prologo

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Sakura Haruno,23 anni, padre giapponese da cui, a suo dire, non ha preso assolutamente nulla, se non lo strano nome.
La fonte della sua particolare bellezza proviene senz'altro tutta dalla madre, una panettiera proveniente dalle più povere steppe della russia orientale.
fin dalla tenera età, la ragazza dai capelli rosati, mostrò un'incredibile vocazione per la medicina, al che la madre , seppur a malincuore, si trovò davanti ad un bivio: affidare la sua unica figlia al più grande medico conosciuto, lasciandola andare fino in Germania, col rischio di non vederla mai più; o continuare a vederla tutti i giorni, riservandole nulla di più che un futuro fatto di rape e terra da zappare.
E fu così che la scelta più ovvia divenne anche la più dura.
Oggi, Sakura Haruno, 23 anni è uno stimatissimo medico ,con un lussuoso appartamento nel cuore di Berlino.
Ci sono solo due piccolissimi problemi.
È l'anno 1940, e la nostra piccola Sakura è ebrea.

~ ~ ~ ~ ~

Un gemito sommesso ed un gran bruciore alla fronte, che Sakura cercò invano di far smettere di pulsare, passandoci sopra le dita candide.
L'avevano tatuata, o meglio marchiata.
È questo il destino dei facoltosi medici ebrei.
Venivano marchiati solo gli eletti , coloro a cui veniva concesso l'onore di non morire in un'angosciante campo di lavoro, e Sakura era una di quelli.
Si alzò dalla scomoda branda senza mai lasciar cadere le mani dalle tempie, quasi potessero esplodere senza quel sostegno.
Valutò più volte l'idea di guardarsi allo specchio,e ogni qualvolta si decideva ad avvicinarcisi si ritrovava comunque a strizzare con forza gli occhi, troppo impaurita di vedere il riflesso del suo volto.
Un fastidioso bussare la ridestò dai suoi pensieri, indossò una vestaglia color malva, il giusto per essere presentabile, e si diresse verso la porta.

"Chi è?"
Dopo qualche secondo, parso un'eternità, sentì dei movimenti provenire dal corridoio, al che poté finalmente sentire la voce dell'interlocutore.

"Sono io, Sakura"

Senza pensarci due volte la rosa aprì frettolosamente la porta, facendo entrare una donna sulla cinquantina, capelli lunghi e biondi tenuti in due code basse, con un rombo nero in fronte, che in realtà non sciupava affatto la sua bellezza, se possibile la esaltava ancora di più.

"Tsunade!"

Si lasciò sfuggire un gridolino, saltandole letteralmente addosso per intrappolarla in un lungo abbraccio.
La donna ricambia ben volentieri quel gesto d'affetto, carezzando con dolcezza le spalle della ragazza, per poi allontanarsi quel tanto da poterle studiare il volto.
Un velo di disappunto coprì gli occhi verdi di lei, che con l'apprensione di una madre prese a passarle un dito sul tatuaggio fresco.

"Ti hanno marchiata"

Constatò la donna quasi con tristezza.
In quegli anni lei e Sakura stabilirono un rapporto simile a quello tra madre e figlia, divenendo l'una il sostegno dell'altra.
La ragazza annuì, rassegnata a dover convivere con quel disegno in fronte per il resto della vita.

"È il caso di pulirlo, non vorrai ti faccia infezione"

Constatò Tsunade, avviandosi verso la sua borsa, per prendere il necessario.

"P-puoi farlo tu?"

Un sussurro, quasi impercettibile ad orecchio umano, non passò inosservato dalla donna, che alzò un sopracciglio in risposta.

"N-non voglio vedermi allo specchio"

Spiegò Sakura ,la voce strozzata da un singhiozzo trattenuto.
Quelle parole colpirono la donna come grossi macigni, dovette sforzarsi, e non poco, per mantenere un contegno e non fiondarsi ad abbracciarla nuovamente.

"Tesoro non puoi evitare gli specchi per il resto della tua vita"

Spiegò, cercando di mantenere un tono fermo.
Vedendo l'aura di apatia che aveva iniziato a circondare l'allieva, le si avvicinò il tanto da poterle prenderle il mento tra le dita, per farle alzare il viso e poterla guardare negli occhi.

la solitudine degli innocentiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora