CAPITOLO 1

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"Natasha sei pronta?" mi dice mio padre all'orecchio. Annuisco con forza anche se ormai la titubanza fa parte di me.

Sono passati 11 anni da quel giorno in cui la mia vita fu salvata, o rovinata dipende dai punti di vista. Mio padre, Adam Morozov, un uomo all'apparenza dolce e tranquilla, è in realtà il capo, o meglio, il boss della mafia russa. Sorprendente? Raccapricciante? Quel criminale mi ha dato una vita e non posso non essergli pienamente grata. Ci ho messo molto a metabolizzare la cosa considerando che ho scoperto il lavoro di mio padre pochi anni fa. "Avevo paura mi giudicassi o non mi volessi più bene" insinuava lui. Ovviamente avrei preferito facesse un lavoro diverso ma non posso non volergli bene.

Scendiamo dalla macchina, impugno la mia calibro 9 e mi preparo mentalmente alla vista degli spargimenti di sangue a cui dovrò sottopormi oggi. Marcio velocemente verso l'entrata del locale spalleggiata dai miei colleghi che, per puro ordine di mio padre, diventano il mio scudo umano. "So che, anche questa volta, non vorresti essere qui" mi sussurra ad un orecchio Iosif "oramai hai imparato a capirmi" rispondo io. Iosif, il mio migliore amico, l'unico che mi proteggerebbe anche senza l'obbligo di doverlo fare a differenza di tutti gli altri qui. E' proprio lui che mi ha insegnato tutte le regole per quello che ho imparato a chiamare, anche io, lavoro e gli voglio davvero un molto bene.

Ci fiondiamo all'interno del locale sorprendendo un gruppo di uomini seduti in un tavolo da pocker accompagnati da quelle che sembrano, anzi sono senza ombra di dubbio, prostitute.

David e Emilian iniziano a sparare colpi a raffica senza una determinata meta colpendo e uccidendo tutti i presenti senza criterio. Loro sono due gemelli; hanno sempre cercato di essermi amici solo ed unicamente per interesse, ma io ho riconosciuto subito il loro giochetto ed ho deciso di starci alla larga. Nonostante avessi avvertito mio padre della loro poca affidabilità lui non ha voluto sentir ragioni in quanto, nel loro lavoro, li giudica eccellenti anche se a parer mio sono solo delle vere e proprie macchine assassine. Forse però mio padre pretende questo. Spero di starmi sbagliando ma decido di parlarne poi in futuro con mio
padre con la speranza che la pistola che mi regalò anni prima mi sarebbe servita solo per difesa personale e, spero, non per stermini di popolazioni.

Dopo aver recuperato i soldi, ritorniamo sui nostri passi e saliamo nella limousine da cui, solo quindici minuti fa, eravamo scesi. "Come è andata?" mi chiede papà "Come sempre" rispondo seguita da un suo largo sorriso e da un "Sei la migliore". Indecisa dal se sollevare o meno l'argomento a cui avevo pensato poco prima inizio a guardare il paesaggio freddo di Mosca attraverso il finestrino. Dopo circa dieci minuti di riflessione alzo gli occhi e dico "Papà posso chiederti una cosa?". "Certo tesoro". "E' giusto uccidere così le persone, per soldi?". Okay forse potrebbe sembrare una domanda da bambina di dieci anni ma prima d'ora non ho mai avuto il coraggio di porgli un simile quesito. "Sai tesoro, molte persone non meritano la meraviglia della vita.. Allora perchè non togliergliela? Poi se ne riceviamo un compenso tanto meglio. Il mondo gira così bambina mia, o te, o gli altri: l'altruismo uccide".

Rimango spiazzata dalla freddezza e naturalezza con cui pronuncia tali parole, un po' come se le avesse ripetute milioni di volte, sempre le stesse e sempre nello stesso tono. Ma nel momento in cui mi decido a guardarlo negli occhi vedo solo ed esclusivamente la persona che ha deciso di prendersi cura di me. Forse sono accecata dalla gratitudine ma non riesco proprio a pensare a quell'uomo come ad un criminale omicida, per me lui è mio padre e basta.

La limousine ci scarrozza a casa. Vivo nella mega villa di mio padre, estremamente lussuosa e probabilmente anche esagerata per due persone. Dopo aver dato la buonanotte decido di salire le scale per recarmi in camera mia, è mezzanotte passata e nonostante io sia abituata a fare le ore piccole oggi ho davvero molto sonno. Mi spoglio, lego i miei lunghi capelli biondi in una treccia ed indosso il mio solito pigiama di flanella adatto al freddo polare di Mosca in novembre e mi butto a bomba sul mio enorme letto e non appena la mia testa entra a contatto con il caldo cuscino cado in un sonno profondo.

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