1. Enigma

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Lorenzo

Giacca di pelle, sigaretta sempre stretta tra le labbra rosse e carnose, capelli corvini e ribelli al vento e sguardo perso nel vuoto, come se avesse perso connessione con la realtà: osservavo Dana da lontano da almeno cinque minuti e non mi curavo del fatto che lei potesse accorgersene, non m'interessava cosa potesse pensare in quel momento.

Ormai l'avevo persa.
Avrei solo voglia di tornare indietro nel tempo e di azzerare tutti gli errori che ho commesso quest'estate.
Avrei voluto ritrovare quella complicità ormai perduta, che ormai viveva solo sfumata tra i miei ricordi.
Avevo sbagliato tante cose con lei, ma il mio più grosso errore era stato con me stesso: avevo capito di tenere a lei solo quando ormai l'avevo persa.

Ero esattamente a qualche metro di distanza da lei, all'imbrunire di quella giornata di fine estate: lei era bella, anzi, bellissima, i lampioni dietro di lei le marcavano i lineamenti dolci.
Purtroppo potevo stare solo a guardarla da lontano, come se fosse un'opera d'arte in un museo.

Lanciò la sigaretta a terra con fare noncurante e la pestò con gli anfibi neri e lucidi, poi si girò verso di me, fulminandomi come avrebbe fatto Medusa. Increspò le labbra e non mi tolse gli occhi di dosso nemmeno per un secondo, ma non si avvicinò a me, restò lì, inerme, come se qualche muro di difesa la tenesse lontana da me con la forza. Non era molto contenta di vedermi.
In un'altra occasione sarebbe venuta ad abbracciarmi tutta contenta, con un sorriso enorme a illuminarle il volto dorato, ma quella volta era diverso. La sentivo distante. Eravamo distanti, forse destinati a non essere più due amici affiatati come prima.

Non potevo scappare.
Non volevo scappare.
Forse questa era la mia occasione.

Con tutto il fuoco che sentivo bruciare dentro di me mi avvicinai a lei, che continuò a guardarmi con quell'aria di sfida: sembrava quasi che volesse incentivarmi a fare lo stesso. La accontentai e le piazzai i miei occhi addosso, sfidandola, guardando con insistenza le sue iridi scure, che quasi si confondevano con la pupilla, al calare del buio.

Avrei voluto guardare oltre i suoi occhi particolari, avrei voluto leggerla dentro, avrei solo voluto capire cosa le passasse per la testa in quel momento, cosa pensava di me.

Dopo innumerevoli mesi di conoscenza, pensavo di non aver ancora capito nulla di quella ragazza, per me era un enigma, un enigma al quale non riuscivo a trovare una soluzione: più tentavo di capirla, più il mistero si infittiva e si abbassavano le probabilità di risolverlo.
Dana mi aveva trattato bene quell'estate: eravamo usciti insieme parecchie volte, eravamo andati a tantissime feste insieme, era stata così brava da farmi integrare nel suo gruppo di amici, insieme a Giselle. Ma le cose belle non duravano mai molto, purtroppo: ultimamente il suo comportamento nei miei confronti si era fatto alquanto strano, quasi non la riconoscevo più. Era fredda nei miei confronti, mi trattava come un estraneo, come se quello che avevamo vissuto prima non avesse mai avuto importanza. Mi faceva male, mi si stringeva il cuore solo a guardarla, dovevo arrivare al più presto a una soluzione per non sprofondare ancora di più nel mio malessere. Come poteva una ragazza farmi così tanto male? Quali poteri magici possedeva?

Non fare finta di nulla, le hai fatto del male. Lo sai.

Settembre era ormai arrivato, con i suoi venticelli freschi e piacevoli, quei venticelli che ti facevano accapponare la pelle, portandosi via il caldo estivo e il sudore disgustoso che appiccica la pelle. Il giorno dopo sarebbe ricominciata la scuola e Io quella sera avevo deciso di farmi un giro per schiarirmi le idee, ma anche per svuotare la mente dai pensieri che mi martellavano ogni singolo giorno da quando il mio rapporto con Dana era diventato... Strano.

Ardente come il fuocoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora