Capitolo I

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«L'origine del male»

'La città in cui non esisto.'
Così chiamava il posto ripugnante in cui tutto ebbe inizio.

Una città dominata da colori così freddi da ricordare l'atmosfera dei cimiteri, il cui grigio avvolgeva i volti delle persone, troppo egoiste per rendersi conto di ciò che li circondava, troppo deboli per affrontare la propria realtà.

Agli occhi della ragazza, l'intero luogo appariva una distesa infinita di macerie, con grattacieli che sfioravano il cielo, quasi come se anch'essi, senz'anima, volessero scappare dalla continua monotonia che li legava al mondo terreno per ottenere l'eterna libertà.

-'Ma cosa significa davvero essere liberi?'-
Pensava la piccola donna, guardando l'immenso cielo che si estendeva sulla sua testa e che man mano cominciava a colorirsi con toni sempre più oscuri e malinconici.

Alcune piccole gocce di pioggia cominciarono a posarsi sull'asfalto, fino a diventare sempre più numerose e insistenti, bagnando la morbida pelle di quella ragazza che con attenzione scrutava il movimento di ogni singola goccia.

Una miriade di piccolissime sfere d'acqua sembrava danzare silenziosamente, in attesa di mostrare la propria perfezione e la propria potenza, così distruttiva da rievocare nel suo pubblico ricordi sigillati nella mente e lontani dal cuore.

La ragazza osservava la pioggia come se ogni sua parte rappresentasse un pezzo del suo passato, della sua stessa esistenza, destinata a sgretolarsi in mille pezzi.

Ogni passo fatto, la riportava con la mente indietro nel tempo, permettendole di ripercorrere ogni suo ricordo.
L'unica cosa che in quel momento pensó, fu:
-'È tutta colpa mia, non sarebbe dovuta andare così.-

Guardando ciò che le era intorno, con gli occhi di chi non aveva mai trovato la pace, iniziò a piangere unendo le proprie lacrime e i singhiozzi ai rumori dei tuoni imminenti, gli unici in grado di scuotere lo spirito umano.

L'atmosfera del posto a cui non apparteneva, si fece sempre più cupa e misteriosa.
La notte ormai stava per calare.

La città in cui non esisteva, che ignorava la presenza di una delle sue figlie, era diventata la sua tomba, dalla quale si era formata e dalla quale sarebbe ritornata.

Mia, questo era il nome della sfortunata ragazza che percorreva le ampie e luminose strade di New York, una delle più grandi metropoli di tutto il mondo conosciuta anche con il nome di 'La Grande Mela'.

La famiglia di Mia non era una di quelle apprensive, affidabili, fondate sul rispetto e l'amore. Per lei, la sua famiglia era la peggiore che una ragazza avrebbe mai potuto desiderare, troppo caotica per i suoi gusti.

Se Mia fosse scappata per sempre i suoi genitori non l'avrebbero mai cercata, anzi avrebbero esultato, perché per loro la sua presenza in casa era solo un problema.

Mia non aveva né fratelli né sorelle.
Viveva in un piccolo appartamento con la madre e il padre, privo di colori, con orribili mobili antichi ormai rovinati dal tempo e un tetto che per le numerose tempeste stava per cedere.
La casa era composta solo da quattro camere: un salone-cucina, una camera da letto, affiancata da un bagno e la stanza della ragazza.

A pochi metri di distanza dalla casa di Mia c'era una piccola villetta abbandonata da tempo con un ampio giardino dove i vecchi proprietari avevano fatto costruire una piccola casetta sull'albero, probabilmente per i propri figli o nipoti data la presenza dei numerosi disegni elementari e stilizzati.

La casa sull'albero era l'unico posto dove Mia poteva stare tranquilla e allontanarsi per un attimo da tutti i problemi che la facevano soffrire.
Era la sua unica chance per scappare dal mondo che profondamente detestava, per rifugiarsi in nuovi luoghi immaginari predominanti dalla calma e dall'amore che desiderava tanto conoscere, ma che come ben sapeva non avrebbe mai potuto raggiungere.

A un passo da MeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora