CAPITOLO DUE

699 30 3
                                    

Ritornarono i sensi e cercai di riprendere fiato con la bocca, ma l'aria non giunse mai ai miei polmoni. Fu bloccata all'istante da un sottile pezzo di stoffa stretto alla nuca da farmi male. Soffocai, non riuscendo a tossire.
Avevo le mani legate ai braccioli di una sedia nel bel mezzo del nulla. Era buio, ma pian piano mi ci stavo abituando. I piedi erano legati in modo da tenermi aperte le gambe. Riuscivo a vedere solo quella stanza apparentemente quadrata e degli oggetti indefiniti appesi alle pareti o posati su tavolati scuri. Persi un battito roconoscendo, in alcune di quelle figure indistinte, la forma di tenaglie a varie dimensioni. Sorrisi alla mia sorpresa; d'altronde cosa mi potevo aspettare da colui che aveva fatto tutto questo? Tentai di ricordare cosa era accaduto la sera prima. Avevo un vuoto e la testa doleva, sforzandosi di ricordare.
Poi mi venne in mente lui; il suo viso dove le luci si posavano, le dita fluide che accompagnavano la musica. Il sorriso che mi rivolse.
Ricordai che mi aveva chiesto se volessi bere qualcosa e..
Così mi fece ubriacare.
Mentre quel nome svolazzava fragile nella mia mente-  terrorizzato al pensiero di essere scoperto- il rumore metallico di un chiavistello risuonò secco, proveniente da chissà dove alle mie spalle. Mi fece balzare, per quanto potessi muovermi. Sentii lo scricchiolio di una porta aprirsi e poi sbattere rumorosamente.
Click. Un secondo rumore metallico mi fece capire di essere in trappola.
Sentii dei passi dietro di me e una forte sensazione di dejà-vu mi avvolse. Avevo paura ma conemporaneamente i brividi che mi percorrevano stavano iniziando ad eccitarmi.
Il mio rapitore fece poi scattare un pulsante e una lampada accecante si accese puntandomi addosso come fanale.
Cercai di evitarla ma invano. Faceva male ai miei occhi, abituati al buio totale.
Poi si fermò dietro di me, sussurrandomi:
"Iniziamo a giocare, Jimin, ti va?"
Le avevo gia sentite quelle parole ma la confusione che avevo , legata al terrore, non riuscivano ad associarle a nessun nome.
Una goccia di sudore trapelò dalla fronte scivolando ad una lentezza innaturale. La lampada era come sole sulla mia pelle o quella era la paura?
La sua figura mi si parò davanti. Il mio cuore prese a battere forte, spingendo contro le costole.
Le sue forme maschili erano avvolte da una tuta in lattice nera che ricopriva anche il capo, ad eccezione della bocca. Aveva poi tre buchi per occhi e naso.
Sul davanti, sotto il bacino, si affacciava una grossa protuberanza. Per un istante un sudicio pensiero s'insinuo nella parte più oscura della mia mente. Un fuoco fece tremare ogni pelo sulla mia pelle. Lui si chinò, mettendosi in ginocchio. Restai zitto, non provai neanche ad agitarmi, terrorizzato dai mille attrezzi di tortura deposti ovunque nella stanza. Ricoprivano ogni superficie, non facendomi affatto sentire a proprio agio, per quanto potessi.
Le sue mani iniziarono a palpare quello che ormai stava combattendo per liberarsi dai pantaloni.
"Ti piace?" La sua voce giunse strana alle mie orecchie. Probabilmente cercava di modificarla, assumendo un tono più rude. Si fermò, il suo sguardo familiare nel mio.
Cosa si aspettava? Una risposta, forse?
"Ti prego, continua" cercai di sillabare. Ne uscì un muto mormorio indistinto, attutito dal pezzo di stoffa che mi cingeva il mento. Probabilmente egli capì perchè continuò a carezzarmi e lentamente apriva la zip.
Sentivo premere sempre di più da una forza ignota, finché ella non balzò fuori, quando lui sfilò entrambe le sue limitazioni.
"Capisco" disse sorridendo malizioso e quasi mi vergognai di me stesso; non riuscivo proprio a contenermi.
Mentre egli cominciava ad afferrarlo, una frase continuava a premere nei miei ricordi. "Non hai alcun.." un incipit vuoto e vano si materializzò nei miei pensieri. Mi descriveva perfettamente e sembrava stare in bilico sulla punta della lingua.
Al contempo, quella del mio rapitore, iniziò a leccare l'intera superficie, arrivando sempre piú giù e poi risalendo fino in cima.
Per quanto ancora avrei resistito? Se fossi venuto subito avrei odiato infinitamente me stesso.
Ritornai poi a concentrarmi su quella frase, aumentando la fatica dello sforzo. Gettai indietro la testa, sospirando -per calmarmi- dal naso. Sentivo le guance andare a fuoco come ogni parte di me.. chiusi gli occhi e deglutii. D'improvviso ,come se fuoriuscisse dal mio stomaco,  ella mi tornò in gola. La frase che tanto volevo sapere mi portò alla mente una consapevolezza per me imprescindibile:
"Non avevi alcun ritegno Jeon Jungkook"
Con uno scatto cercai di chinarmi davanti, lo sguardo pieno di sfida, il cuore leggero, convinto di poterlo terrorizzare.
Lui si fermò, e provai un debole rimorso. Sorrisi fiducioso.
"Vuoi forse dirmi qualcosa?" Fece lui annoiato.
Annuii violentemente. Lui sospirò e si rimise in piedi. Mentre mi slegava la benda, notai quanto quell'escrescenza sotto la tuta fosse cresciuta, e provai un tale imbarazzo che arrossii. Cercai di non pensarci e appena sentii la bocca libera e dolorante, feci un gran respiro e le parole vennero da sè.
"So chi sei."
Con mia soddisfazione, egli divenne serio e spalanco per un secondo gli occhi. Probabilmente lo misi in difficoltà poiché ci volle un po' prima che la risposta arrivasse.
"Ah si? E chi sarei?"
In quel momento non ragionai.
Percorsi un rischio assai stupido da rappresentare un infrazione ad una delle regole fondamentali in queste situazioni: mai dire a un aggressore di averlo riconosciuto.
"Jungkook, non è ovvio?" Calò il silenzio. Ero assai orgoglioso di me ma , al contempo, l'espressione che adesso dipingeva il suo volto, mi fece terrorizzare.
Non aveva nulla di umano. Non era semplice rabbia bensì puro odio che trapelava da due occhi infossati e rossi.
Mi chiesi se mi avesse ucciso, e, quando lui si alzò, spense la luce e i suoi passi furono inghiottiti dal rumore della porta che si chiudeva dietro di lui, provai un moto di rimorso; mi aveva lasciato lì, l'erezione ancora pulsante che libera aspettava desiderosa.
Sentii un grido lontano; rappresentava una rabbia disumana, un odio morboso, maniacale, ossessivo. Mi chiesi, ingenuo, cosa avessi fatto di tanto sbagliato e quale sarebbe stato il mio destino.

 Mi chiesi, ingenuo, cosa avessi fatto di tanto sbagliato e quale sarebbe stato il mio destino

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.
Obsessive •• Compulsive •• 18+Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora