Prendi la mia mano.
Gale Hawthorne esitò sulla porta socchiusa della stanza d'ospedale, scoccando un'occhiata perplessa all'interno, attraverso lo spiraglio: così accasciata sui cuscini, con lo sguardo inespressivo e gli occhi che lottavano per restare aperti, Johanna Mason era tornata ad essere la giovane donna dal volto emaciato che lui e gli altri soldati erano riusciti a strappare con fatica all’incubo della sua cella. L'immagine che i suoi occhi gli stavano mostrando in quel momento lo mise a disagio, velando il suo sguardo di tristezza: era una scena che stonava, se messa a confronto con la Johanna combattiva e disinibita che aveva preso l'abitudine di gironzolargli attorno nel corso delle ultime settimane. Si introdusse nella stanza cercando di non far rumore, chiedendosi se la ragazza avrebbe reagito bene alla sua presenza lì: gli sembrava quasi di spogliarla del suo orgoglio, di violarla, guardandola così, senza che lei potesse fare nulla per mascherare la sua debolezza.
Trovava insolito che si soffermasse a fare simili pensieri, quando Johanna non aveva fatto altro che esporsi con lui, sin da una delle prime volte che si erano incrociati in ospedale, quando di punto in bianco si era sfilata la camicia da notte per gettargliela addosso, ghignando della sua espressione imbarazzata. Aveva continuato a spogliarsi spesso, le volte in cui era sicura che Gale fosse nei paraggi ad osservarla e alle provocazioni fisiche si erano affiancate presto quelle verbali, man mano che Johanna riprendeva possesso di se stessa, scacciando il fantasma dal cranio rasato e il volto smunto con cui le torture avevano cercato di sostituirla. Gale si era abituato gradualmente ai commenti schietti della giovane, ai sorrisetti maliziosi e alle allusioni a carattere sessuale, imparando a non arrossire ogni volta come un tredicenne alle prime esperienze con l'altro sesso. Era evidente che Johanna si divertisse a stuzzicarlo, e non era disposto a lasciarsi mettere così facilmente in imbarazzo, dandogliela vinta ogni volta - costringendosi ad osservarla mentre lei si allontanava con un sorrisetto compiaciuto.
In quel momento era tornato a sentirsi a disagio come i primi tempi, ma nel suo impaccio c'era una sfumatura di dolore che non si adattava in alcun modo all'imbarazzo spiazzante, ma in fondo piacevole provocato dalle continue frecciatine della ragazza.
Gale si sedette a poca distanza da lei, rivolgendole un'ultima occhiata impensierita. La vide sbattere le palpebre e voltarsi verso di lui, un lieve sorriso divertito ad arricciare gli angoli delle sue labbra.
“Buongiorno, bellissimo" mormorò Johanna con voce rauca, cercando di rizzare la schiena. "Spero tu sia qui per farmi uno spogliarello o qualcosa di simile, perché ho seriamente bisogno di movimentare un po' questa giornata."
Gale sorrise, scuotendo appena il capo. La giovane si sistemò meglio contro i cuscini, osservandolo compiaciuta: andava piuttosto fiera, di quel sorriso. Non si vedeva spesso sul suo volto e non erano tanti i fortunati in grado di strapparglielo in maniera spontanea - la sua amica Ghiandaia sembrava aver perso quel privilegio ormai da tempo.
"Volevo solo assicurarmi che tu non stessi facendo impazzire gli infermieri" rispose il ragazzo, appoggiando entrambi gli avambracci sul letto.
"Di' la verità, hai il terrore che trovi qualcun altro da tormentare al posto tuo" commentò Johanna, rivolgendogli un'occhiata sorniona. "Non preoccuparti, Hawthorne, certe attenzioni le riservo solo a te."
Gale distolse lo sguardo, tornando a sorridere debolmente. Il disagio fastidioso che aveva avvertito appena entrato nella stanza stava sfumando, sostituito dal tipico imbarazzo più genuino, sollevato dalle frecciatine della giovane. Non c'era più alcun fantasma gracile e emaciato a fissare con sguardo spento il muro della stanza d'ospedale: la ragazza al suo fianco era ancora Johanna, la stessa Johanna che spesso giocherellava maliziosa con i bottoni della sua divisa del 13, attirandolo a sé per il colletto, cercando di sbirciare oltre il tessuto della camicia. Johanna che si autorizzava a concedersi libertà sul suo corpo che lo spiazzavano ogni volta, lasciandolo di stucco. Le sue mani giocavano spesso a sorprenderlo in momenti in cui era assorto da tutt'altro tipo di pensieri, passando dalla più classica e imbarazzante pacca sul sedere all’appena percettibile colpetto sul fianco. Le sue di mani, invece, erano sempre più spesso impegnate ad allontanarla con impacciata fermezza, mentre il suo sguardo la evitava bruscamente, infastidito dai suoi sorrisetti compiaciuti. Nonostante la totale inibizione, Johanna riusciva comunque a non mostrarsi mai invadente, né eccessivamente insistente, poco intenzionata a stare al passo di chi non cedeva o non ricambiava le sue attenzioni. Quando si avvicinava troppo, recuperava la guardia abbassata allontanandosi con un ghigno, senza lasciare a Gale il tempo di arrabbiarsi per davvero: il più delle volte lui sorrideva e basta, scuotendo la testa con rassegnazione.
"E così dopodomani partite" mormorò improvvisamente Johanna in tono di voce atono. Il sorriso di Gale svanì, sotto lo sguardo d'un tratto indurito della giovane.
"Te l'ha detto Finnick?"
"In realtà è stata tua cugina a sbottonarsi" rispose la ragazza, lasciandosi ricadere pesantemente sul letto. "È per questo che sei qui, Hawthorne? Per un salutino prima della partenza?"Gale non rispose; si limitò a dare una scrollata di spalle, sostenendo il suo sguardo con espressione tuttavia distante. Johannasospirò, alzando gli occhi al cielo: era impegnato in una di quelle riflessioni silenziose che lo sorprendevano di tanto in tanto, rapendolo per allontanarlo dai suoi interlocutori. Johanna aveva cercato più volte di indovinare cosa gli passasse per la testa in quei momenti, scrutando con attenzione i suoi occhi grigi, ma non ci era mai riuscita. I suoi silenzi la irritavano, perché non riusciva a strapparglieli via di dosso, come le veniva così naturale fare con i propri indumenti.
In quel momento Gale fece scivolare una mano sotto al lenzuolo, spingendola a cercare un contatto con quella della giovane. Percorse il suo avambraccio con i polpastrelli e poi il polso, fermandosi contro le sue dita, intrecciandole con le proprie. Johannainarcò un sopracciglio, interrogandolo con lo sguardo, ma Gale si limitò a guardarla senza dire nulla, accarezzandole il dorso della mano con il pollice; era la prima volta che la cercava fisicamente di sua spontanea iniziativa. Johanna sapeva bene che, con tutte le libertà che gli aveva concesso nell’ultimo periodo, avrebbe potuto aspettarsi ben altro, da lui. Sapeva che quelle dita avrebbero potuto sfilarle affamate lungo il corpo, sotto i vestiti, contro la pelle. Eppure in quel momento si limitarono a stringersi in maniera un po' più salda attorno alle sue, mentre l'espressione distante di Gale spariva, lasciando il posto a un lieve sorriso. Johanna ricambiò la stretta, sollevando il capo per incontrare il suo sguardo: avvertì per la prima volta il bisogno dell’altro incunearsi tra le loro dita e non si spinse oltre – né per stuzzicarlo, né per soddisfare sé stessa; quella stretta, in quel momento, le bastava. Si sorprese comunque a scioglierla, poco dopo, ignorando lo sguardo sorpreso del ragazzo.
Johanna sbuffò, passandosi le dita fra le spunte di capelli castani appena accennate sul suo capo e si voltò dall'altra parte. Erano mesi che puntava a ben altro, cercando Gale con tocchi senz'altro più intimi di quello che li aveva appena sorpresi.
Non si era aspettata che una semplice stretta di mano avrebbe potuto farle così paura.
STAI LEGGENDO
Prendi la mia mano.
FanfictionGale si sedette a poca distanza da lei, rivolgendole un'ultima occhiata impensierita. La vide sbattere le palpebre e voltarsi verso di lui, un lieve sorriso divertito ad arricciare gli angoli delle sue labbra. “Buongiorno, bellissimo" mormorò Johann...