Era calmo, tranquillo, sembrava rinchiuso in una bolla che attutiva tutti i rumori provenienti dal mondo esterno, senza intaccare né disturbare la sua quiete in alcun modo.
Camminava con una lentezza inusuale per le sue lunghe gambe, e quasi paragonabile a quella del suo modo di parlare, trascinando le parole. Un passo e uno ancora e non faceva altro che annullare, a poco a poco, quegli svariati metri che ci distanziavano. Non che io fossi la sua meta, o che altro, ero solo un puntino nel suo percorso, e probabilmente nemmeno si sarebbe accorto di me, una volta passatomi accanto.
Anche se ne dubitavo, perché eravamo sempre attenti l'uno all'altro. Ad Harry non sfuggivano mai i dettagli, neanche se quel dettaglio era un puntino indifeso nel mezzo di un cammino, sospeso a mezz'aria in una bolla di calma e tranquillità apparente.
Lo squadrai, perso in quella sua tangibile fermezza, qualcosa di cui non mi capacitavo. Una nota stonata a tradire quella quiete che tutto appariva, tranne che naturale.
Sembrava così diverso dal solito, da come ero abituato a vederlo. C'era qualcosa in lui che stentavo a riconoscere, che non gli apparteneva del tutto. O forse non gli apparteneva affatto.
Camminava a testa bassa, indifferente, immerso in uno di quei pensieri che ti portano ad isolarti dal mondo, dove esisti solo tu e la stanchezza di sbatterci la testa contro. Sembrava stanco, infatti.
Chissà come gli sarei parso io, se mi avesse visto in quel momento.
Continuai ad osservarlo, senza neanche rifletterci troppo sul fatto che, se mi avesse visto, non avrei saputo come reagire.
Eppure com'era possibile sentirsi così immobili? Non riuscivo a fare niente, a decidere nulla degli spettacoli che il mio corpo stava mettendo in atto al suo interno. Spettacoli drammatici e comici assieme.
Il mio stomaco improvvisò un movimento e, più il mio cervello prendeva coscienza della situazione, più quel muscolo lì, tra lo stomaco e la gola, reagiva con dei movimenti inusuali e scoordinati tra loro.
Volevo fare qualcosa. Reagire, consapevole, in qualche modo.
Non si era ancora accorto di me, in tutti quei pochi secondi che sembravano settimane di eterna agonia. Lo vidi avvicinarsi, ancora: un passo più vicino alla sua meta a me sconosciuta, un passo più lontano dalla mia razionalità.
Dovevo reagire.
Sembrava diretto nel locale da cui proveniva quella musica irlandese di sottofondo, qualche passo distante da me.
Dovevo reagire.
Stava sicuramente per entrare, o di certo quella era la sua intenzione ora, dopo aver dato un fugace sguardo all'interno della vetrata che dava sulla strada.
Non potevo lasciarlo andare.
Non potevo evitare tutto questo.
Questo cosa, poi?
Non potevo evitarlo, era semplice.
Dovevo reagire, ma non ci riuscivo.
Ero inerme.
I suoi capelli.
Non potei fare a meno di focalizzare la mia attenzione, per un attimo, su quanto fossero corti. Spuntavano appena dal berretto verde scuro che gli ricopriva il capo.
Quei ricci castani, per cui una volta avevo una sorta di ossessione, erano ormai un ricordo sbiadito. Pensai, amaramente, che nemmeno quello era rimasto del nostro passato.

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it is what it is
FanfictionQuesta storia segue l'esatto scorrere degli eventi, degli impegni, delle pubbliche apparizioni e di tutto ciò che al pubblico hanno voluto raccontare i nostri Larry. Quindi, a partire da maggio 2016, abbiamo creato una sorta di realtà parallela, dov...