Atmosfera onirica, c'è un prato, un bellissimo prato, pieno di rose rosse. Che fiori banali, quasi artificiali. Perché esistevano al mondo dei fiori così falsi?
Provai comunque a raccoglierne una. Lo stelo era resistente, difficile paragonare tanta resistenza alla fragilità di quei petali cremisi. Nel tentativo mi punsi e graffiai le dite ma me ne accorsi solo dal sangue che mi macchiava le mani una volta raggiunto l'obbiettivo.
Non era un prato, ma un insieme di rovi e arbusti.
Aprì gli occhi, svegliato da un assillante squillare del cellulare accanto a me.
Mi ero addormentato leggendo le email, sebbene detestassi andare a letto con il cellulare o qualsiasi cosa fosse portatore di onde elettromagnetiche.
Mi stropicciai gli occhi, cercando di ragionare e immaginare che ore fossero.
Chiunque fosse dall'altro lato della linea non demordeva, vanificando i miei tentativi di recuperare lucidità. Afferrai l'aggeggio infernale e strisciai il pollice sulla cornetta verde.
"Pronto..." borbottai portandomelo all'orecchio.
"Promettimi di non arrabbiarti" sentì una voce bassa e femminile, come se non volesse farsi sentire.
"Pronto?" ripetei.
"NON TI AVVICINARE A ME CON QUELL'AFFARE, NON MI TOCCATE. Ho detto che sto bene!" urlò stavolta, intenzionata sicuramente a perforarmi un timpano.
"Pronto? Gladys?" Non avevo neanche bisogno di controllare il display per averne conferma. Rimaneva comunque il fatto che una chiamata a quell'ora era decisamente preoccupante. Non insolita, solo preoccupante.
Mi alzai a sedere, poggiando la schiena contro la tastiera del letto. Il contatto della pelle nuda contro l'imbottitura era di conforto.
"Senti, so che non è il tuo turno. Ma puoi venire in ospedale? Sono giù al pronto soccorso...ti spiego dopo. Bipbipbip."
Aveva riattaccato. Ok. Oh Cristo. Aveva detto ospedale?
Con uno scatto scesi dal letto cercando i pantaloni e la camicia indossati il giorno precedente.
Nel tragitto verso l'ospedale ripensavo in loop alla sua voce, era sembrata normale, sembrava star bene. Si stava bene, era sicuramente un falso allarme.
Quando arrivai alla reception del pronto soccorso chiesi subito che un'infermiera mi portasse il camicie e la cartella clinica della signorina Gladys Wood, sorvolando sull'occhiata che la donna dietro al bancone mi riservò.
Fra le analisi risultavano notevoli carenze di ferro e calcio, la paziente, lei, era arrivata un'oretta prima che mi chiamasse accusando un forte mal di testa e debolezza. Finché non aveva rischiato un collasso in sala d'aspetto. Era arrivata da sola. Perché era sola? Quanto poteva essere impazzita quella donna?
"Dottor Wilson? Dottor Wilson?" solo in quel momento mi resi conto che l'infermiera che mi aveva consegnato la cartelletta mi seguiva tentando di tenere il mio passo.
"Si... ehm..." non ricordavo il suo cognome e non riuscivo a leggere il suo cartellino identificativo, nascosto dalla pila di altri documenti che si stringeva al petto. Decisi di farne a meno. "La camera della paziente?"
"Dottore, era quello che cercavo di dirle. La signorina Wood ha rifiutato di farsi ricoverare fino al suo arrivo." rispose lei.
Certo. Ovviamente. Tipico. Doveva sempre creare scompiglio a chiunque incontrasse.
"Come? E adesso dov'è? Non ditemi che l'avete DIMESSA?" mi resi conto di quanto suonassi brusco solo quando ormai le parole era uscite a ruota libera, soprattutto l'ultima parola che suonava come un insulto persino alle mie orecchie.
"N-no, c-certo che no signore." disse la donna, neanche stesse parlando con un comandate d'esercito. Quasi mi vergognai della reazione che le avevo suscitato. "È in sala d'attesa, attaccata ad una flebo. È stato l'unico compromesso a cui siamo giunti."
La fissai per trenta secondi buoni, poi scoppiai a ridere. Non potevo crederci. Con una mano cercai l'appiglio di un muro per non piegarmi in due dalle risate e con l'altra mi nascondevo bocca e viso, cercando di non sprofondare.
"Sig-Dottor Wilson sta bene?" cercò di richiamarmi l'infermiera.
Io? Se stavo bene? Sarei stato alla grande dopo averla uccisa!
"Signorina, non si preoccupi. Prepari le carte, firmerò io stesso il permesso per dimetterla. Una donna così cocciuta da farsi fare una flebo in sala d'aspetto non morirà ne oggi, né mai probabilmente. Mi farà la fossa." l'ultima frase la balbettai soltanto.
"Scusi come?" chiese allora.
"Nulla, nulla. Vada, prego."Quando finalmente la trovai aveva le gambe accavallate, un braccio molle sul bracciolo (quello attaccato alla flebo quasi conclusa) e l'altro a reggere una rivista ripiegata il cui articolo aveva attirato la sua attenzione. Poi molto semplicemente, senza lasciarmi il tempo di avvicinarmi ulteriormente o chiamarla, lei alzò lo sguardo.
Doveva essere un suo qualche potere assurdo, quello di avvertire subito se la persona che entrava in una stanza le potesse interessare o meno. Comunque, appena mi vide le sue labbra si aprirono in un largo sorriso, sembrava a metà tra il dolce e il divertito.
"Andre, ciao. Sei venuto alla fine."
Scossi il capo. "Mi hai chiamato tu..."
"Oh, ti avrebbero chiamato lo stesso, o te o Harriet. Siete i miei contatti d'emergenza." sbottò, del tutto indifferente alla dichiarazione appena fatta.
Cercai d'ignorare il martello pneumatico che era partito al posto del cuore "Perché non hai chiamato Harriet allora?" cercai di dissimulare.
"Lei non è un medico, non poteva farmi uscire di qui."
"Sei stata tu a venire. Tra l'altro, come ti è venuto in mente di guidare da sola in quello stato?"
"In realtà ho cercato di convincermi fino all'ultimo che sarei stata meglio e avrei fatto dietrofront. Ma non è successo, quindi ho pensato: ora entro, mi faccio aggiustare ed esco." era seria, tranquilla. Aveva ignorato la mia domanda.
"Non potevi chiamarmi prima? Abbiamo cenato insieme, potevi rimanere da me!"
"Mi avresti aggiustata tu?" disse per poi ridacchiare, proprio come una bambina alle prese con un gioco. Mi ferì. "E comunque, te l'avevo già detto, dovevo lavorare."
Sospirai pesantemente "Lasciamo perdere, torniamo a casa ora?"
"Certo, sto molto meglio. Anzi ti dirò, sto morendo di fame."
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HURRICANE
RomancePolo Nord e Polo Sud. Due opposti così lontani, una magnetudine che non può fare a meno di unirli. Ecco cosa sono. Lei è libera, non esattamente la più dolce, non proprio una che dipende da qualcuno. Lei vive e trascina via la monotonia dalla vita d...