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Erano le 6 del mattino e Davide mi aspettava in macchina sotto casa mia per andare in ospedale. Mia madre ha insistito tanto per accompagnarmi ed io, non avrei desiderato altro che averla con me. Sono uscita di casa senza sapere cosa mi aspettasse. Io e mia madre ci infiliamo in macchina, si chiudono le portiere, io e Davide ci scambiamo uno sguardo e lui con un sorriso mi sussurra che andrà tutto bene. Grazie Davide. Grazie perché quando tu mi dici che andrà bene, io ci credo.

Adesso, l'immagine di me è questa: sono nuda e indosso un camice bianco tenuto chiuso solo da un laccetto sottile dietro la schiena. Mi vergogno. Ho un po' freddo. Mi sento come un verme dentro questo pezzo di stoffa che ha l'odore di disinfettante ma non ho molto tempo per pensarci. Poco dopo sono stesa sulla barella in sala operatoria. Devo fare l'anestesia e il medico addetto è molto carino, mi ha riempito di complimenti per i miei tatuaggi e poi mi ha anche chiesto se quando mi fossi rimessa, saremmo potuti andare a cena insieme. Che momento di merda per provarci con qualcuno. Ma è stato divertente, mi ha messo a mio agio, mi ha fatta sentire un po' più leggera. Prima di appoggiarmi su naso e bocca la mascherina che mi avrebbe fatto chiudere gli occhi, mi dice di pensare a qualcosa di bello. <<Immagino di correre su delle nuvole di zucchero filato rosa alla fragola e di incontrare tanti unicorni>>. Mi si offusca la vista, sento il corpo leggero e così, mi addormento.

La prima cosa che vedo quando riapro gli occhi è Davide. Mi sento sollevata. <<Abbracciami>> gli dico. Avevo bisogno di stare lì in mezzo, tra i tatuaggi e il battito del suo cuore.

Mi rendo conto di avere un drenaggio nella pancia e non ne capisco il motivo ma mia madre, puntuale, mi spiega che l'intervento ha avuto delle complicanze. La cisti era più grande del previsto ed era attaccata alla mia vescica e così, hanno dovuto asportarmene un pezzo.

La situazione era questa: c'ero io, nuda su quella barella d'ospedale con un tubo nella pancia per ripulirmi dall'interno. Avevo i piedi freddi. Un pezzo di vescica se n'era andato e anche mezzo ovaio sinistro.

Alle 17.00 in punto Davide e mia madre dovevano lasciare la stanza perché l'orario di visite finiva a quell'ora. Era quella la mia agonia: starmene lì, da sola. In una stanza spoglia di sentimenti, le pareti bianche e i pavimenti freddi. Alle 19.00 si spegnevano le luci e si accendevano le mie paure. La notte era interminabile. Non riuscivo nemmeno a dormire così che passasse più in fretta. Per fortuna tutto ciò è durato solo 6 giorni.

Ho lasciato qualche pezzo dei miei organi interni in qualche secchio della sala operatoria. Va bene, mi dicevo. Ora andrà bene.

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