Cap 7. L'Aspide giù nelle vene

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-A Dioniso e alla dea Hathor!- Un ululato salì dal centro di quella numerosa baraonda, fatta di soldati, schiavi, intellettuali, prostitute, vino e ovazioni deliranti, il tutto accompagnato dal continuo suono dei musicisti. 

Un sorriso divertito, tranquillo e rilassato mi si dipinse sulla bocca, uno degli schiavi parve notarlo e si sporse avvicinandomi il bocchino della pipa d'oppio. Detti un paio di respiri profondi. Fissai per qualche istante le dita piccole e curate dello schiavo, gli schiavi domestici erano di certo i più gradevoli che l'Antico Regno aveva da offrirci, eppure il mio sguardo indiscreto parve intimorirlo facendolo tornare subito a soddisfare una delle mie gentili ospiti, abbandonata fra i cuscini lì accanto. 

Alzai gli occhi al cielo di Heracleion, c'era solo la volta celeste a coprirci quella notte e in lontananza si potevano scorgere le nubi che presagivano il fortunato evento, che da lì a pochi giorni si sarebbe consumato fra le sponde del Nilo. La piena nei campi portava con sé abbondanza e gioia in tutto il Regno d'Egitto, e quell'anno anche la tremenda carestia susseguitasi negli ultimi quattro mesi sarebbe scomparsa. 

Scostai la schiena dai cuscini soffici e, facendo leva sul ginocchio, mi alzai in piedi sistemandomi la tunica pregiata e di costosa fattura. Mossi qualche passo allontanandomi lentamente. Lasciavo i miei ospiti in buone mani e sapevo che al mio ritorno li avrei trovati di nuovo lì a giocare, bere, discutere di filosofia, massimi sistemi, cartografia, politica, tattiche di guerra e sesso. 

Costeggiai le siepi d'alloro e mi inoltrai oltre il giardino d'ulivi secolari, il mio incedere era lento e misurato, merito del molto vino che avevo ingerito quella sera

Fermai i miei passi solo quando mi ritrovi dinanzi alla statua del Dio Anubi, che troneggiava alto circa tre metri, nel piccolo santuario al centro dei giardini della mia villa. Quella statua era un antico omaggio risalente al sacerdozio di mio nonno.

Sospirai raccogliendo una brocca, lasciata abbandonata ai piedi di una schiava svenuta, annusai il contenuto, non c'erano tracce di vomito e il vino pareva non aver perso la sua dolce fragranza fruttata. Non mi disturbai nemmeno ad afferrare un calice, fissai dritto negli occhi lo sciacallo nero e facendogli un brindisi portai la bocca direttamente a contatto con la grezza argilla. Bevvi a grossi sorsi scolando del tutto il contenuto, l'appoggiai sul gradino vicino alla statua del Dio e mi addentrai oltre, iniziando ad accusare sempre di più gli effetti dell'alcol che mi scorreva dentro. Forse avevo esagerato, forse, ma ormai erano passati secoli da quando non perdevo completamente i sensi per il troppo bere.
Scoppiai a ridere a quel pensiero.

-Doriano, dovresti essere un uomo più disciplinato ora.- Dissi a me stesso ad alta voce, ma non riuscii a rimanere lucido a lungo che subito tornai a ridere rauco appoggiando la spalla e tutto il corpo alla colonna lì accanto. Sospirai buttando indietro la testa, vedevo lucido e il calore iniziò di nuovo a divorarmi le membra, sganciai l'usekh, ovvero la piastra d'oro intorno al collo, lasciandola cadere nell'erba. Poi mi passai la mano fra i pettorali sudati provocandomi inavvertitamente un brivido freddo a causa dello strusciare del bracciale avvolto intorno al polso. 

Rimasi qualche istante a osservarlo: l'Ouroboros, un serpente in oro attorcigliato su se stesso che si divorava la coda da solo, tramandato da secoli all'interno della mia famiglia.

Sapevo di star deludendo entrambi i miei genitori, in parte, ma raccontavo a me stesso che non me ne fregava niente. Ero stanco e volevo solo una pausa da quella tediosa vita politica, che mio malgrado, dovevo dare la colpa solo a me stesso per averla scelta di mia spontanea volontà.

Venni di lì a poco distratto dalla fresca brezza del mare, là dove c'era il parapetto che dava su tutta la foce del Nilo. Traballante mi diressi proprio in quella direzione, lasciai cadere i gomiti sul marmo intarsiato proveniente dall'Italia, e accasciandomi in avanti presi la testa fra le mani.
Giravo tutto e qualcosa mi stava suggerendo non fosse solo colpa del vino, da chi avevo comprato l'oppio? Scossi il capo e mi stirai come un gatto inarcando totalmente le spalle e il sedere all'infuori. 

Il Deserto dei PilastriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora