Prologo - un anno prima

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È notte. Nel giardino di villa Debenedetti è in corso una festa in piscina. Una di quelle per cui metà degli studenti del Carducci farebbe carte false, mentre l'altra metà è se la gode, perché è invitata.
Io, Arianna Vallesi, sto nel mezzo. Non me ne fregava nulla, non sono stata invitata, ma sono comunque qui.
Più precisamente sto per cadere in piscina.
E, no, non è una scelta, mi ci hanno buttato.
Chi? Due vigliacchi che prendono ordini da un bastardo.
Perché? Non ne ho idea.
Se questo fosse un film la voce narrante direbbe che è tempo di fare un passo indietro. Il che avrebbe il vantaggio innegabile di tirarmi fuori dalla piscina nella quale sto per cadere.

La pellicola si riavvolgerebbe e mi vedreste tornare indietro fino a dieci minuti fa, quando la festa non mi riguardava. Quando ero ancora dentro alla mia stanza, nella dependance dietro il querceto, dove vivo con papà che qui fa il giardiniere.

Quando questa storia comincia, sono le dieci e un quarto e papà- che è un abitudinario patologico, come molti che hanno la sua stessa sindrome - stava già dormendo in camera sua, al pianterreno. Io, al piano di sopra, preparavo le valigie. Sapevo che non avrei chiuso occhio, troppo eccitata e troppo spaventata dalla svolta che mi aspettava l'indomani. Un volo per Los Angeles lo scambio culturale con un liceo di San Diego. Un anno tutto da scrivere, e il sogno di un percorso universitario di alto profilo che sarebbe iniziato proprio diplomandomi in California.

Tutto fighissimo, finché non hanno suonato alla porta.

E avrei dovuto capirlo che sarebbe finita male. Avrei dovuto capirlo quando ho aperto la porta e ho visto che si trattava di Thomas Taddei e Giacomo Anceschi. Avrei dovuto arrivarci perché loro sono i messaggeri della Bestia.

Sono la guardia scelta di Gregorio Debenedetti.

Sebbene la cosa non mi avesse mai toccato da vicino, tutti al Carducci sanno che Thomas e Giacomo sono quelli che vengono mandati avanti per fare il lavoro sporco.

Non mi è venuto in mente che fosse una trappola neppure quando mi hanno detto che Gregorio voleva vedermi. E questo perché avevo la coscienza a posto. Con Gregorio quasi non ci parlo.

Non importa che si viva dentro lo stesso muro di cinta o si frequenti lo stesso liceo. Io e lui siamo sempre stati cittadini di mondi diversi. Siamo al livello che neppure ci si saluta, tanto per dire.

Arrivata lì, mi sono sorpresa per tutta la gente che c'era. Un sacco di facce note del liceo, insieme a persone mai viste. Ma d'altronde la festa di fine estate è l'evento dell'anno e la cerchia di Gregorio è grande come il portafoglio di suo padre.

Mi sono accorta di lui solo quando mi ha chiamato. Stava lì, vicino a una siepe, in attesa. Qualcuno al posto mio avrebbe notato le spalle imponenti, lo sguardo di un verde liquido, o quella testa di ricci castani che gli danno un'aria tormentata, ma io ammetto di essere rimasta con lo sguardo bloccato sulla t-shirt verde fluo che conferma la propensione di Greg a vestirsi come un trapper fatto di acidi.

Ho smesso di pensare a tutto quando mi sono accorta che mi scrutava come chi pretenda spiegazioni. Aveva quell'aria da sovrano incazzato che gli ho visto spesso in viso, ma mai mentre guardava verso di me.

Poi mi ha rivolto una frase di quattro parole. Al termine della quale ero più confusa di prima.

«Gregorio, stai scherzando, vero?»

«Perché dovrei scherzare con te, Vallesi?»

Era arrabbiato. Ha stretto lo sguardo in una fessura, poi ha alzato il viso offrendomi il suo profilo da statua greca. La contrazione della mascella è stata un guizzo furioso. In quel momento ricordo di aver pensato che il suo era un viso fatto per la rabbia. Un viso da dio della guerra.

«Non credo di aver capito», gli ho detto.

Lui ha chiuso i pugni e ha ripetuto.

«Tu non puoi partire».

«Ho i documenti, il passaporto. Insomma, credo che sia tutto in regola».

«Mi stai facendo incazzare, Vallesi».

Thomas e Giacomo mi hanno guardato malissimo. Greg si è portato una mano alla fronte, quasi stesse gestendo un'emicrania fulminante. Mi è parso un fascio di rabbia senza motivi, un tripudio di nervi logorati da una tensione irragionevole; la postura, le spalle, le braccia sembravano lottare con il desiderio di fare a pezzi qualcosa.

E ho capito che quel qualcosa ero io.

«Vallesi, vediamo di capirci», ha ripreso, e il tono, che cercava di trattenersi mi ha fatto più paura del resto. «Questa idea di partire è una cazzata, okay? E io non ho tempo di star dietro alle tue cazzate. Il prossimo anno ho la maturità. Mio padre mi sta addosso, e voglio pure vincere il campionato. Quindi», punta l'indice verso di me. «Adesso tu mi giuri che non parti, e io dimenticherò questa cosa bruttissima che hai fatto», serra le labbra e poi lo dice, «nel senso che ti perdono, okay?»

Le parole sono scappate via dalle sue labbra, come fossero in imbarazzo. Greg per primo sembrava a disagio per aver detto la parola perdono davanti a testimoni.

«Ma se tu continui a fare come cazzo ti pare, io ti giuro che lo rimpiangi per il resto della tua vita! Anzi per il resto dell'inferno che diventerà la tua vita».

La minaccia da dio distruttore doveva farmi capire. E invece non ho capito nulla. Pensavo di aver imparato a contare fino a dieci.

Ma certe volte, purtroppo, non ce la faccio.

«Tu fai come vuoi. Ma io domani parto».

Gliel'ho sbattuto in faccia e lui mi ha restituito uno sguardo che sembrava aver rubato l'essenza ai temporali, alle burrasche, alla follia.

«Allora buon viaggio, Arianna».

E quasi quello fosse un segnale convenuto Thomas e Giacomo mi hanno afferrato, il primo per le spalle, il secondo per le gambe. Mi sono ribellata, ho protestato, ho provato a picchiarli. Mi sono ritrovata a mordere la mano di Thomas, ma non è servito a niente. Hanno deciso di lanciarmi al tre. E lo hanno fatto.

Ed eccomi qui, al vero inizio di questa storia, mentre volo in piscina.

Volo e aspetto l'impatto con l'acqua.

Aspetto il peggio e mi preparo. Lo faccio da tutta la vita. Mi chiedo perché sia accaduto, cosa ho sbagliato, ma capisco subito che probabilmente la gente come lui, che tiene il mondo in pugno, non ha bisogno di motivi per buttare una come me in piscina.

Ma non gli darò la soddisfazione di piangere, chiedere perdono o starci male.

Io domani parto.

Finisco sott'acqua ma l'inferno, per il momento, è rimandato.

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