Capitolo II

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«Il riflesso dell'anima»

Continua a camminare.
Non è ancora finita.
È solo l'inizio.

Il suono dei passi di Mia, così come il suo respiro, si dispersero tra i rumori della città.

Le ombre delle persone, che incuranti del proprio percorso erravano tra le strade, soffocarono l'ombra spaventata della ragazza, ormai dispersa tra le miliardi di urla ed affanni.

Mia non riusciva a vedere il volto delle persone.
Non riusciva a definire i loro lineamenti, i loro occhi, le loro labbra, la loro voce.
Non era in grado di distinguere il singolo.

Agli occhi della ragazza, tutto ció che la circondava era completamente avvolto da una nube grigia, unico colore che riuscisse a rappresentare appieno il suo spirito.

L'unica emozione che riusciva a provare era l'indifferenza in mezzo a quei milioni di volti sfigurati, capaci solamente di esprimere la propria ambizione nel voler prevalere gli uni sugli altri per poter raggiungere quei piaceri terreni, destinati a dissolversi con il tempo.

Era una mattina d'inverno, gelida e silenziosa.
Tutto sembrava tranquillo.
Nessun singhiozzo, nessuna lacrime.
Solo il rumore delle ultime foglie che si elevavano verso il cielo, trasportate dalle carezze del vento.

Impostata per le 6.40, la sveglia suonò.
La mattina era la parte della giornata che Mia preferiva; i genitori ancora dormivano e finalmente la pace poteva regnare in casa.
Facendo attenzione ai propri movimenti, Mia andò in cucina.
Aprì il frigo e sussurrò:
-'Ancora nulla. Un altro giorno senza cibo.'-

La mamma della ragazza portava da mangiare solo quando ritornava dal lavoro ma Mia continuava ad aprire i mobili con la speranza che qualcosa potesse cambiare.
Aveva trovato un posto stabile in un ristorante, non veniva pagata molto, a stento le bastava per poter provvedere all'affitto.

Quando avanzava del cibo, la mamma lo incartava senza destare sospetti poiché il capo non apprezzava molto questo genere di comportamento.
Cosa ne sarebbe stato della sua reputazione se i clienti avessero visto una delle sue 'serve' portare con sé gli avanzi costosi?
I cittadini di New York lo definivano come 'l'imprenditore più onesto del mondo. Uno dei pochi ad essere così.' 'L'unico che avrebbe avuto accesso alle porte del Paradiso' gridavano, ma era tutt'altro che questo.

Quel ristorante e quella fama erano stati costruiti dalla povertà della gente, disposte a fare di tutto per poter sopravvivere.
Le donne venivano sfruttate, gli uomini umiliati.
Un ciclo senza fine, creato dal potere e dalle false promesse di aiuto che questo imprenditore e i suoi colleghi offrivano.

Tutto era nel palmo della sua mano, qualsiasi oppositore doveva essere raggirato.
Qualsiasi problema doveva essere eliminato.

Era questo che più spaventava i dipendenti e la mamma di Mia, nessuno era in grado di liberarsi da quella morsa.

La sera prima, la mamma era riuscita a prendere solo alcuni avanzi per il marito che dopo alcuni giorni era ritornato a casa.
Quando la donna entrò dalla porta, Mia venne attratta dall'odore caldo e succulento del rosbeaf.
Guardò la madre e lei le gridò:
-'Vattene in camera tua, non l'ho portato per te. Sei solo un'egoista, è per il tuo povero padre! Smettila di guardarmi in quel modo così pietoso, anche io ho fame.'-
Continuando a rivolgerle parole offensive sul suo comportamento, la madre entrò in cucina e cercò di sistemare il cibo nel piatto nel modo migliore possibile così da poter soddisfare il marito.

Mia corse in camera sua, sapeva cosa sarebbe successo se la madre e il padre si fossero incontrati.
Non voleva vedere niente.
Si mise sotto le coperte.
Provò a dormire ma nulla.
Si alzò, si guardò attentamente allo specchio e pensò:
-'Sono io quella sbagliata? Cosa ho che non va? Perché non mi accettano?
Devo essere più come la mamma o più come il papà per essere amata da loro?'-

La mente della ragazza, confusa dai mille pensieri e domande, decise di creare un vuoto per evitare un collasso e di voler guardare solo il suo riflesso.
Mia avvicinò le mani allo specchio, provò a sentire il calore del suo stesso corpo ma era freddo e debole.
Guardò i suoi occhi, le sue guance, i suoi lunghi capelli.
Ogni minimo dettaglio, nel tentativo di capire da chi avesse preso.
-'Sono la mamma o sono il papà?'- ripeté insistentemente.
Era triste, cercava un'identità attraverso l'immagine delle uniche due persone presenti nella sua vita.
Si inginocchiò, pianse e rivolse di nuovo il proprio sguardo al suo riflesso.
-'Così pietosa, mamma ha ragione'-

Ad un tratto Mia vide un taglio sul suo viso.
Il suo volto si era diviso a metà.
Le sue braccia e le sue gambe iniziarono a ricoprirsi di fratture.
Il rumore del suo corpo la infastidì.
Si spaventò, balzò all'indietro e gridò.
Il suo cuore iniziò a battere velocemente.
Cosa le stava succedendo?
Fu in un attimo che chiuse gli occhi e li riaprì.
Tutto era tornato alla normalità, nessuno l'aveva sentita.
La sua mente aveva proiettato all'esterno l'immagine della sua anima, forse per mandarle un messaggio di allarme ma a questo Mia non ci pensò.

Mia si riprese, sentì i genitori che stavano per iniziare una delle tante scenate e si posizionò nel letto, illuminata dalla luce della luna.
Alzò lo sguardo al cielo, fece un piccolo sorriso ed esclamò:
-'Anche tu ti senti tanto sola tra queste stelle così lontane da te? Nessuno può guarire le nostre ferite.'-

Chiuse gli occhi, con fatica si addormentò.
Domani è un altro giorno.
Nulla di nuovo, sempre lo stesso caos.
Sempre lo stesso dolore.
Siamo soli su questo universo, tutto privo di colori.
Il rosso, il verde, il giallo. Dove sono?
La gioia, la felicità, la compassione per le altre creature. Esistono ancora?

Alla ragazza, la cui esistenza stava per sgretolarsi, ormai bastava solo continuare a camminare, guardare il mondo in modo passivo ed aprire gli occhi ogni mattina per poter dire:
-'Anche oggi sono sopravvissuta, va bene così.'-

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⏰ Ultimo aggiornamento: Nov 27, 2019 ⏰

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