Il fango le impastava la bocca, il cemento sarebbe stato piú comodo, denti marci.Non aveva voce.
Le dite le andavano in cancrena, la mente ammuffiva a furia di pensare.
Scrivere, scrivere, scrivere, ripeteva.E il corpo la seguiva.
Quel corpo fragile, troppo debole pure per respirare.
La colonna vertebrale lottava per uscire fuori dalla pelle, voleva respirare pure lei.
Le costole sporgenti, la faccia ossea, le gambe come ramoscelli d'alberi.
La pelle era soltanto un vestito aderente che copriva le ossa, per i sensibili.Lei continuava a scrivere: sputava sangue in un punto, ci impregnava l'indice destro e tracciava lettere.
Non sapeva manco lei che cosa stesse scrivendo, lo faceva e basta.
Disperata, gli occhi stanchi, non rimanevano aperti, era il desiderio a tenerla sveglia.Morire. Morte. Sangue. Ferita. Pelle aperta. Marciume. Viscido. Organi ubriachi. Addento il mio stesso fegato. Morbido. Succoso. Un po' amaro. L'intestino mi risale. Nausea.
Scriveva.
Non aveva idea di chi fosse, non sapeva il suo nome, il suo cognome, non sapeva manco che faccia aveva, ché non s'era mai specchiata, le faceva senso guardarsi.
Non sapeva nulla su di sé, cosa le piacesse, cosa no, cosa fosse giusto, sbagliato, non sapeva cosa fossero le preferenze.
Un anima vuota, la sua.Era una studentessa modello, a scuola.
Sempre il massimo dei voti, eccelleva in qualsiasi materia, ma quando doveva parlare di sé diventava una completa ignorante.Perché si ritrovava rinchiusa in quella stanza non lo sapeva, era passato troppo tempo per ricordarlo.
Forse per il "Hai osato formulare un tuo parere senza il consenso dei tuoi genitori", qualcosa del genere.
Non era importante, tanto lei avrebbe continuato a scrivere, disperata, vuota.
Gioco con l'intestino tenue. Delicato. Me lo attorciglio alle dita, come fosse una ciocca di capelli. Non vedró mai la luce. Buio. Freddo. Sporco. Perverso. Nero. Mi rassicura. É tutto cosí incerto qui, mastico le mie dita.
Lei lo sapeva, perfettamente.
Era solo una questione di tempo, poi avrebbe ricordato tutto.
Non sapeva come, quando o perché, ma sarebbe successo.La gola si faceva secca, la saliva e il sangue retrocedevano, abbracciavano l'ugola.
Lei doveva scrivere, era l'unica cosa che riusciva a fare, non poteva fermarsi, scrivere la distraeva, la sfamava, piú del pane raffermo dimenticato in qualche angolo.Si fece un taglio al dito: avrebbe scritto con quello.
Il sangue, adesso piú vivo e scarlatto, accarezzava il pavimento grigio, abbellito da uno spesso strato di sporco.
Il dolore neanche le arrivó in corpo; troppo impegnata a tracciare linee curve, non pensava ad altro.Nell'insieme, era tutto un po' malsano, lo sapeva bene.
Lei stessa era malata.
Il suo corpo non era che una ragnatela di vene e nervi, la sua mente era una bambina viziata, sembre bisognosa, mai contenta.Brutto. Bello. Che differenza c'é? Mastico i miei bulbi oculari. Secchi. Croccanti, dentro. Non vedo niente. Sorrido. Ora é tutto bello, qui. Freddo. Caldo. Mi stacco la pelle. Se ne viene via facilmente. Sto distruggendo il mio corpo o la mia anima? Non lo so. Spremo un rene.
Tra la disperazione e la pazzia, il corpo barcollava, troppo vivo per accasciarsi al suolo, troppo morto per avere vita, lei deglutiva saliva mista sangue.
Non sarebbe mai uscita da lí, sarebbe morta in quel posto lurido e tetro, ne era consapevole.
Non le dispiaceva.
Lí la sua pazzia era fiorita, era un bel posto, tutto sommato.
Morire tra il suo stesso sangue, lo sporco, il legno marcio e il pane ammuffito non era poi cosí male, pensava.Il sole sorse.
Qualche raggio entró coraggioso nella sua stanza, nel suo covo, nella sua prigione.
Lei ne rimase sconvolta, si spaventó quasi.
La luce è disgustosa, pensó.
Seguí con gli occhi quel raggio ignobile, per un momento non sentí il bisogno irrefrenabile di scrivere, non sapeva se era una cosa buona o meno.
Quello spregevole raggio, era entrato da una piccola finestrella blindata, della sua altezza.Non l'aveva mai notata, prima.
Si avvicinó, coprendosi gli occhi, era tutto fin troppo luminoso, faceva paura.
Attorno a un'asta di metallo della finestra, stava crescendo, forte e bellissima, una rosa bianca.
Lei la vide fiorire davanti ai raggi del sole.
S'immobilizzó.
I piedi incollati al suolo col cemento armato (o con lo strato di sporco).Una rosa bianca.
Rosalba.
La rosa bianca continuava a fiorire, ad essere sempre piú bella, illuminata dai raggi del sole e decorata dalla rugiada, mentre la sua omonima, dall'altra parte, giaceva a terra, inerme, illuminata dai ricordi e decorata dalla morte.
Ora, almeno, non aveva piú bisogno di scrivere.
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Cacoethes Scribendi.
ContoCacoethes Scribendi; latino; Mania della scrittura, insaziabile desiderio di scrivere. [Raccolta di OS.]