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Non ti vedo da giorni.
Mi avevi avvertito che quella sarebbe stata l'ultima sera che ci saremo visti, ché poi saresti partito.
Non mi hai detto dove andavi, hai detto solo che sarebbe stato un lungo viaggio e che non saresti tornato presto.

Non ti vedo da quella notte in cui abbiamo aspettato l'alba parlando di Sartre, ovvero due settimane fa, e mi sento male.
Mi sento vuota, sono perennemente annoiata, ché con te non ci s'annoia mai.
E vorrei parlare per ore di quanto sia ammaliante la Sicilienne di Fauré, ma solo tu capiresti, solo tu riusciresti a farti coinvolgere nella conversazione.
E tu ora non ci sei.
Mi sembro una ragazzina alla prime prese con l'amore, innamorata follemente del sentimento piú che della persona, ma non posso farci niente.

Dopo tre mesi, sei tornato, ma non come volevo io.

Se mi dessero una macchina del tempo la userei soltanto una volta.
Cambierei soltanto un attimo.
Avrei potuto salvarti.

Il tuo corpo, inerme, a terra.
Gli occhi chiusi in un'espressione tra la felicitá e la malinconia.
La tua testa vomitava il piú bel rosso.
Un braccio era disteso lungo i fianchi, l'altro era alzato, con la mano all'altezza del naso.
"Perdonami" hai scritto col sangue.

Ti sei ucciso, cadendo dalla scale.

Avrei dovuto capirlo.
Me l'avevi detto, mi avevi schiaffato la realtá in faccia, e io ho fatto finta di non aver sentito il dolore dello schiaffo.

«Sai, dato che prima o poi moriró, voglio morire come il mio omonimo. Non so dirti perché, ma sento che i nostri spiriti sono terribilmente affini, sento di capirlo profondamente, e questo mi spaventa.» avevi detto ridacchiando, una sera.

Avrei dovuto collegare subito.

Non l'ho fatto, credevo fosse la tua solita pungente ironia.
E inoltre, non ne hai mai piú parlato.
Stupido.
Se volevi suicidarti, dovevi mandarmi piú segnali.
Avrei dovuto capirli, il senso di colpa mi stringe la gola.

"Perdonami" hai scritto.
No, non lo faró.
Non puoi chiedermi perdono dopo questo.
Non ti perdono, non potrei mai.
Chi ti ha dato il diritto, il permesso.
Chi ti ha detto che potevi anche solo pensare di morire.

La tua testa é sulle mie gambe, morta.
Il tuo sangue mi ha sporcato la gonna, le mani.
Ti tocco la ferita, la sento, sotto le dita, é reale, non sto avendo un incubo.
Sento il tuo sangue che fuoriesce sotto i polpastrelli, lo sento accarezzarmi la coscia, caldo.
Una parte della tua fronte é sporca, ma che t'importa, tanto sei morto.
Con quell'espressione talmente rilassata da farmi venire la nausea.
Ma tanto, sei un cadavere ora.
Che t'importa se fai schifo.
Che t'importa se riesco a sentire la ferita con le dita.
Che t'importa, sei morto.

Il sangue ha smesso di uscire.
Si sta seccando quello sulla gamba, quello a terra é giá secco.
Eppure continuo ad accarezzarti la ferita con l'indice e il medio.
Mi fa schifo, vorrei smettere di toccarla ma non ci riesco.
Tutto questo non é ancora reale per me.

La tua testa sulle mie gambe.
Il tuo corpo, morto, che si irriggidisce.
Le mie dita, sporche di sangue, del tuo sangue secco, che ti sfiorano il viso freddo.

Io e te, cosí simili, non lo siamo mai stati.
Entrambi freddi, apatici.
Tu non le senti le mie dita sul tuo viso, e io non sento il tuo viso.
É tutto silenzioso, qui.
O forse sono io che non sento nulla, neanche i miei pensieri.

Continuo a tracciare il contorno delle tue labbra, ma il tuo sangue secco non abbandona il mio indice, rimane lí, rappreso.
Sembra esattamente la nostra relazione.
Tu mi sporcavi, mi parlavi di te, ogni tuo piccolo gesto mi entrava nella testa e non ne usciva.

E a me sembra di non averti lasciato nulla.
Ci provavo, ma te sembravi non macchiarti, come questo sangue rappreso che non ti sporca il viso.
E ora sei morto.

Il tuo sangue sui miei vestiti, sulle dita, i ricordi ad offuscarmi la vista, la tua voce a risuonare in testa.

Anche da morto, sei riuscito a sporcarmi.
Io, invece, non ci sono mai riuscita.

Questo è il nostro momento piú intimo.
Un'intimitá macabra.
Un'intimitá che non mi disgusta, ma che non mi piace neanche.

Questo è stato il nostro ultimo momento, anche se te non lo sai.

Ti amo, piú di quanto possa amare me stessa.



Riposa in pace, Levi.

Cacoethes Scribendi.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora