Light Moon

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Passarono i mesi, mi sentivo sempre più solo, il box accanto al mio venne presto occupato.

Ci era finita una whippet, la sua famiglia non la voleva più, troppo tempo da perderci dietro dissero. La cedettero a Colin, che ovviamente non si fece scappare un occasione del genere dato che, mi serviva una spalla. I miei allenamenti erano fiacchi, dovevo svegliarmi e infretta, altrimenti sarei finito in un sacco nero anche io.

Quando la piccoletta entrò nel box era terrorizzata, non riusciva a capire cosa le stesse succedendo, noi che nasciamo in questa merda, dopo un po' ci facciamo l'abitudine, lei arrivava da una bella casa, magari aveva anche un cuccia calda e mangiava tutti i giorni. Qui se andava bene si mangiava una volta ogni tre giorni e si dormiva sul cemento freddo dei box.

Si mise seduta, schiena contro il muro, tremava dalla paura, poverina, mi avvicinai per annusarla, attraverso la rete che ci separava, inizò a guaire spaventata, non sapevo proprio come fare, dopo qualche annusata le leccai la guancia e poi l'orecchio, mi guardava, annusava ed appena ricambiò il mio gesto, mi sentii meno solo.

Passarono i mesi, mi allenavo sempre con lei, Light Moon, i whippet non possono correre, almeno non sui circuiti ufficiali, noi siamo troppo veloci per loro, la nostra volata e più alta e più ampia, perchè siamo più grossi. Lei entrò nel suo periodo, e correre con lei accanto, iniziava ad essere difficile, non riuscivo a seguire il tracciato, il mio naso mi portava sempre indietro, da le.

Ventiquattro giorni più tardi, dall'inizio del periodo, ci bloccammo nel bel mezzo di un duetto, o meglio, mi fiondai su di lei, non potevo resistere e così la coprii. Tre mesi più tardi, nel bel mezzo della notte, partorì quattro cuccioli, tre erano brindle come lei, uno solo, l'unico maschio era blue, come me, fu una lunga notte. Lei piangeva, guaiva dal dolore e io ero li, fermo, non potevo fare niente, se non camminare in circolo nel mio box. Eh si! Siamo cani, ma non siamo stupidi, sappiamo bene qual'è il nostro momento, anche noi ci rendiamo conto di diventare genitori, anche noi siamo nervosi. Ero così fiero appena li vidi, ululavo dalla gioia, non avevo mai provato nulla di simile.

 In realtà, non avevo mai provato nulla fino a quel momento, ero come spento.

Portarono presto via, lei e tutti e quattro i cuccioli, ero in preda alla disperazione, il terrore che potessero farle ciò che fecero a mia madre e ai miei fratelli mi perseguitava, stavo rivivendo la stessa situazione, flash di mia madre in preda ad una straziante disperazione mi passavano davanti agli occhi, non potevo fare altro che abbaiare loro contro, nonostante sembrassero così buoni, mentre mettevano lei e i piccoli in un grosso cesto imbottito, facendo strane voci, ma me li stavano rubando, mi stavano portando via la mia famiglia, di nuovo.

 Ma io non ero mio padre, io non sarei rimasto fermo a guardare, saltai la rete del mio box e cominciai a correre, corsi per chilometri dietro al furgone che li portava via, lontano da me, sentivo il cuore scoppiare, le zampe facevano male, ma io non potevo, non mi potevo fermare, dovevo raggiungerli, dovevo salvarli. Presi una buca fangosa, durante la corsa e caddi, non appena mi rialzai, ricominciai a correre ma, ormai li avevo persi, li avevo persi per sempre.

Mi accasciai a terra, sotto la pioggia battente, stremato.

La fatica mi aveva consumato, avevo perso le speranze di ritrovarli.

Ancora una volta, avevo perso tutto, mi avevano strappato via tutto.

Mi avevano portato via tutto.

Ero solo, di nuovo.



Li chiamavano figli del ventoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora