arrivati e lo dice solo per mettermi in ansia.
"Ti fermi a prendere qualcosa?" Chiedo ad Abbey che era presa a guardare l'orario sullo schermo del telefono.
"No preferisco iniziare ad avviarmi, magari passo dopo. A proposito, prenderò un modulo anche per te, nel caso ti decidessi." Dice mentre infila il telefono in borsa.
Alla sua frase Suga e Jay fanno una faccia strana e mi guardano incuriositi.
"Lascia perdere, non è necessario"
Abbey sospira, e prima di uscire saluta i due.
Poco dopo anche Jay esce dicendo di avere degli impegni, lasciandomi sola nel bar con il ragazzo coi capelli bianchi.
La mattinata passa abbastanza velocemente, mentre io servo i clienti Suga resta seduto ad un tavolo guardandosi attorno.
L'ultimo cliente esce lasciando il bar vuoto, così mi metto a pulire alcune tazzine nel lavandino.
"Quindi bevi?" Rompe il silenzio guardandomi stranito.
"Non ho mai bevuto, e tu non dovresti stare ad origliare." Non alzo lo sguardo dal lavandino.
"Guarda me mentre rispondi" il solito tono di sfida. Stava seduto comodo sulla sedia, i piedi sul tavolo e quello strano mezzo sorrisetto stampato in faccia.
Alzo lo sguardo su di lui.
"Non ho mai bevuto" spero solo che i miei occhi o la mia postura non tradiscano le mie parole. Mai è un parolone, diciamo che non è una cosa abituale ma è capitato.
"Bugiarda, non fare l'angioletto"
È stato immediato, non ha pensato neanche un secondo prima di aprire bocca. L'idea che potesse inquadrarmi così velocemente mi metteva i brividi. Abbasso di nuovo lo sguardo sul lavandino.
"Se ti spaventa questo, cosa farai quando ti troverai qualcuno di un altro giro davanti? Lo sapevo che saresti stata solo un peso" Scuote la testa lasciandola poi andare indietro.
"Io mi occupo del bar, non voglio essere tirata in mezzo alle litigate tra voi e i vostri amichetti attacca brighe " il mio tono è suonato molto più acido di quanto volessi.
"Ma ti sei vista? Sei già in mezzo"
Si alza e viene verso il bancone.
Solo ora sto realizzando quanto mi spaventi. Sono abituata ad avere sempre tutto sotto controllo, ma in lui c'è qualcosa di imprevedibile su cui non posso avere la meglio.
Appoggio le mani sul bordo del lavandino.
Arriva davanti al bancone e tira fuori dalla tasca un coltello a scatto, aprendolo e iniziando a farselo girare tra le dita.
"Tu ti occupi solo del bar e io sono solo uno stupido attacca brighe che entra quando nel bar ci sei solo tu. Ti chiedo dove sono quelli del giro, cosa fai?"
Nel suo sguardo c'è qualcosa di malato. Una pazzia inquietante che sembra nutrirsi della paura degli altri.
Non sembrano neanche gli occhi che ho visto l'altro giorno.
"Gli dico che non ci siete, di tornare più tardi."
Cerco di restare più composta e sicura possibile, ma sento che potrei scoppiare in lacrime da un momento all'altro per la pressione.
"Poco credibile, stai tremando"
Abbasso lo sguardo sulle mie mani che non sembrano voler stare ferme, così stringo forte il bordo del lavandino per fermarle.
Fa il giro del bancone facendosi girare il coltello tra le mani, anche se non lo seguo con lo sguardo so che è dietro di me.
"Vediamo che sai fare"
Ora ho davvero paura. Jay e Dave, gli unici che potrebbero rimetterlo in riga, sono via ed il bar è vuoto.
Mi giro velocemente per allontanarmi da lui, ma non abbastanza.
I polsi stretti dietro la schiena bloccati da una sua mano, l'altra tiene il coltello contro il mio collo.
"Troppo lenta" sussurra da sopra la mia spalla con un ghigno stampato in faccia.
Deglutisco, sentendo la lama fredda puntata sulla gola e gli occhi gonfiarsi di lacrime.
È tutto assurdo, perché proprio io in una situazione del genere?
Una lacrima scende attraversandomi la guancia. Appoggia la lama di piatto sotto il mio mento facendolo alzare verso di lui, i nostri nasi si sfiorano.
Questa vicinanza mi terrorizza, ma non sento più le gambe o le mani tremare.
In più da così vicino posso notare nuovi lividi che si stanno formando attorno all'occhio sinistro, vicino alla cicatrice.
"Non provi neanche a muoverti o cercare di liberarti? Non lo trovi squallido che possa essere qualcun altro, magari più stupido o peggiore di te, a poter scegliere quando far finire la tua vita?"
Sento un'altra lacrima scendere, lui la segue con lo sguardo: passa dal mio occhio, alla guancia per poi arrivare sul mento e scivolare sulla lama ancora appoggiata la sotto.
Non ho neanche il coraggio di muovermi, sento il bancone schiacciato contro il mio addome e lui era dietro di me: non sarei potuta andare da nessuna parte.
"Mai mostrare le proprie debolezze con così tanta facilità. Non devi dare a nessuno la soddisfazione di vederti piangere." Il suo tono era severo, ma calmo. Anche i suoi occhi non esprimevano più quella follia spaventosa, ma neanche più quel calore umano.

Stanno sicuramente passando mille pensieri dietro quegli occhi scuri come la notte. C'è qualcosa che non va.

Mi molla i polsi e toglie il coltello da sotto il mio mento per poi richiuderlo.
"Torna a lavorare"
Si mette le mani in tasca ed esce dal bar mettendosi fuori a fumare una sigaretta.
Solo quando la sua figura ha superato la porta mi è sembrato di poter tornare a respirare.
Mi passo una mano sul collo. Può essere che nonostante abbia premuto non ci si neanche un po' di sangue o un graffietto?
Guardo il mio riflesso nello schermo del telefono.
Ha premuto solo con il lato non affilato.
Guardo la vetrina: il suo profilo definito, i capelli così bianchi si appoggiano in maniera spettinata sulla sua fronte, la mano sinistra tiene l'accendino che gioca ad accendere e spegnere, la sigaretta tenuta stretta tra le labbra.
Sembra così tranquillo, come se fosse appena tornato da una piacevole e rilassante passeggiata, che per un secondo mi dimentico di con che abilità e freddezza è riuscito a bloccarmi e piazzarmi un coltello alla gola.

Don't tell 'em☽ Min YoongiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora