Prologue.

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Ci sono molte cose che odio; anzi, potrei osare dire che odio praticamente qualunque cosa, ma tra quelle, ce n'è una che prevale immensamente sulle altre: le coppie innamorate. Non dico che non debbano essere innamorate, o qualunque altra cosa che inveisca contro di loro, ma sarebbe carino se ognuna di essa evitasse di fare ciò davanti il mio sguardo. Sono convinto che nessuno sarà mai in grado di amarmi, e ormai credo di averlo accettato da anni, ma adesso che ho scoperto di non essere neanche sulla sponda sessuale adeguata, la cosa è peggiorata immensamente. Cosa mi ha fatto capire il mio orientamento sessuale? Indubbiamente, un ragazzo. Ci ho parlato raramente, anzi, potrei dire che l'unica cosa che faccio nei suoi confronti sia fissarlo e, lui, in cambio, mi guarda immensamente confuso, inarcando un sopracciglio; ma ciò non succede sempre. Nel senso, non sempre si accorge del mio sguardo tagliente, solo quando esso diventa talmente persisente da diventare una cosa concreta, ovviamente metaforicamente. Per adesso, il mio unico contatto con lui è stato un singolo incrocio di sguardi.
Lo seguo regolarmente sui social, osservando tutto ciò che pubblica, non aspettando altro ogni momento della mia misera vita. Quando il computer trilla, facendo apparire sul display la solita notifica, mi affretto a cliccare il piccolo riquadro e a leggere, o osservare, la cosa varia da ciò che pubblica. Ciò che c'è tra di noi, rimarrà solo nei miei pensieri: sono Eren Jaeger, e sono un ragazzo.

Eren era sicuro di provare qualcosa di davvero forte per il ragazzo, dal primo momento in cui lo vide; o meglio, dal primo momento in cui, lui, gli salvò letteralmente la vita.
Successe tutto talmente tanto velocemente, che il ragazzino a stento lo ricordava, e sicuramente i dettagli peggiori li aveva lasciati correre nel passato, come un sistema di autodifesa progettato dalla propria psiche per non provocarsi altro dolore psicologico, ma almeno il minimo lo ricordava.
Quando gli arrivò la lettera che gli ricordò che avrebbe dovuto fare la visita militare, pensava di venir assegnato al servizio civile, a causa del suo corpo esile e decisamente esageratamente magro. Ma, per un soffio, finì nel reparto operativo; non era troppo preoccupato da ciò, era convinto di riuscir a completare tranquillamente la sua leva militare.
Però, venne preso di mira dal sergente che, prima di tutti, captò la sua debolezza; individuò il suo carattere malleabile e il suo fisico esile, e ciò gli diede tutte le ragione, secondo il suo canto, per scagliarsi ferocemente contro di esso.
«Hey, Eren, il caposquadra ti cerca!» esclamò un ragazzo, facendogli cenno con il capo, indicandogli la porta della stanza in cui il caposquadra lo stava aspettando.
Eren era felice di vederlo, a tal punto che, dopo aver aperto la porta, si avvicinò a lui con, forse, troppa euforia. Non aveva la più pallida idea di cose lo stesse aspettando, ma se avesse avuto anche un briciolo di intuizione in più, sarebbe scappato prima che il caposquadra potesse mettergli le mani addosso; anzi, sarebbe scappato prima di poter aprire la porta.
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«Hey, Jaeger, ti ho detto di tenere le gambe unite!» Urlò il caposquadra, portando i palmi sotto i talloni del ragazzo, in modo da riusci a mantenergli le gambe in alto e unite.
Il ragazzino, non sapendo come comportarsi, iniziò a lamentarsi, chiedendo ripetutamente scusa, e mostrando il suo dispiacere tra un ansimo di dolore e l'altro.
«Sentite come piagnucola! Sembri una ragazzina, Jaeger!» lo stuzzicò, fermandosi per un attimo per riprendere fiato, prima di riprendere a parlare.
«Cos'è, Jaeger? Sei già stanco? Per un allenamento del genere?» il caposquadra cercò di trattenere un risolino vivacemente divertito, per poi spalancare con forza le gambe esili del ragazzo, posizionandosi tra esse, con il pacco appoggiato contro quello del ragazzo.
«Adesso ti do una mano io. Altre trenta in questa posizione!» esclamò estremamente divertito, vedendo il ragazzo soffrire ad ogni sua parola; non aveva ancora detto nulla di estremamente offensivo, eppure, per il più piccolo, sembrava che ogni minima parola pronunciata dall'uomo che lo stava torturando in quel momento, risultasse tagliente al punto giusto. Talmente tagliente che, in quel momento, non riuscì a trattenere le lacrime, e crollò in un pianto silenzioso, tra singhiozzi trattenuti e urla interori mai pronunciate.
«Cosa sta succedendo qui?»
Non riconobbe la voce della persona che, in quel momento, lo aveva salvato, sapeva solo che avrebbe dovuto ad essa la sua vita, più di qualunque altra cosa; il molestatore sopra di lui si scostò velocemente, lasciando il ragazzo steso per terra, con le gambe abbondantemente aperte; talmente aperte che, il ragazzo, non poté a meno di farle cedere sul pavimento lurido e gelido. Il suo sguardo cadde sulle proprie caviglie, diventate viola a causa della stretta esageratamente forte usata dal caposquadra. Non se n'era accorto: le ultime cose che gli facevano male, nel momento in cui l'uomo lo stava torturando, erano le caviglie. Osservando ancora le sue caviglie, un brivido gli pervase la schiena, costringendolo a puntare lo sguardo altrove; quei lividi non sarebbero andati via facilmente e nel breve arco di tempo della loro esistenza, avrebbero continuato a far riaffiorare quelle immagini brutali nella mente del ragazzo.
L'ultima cosa che notò, prima di lasciarsi totalmente andare fu la luce di una torcia puntata sul suo volto, del seguito non ricordava più nulla; o meglio, non voleva ricordare più nulla.

Poco dopo, scoprii che la persona che mi aveva salvato fu Levi Ackerman.
Non vidi più né lui, né quegli ufficiali e, pervaso dalla mia innocente tranquillità, la leva militare finì.

Killing Stalking. _Ereri._Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora