Cap 3. Cervo di Freyja

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Non è ancora ora, figlio dell'uomo, non è ancora ora. Non è ancora giunta la tua ora.

-Cosa?- Fu l'unico suono che udii proferire alla mia stessa voce.
Ben presto la luce riprese a macchiarmi gli occhi, all'inizio erano solo contorni, ombre e pallide imitazioni di ciò che in realtà doveva essere, poi lentamente iniziai a riconoscere i colori e la figura china su di me.

-Chi siete?- Un sospiro solamente. Mani rugose sporche di sangue, bende e unguenti trafficavano fra le mie membra. 

-Devi riposare, figlio dell'uomo, so chi sei e so perché eri là. Adesso riposa. Ci servi in forze.- L'anziana signora mi azzittì, parlava la nostra lingua? Non ebbi il tempo di domandarle altro perché mise sotto al mio naso l'ennesimo unguento e di nuovo persi conoscenza.

Ripresi le mie facoltà solo alcune lune dopo. Non sapevo nemmeno io l'esatto numero dei giorni in cui ero rimasto privo di sensi, ma quello che mi rassicurò immediatamente fu l'aprire gli occhi e riscontrare che seduti nella cella buia ci fossero anche un manipolo dei miei soldati più fidati. 

-Per i cani di Marte! Qualcuno mi tolga questo mal di testa.- Imprecò Jonathan tenendosi i palmi premuti ai lati delle tempie. 

-Non dirlo a me, gallo! Per le tette della Dea Minerva mi sembra di avere un cerbero nello stomaco!- Una seconda voce, dal tono apparteneva sicuramente a Loine

-Hey! Non bestemmiare! Se siamo ancora vivi è solo merito degli dèi.- 

-Già, degli dèi o di questi barbari bastardi. Sembrano non capire un cazzo della nostra lingua, eccezione fatta forse di quella vecchia, ma d'altronde ci pensa il nostro Sigurn a parlare con loro, no? Già, tua madre non era una Batavi?- Incalzò nuovamente con tono più arrogante e quasi menefreghista. L'arciere non rispose, limitandosi a osservare l'esterno da una feritoia nel muro umido.

-Lascia stare Sigurn, Loine. Senza il suo aiuto a quest'ora tutta la legione sarebbe seppellita in quell'acquitrino schifoso.- Palesai la mia vigile presenza a tutti quanti, i quali risposero in coro un fragoroso: "Capitano!"

Lasciai che i tre raccontassero la loro versione dei fatti, di come fossimo arrivati lì e di come quel clan ci avesse salvati dal campo di battaglia, noi soli eravamo rimasti indietro: chi a coprire gli altri, chi a soccorrere i feriti e chi a bearsi della frenesia dell'ultimo attimo. 

Passarono ancora innumerevoli giorni senza che qualcuno ci spiegasse il motivo di quel loro gesto caritatevole, continuavano a sfamarci con carne e zuppe ma senza mai rivolgerci la parola. 

Una notte, quando ormai avevamo perso le speranze, l'anziana donna tornò da noi scortata da un paio di guerrieri. Aveva il viso completamente dipinto di bianco da una strana pastura densa data molto rudemente con le dita, gli occhi cerchiati di nero e le vesti fatte di pellicce animali di origine sconosciuta.

Il Deserto dei PilastriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora