Prologo.

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Alle 8:30 la campanella che segna l'inizio della prima ora, suonò. I ragazzi, che erano sparpagliati nel corridoio della scuola a parlare di come avevano trascorso il weekend, entrarono controvoglia nelle loro rispettive classi.
La professoressa Scalpelli era appena entrata in una delle classi chiudendo immediatamente la porta dietro di se col registro delle presenze in mano che lasciò cadere stancamente sulla cattedra.
«Buongiorno ragazzi!»
«Buongiorno prof.» risposero loro in coro in tono ormai confidenziale. 
La professoressa prese posto dietro la cattedra e appoggiò la borsa alla spallina della sedia. Malinconicamente guardò i suoi alunni uno per uno, ricordandosi di quando li aveva visti la prima volta. La VB, la sua amata VB.
La sua mente la riportò in un attimo in IB. Quelli che adesso sono dei baldi giovanotti pronti a sostenere un esame di stato e ad entrare nel mondo degli adulti, anni fa non erano altro che dei pulcini smarriti che avevano perfino il terrore di copiare un compito per paura di essere scoperti. E invece adesso l'uno asciugava le lacrime dell'altro, tutti si davano conforto a vicenda durante le interrogazioni e durante i compiti in classe c'era sempre qualche fogliettino che passava. Sempre. Anche se i professori facevano finta di non vedere niente.
Distolse la mente dai quei pensieri. L'anno era cominciato da poco e le cose da fare erano tantissime. Diede un ultimo sguardo ai suoi alunni, guardandoli uno ad uno per poi soffermarsi sul banco vuoto accanto alla finestra.
«Caterina ed Asia non verranno? Sapete qualcosa?» chiese mentre apriva il registro con l'elenco completo degli alunni.
«Ieri Caterina ha detto che non si sentiva bene...» rispose uno di loro mentre nel telefono apriva la chat del gruppo di classe per vedere se ci fossero aggiornamenti.
«E Asia?» chiese nuovamente la professoressa.
«L'abbiamo vista Sabato a scuola, ma poi non si è fatta più sentire. Non ha scritto nemmeno sul gruppo.»rispose nuovamente Andrea continuando a cercare nella chat qualche messaggio che forse si era perso. «Tu Michele nemmeno sai niente?» gli chiese la sua compagna di banco, Patrizia, guardandolo di profilo.
«No, non so nulla. Sono stato malato una settimana e l'ho solo sentita per messaggio. Sabato durante la ricreazione mi ha dato i compiti e fatto un riassunto delle prime ore ma poi... niente. Non l'ho più sentita.» disse Michele con aria tranquilla. Sapeva che di tanto in tanto, l'amica, il sabato e la domenica spariva per rifugiarsi in un appartamento di sua proprietà con il fidanzato per poi ricomparire il Lunedì mattina a scuola. I genitori lo sapevano ed erano d'accordo. 
«Dunque non sapete se è malata? O è partita?», insistette la professoressa, nessuno degli alunni rispose. La professoressa non disse più niente e iniziò con l'appello.
«Aricò Giulia.» iniziò a dire, ma la diretta interessata non fece in tempo a rispondere perché la porta della classe si aprì violentemente ed entrò Caterina con gli occhi gonfi, il viso rigato dalle lacrime e alcune ciocche di capelli incollati al viso. Respirava affannosamente e non riusciva nemmeno a parlare. La professoressa si spaventò nel vederla così e si alzò in piedi pronta per andare incontro alla sua allieva, ma Caterina iniziò a parlare e tutto si fermò in quell'istante.
«Asia non verrà a scuola oggi. E nemmeno domani. E neanche dopodomani...» tirò su col naso e continuò il suo angosciante discorso. «Sabato subito dopo l'uscita dalla scuola non è tornata a casa, i genitori hanno chiamato Luca pensando che fosse con lui, ma lui l'aveva sentita solo la mattina presto...» prese un fazzoletto stropicciato dalla tasca del giubbotto e soffio il naso, poi con la manica si asciugò gli occhi, pronta a riprendere il racconto. «I genitori si sono preoccupati, hanno provato a chiamarla ma il telefono dava la segreteria... Hanno fatto la denuncia di scomparsa, ma i carabinieri l'hanno accettata solo oggi... Più tardi verranno a scuola per informare il preside dell'accaduto...» e voleva continuare il discorso ma scoppiò in un pianto disperato. Provò a fare dei passi per raggiungere il suo posto, ma per lo stress, la paura, la debolezza, cadde in ginocchio incapace di rialzarsi.
"La mia migliore amica è scomparsa nel nulla e io non lo sapevo. La mia migliore amica è scomparsa e lei non poteva fare niente per aiutarla. La mia migliore amica mi aveva chiesto di tornare a casa insieme Sabato ma io avevo un appuntamento subito dopo scuola col ragazzo che mi piace e le avevo risposto di no. Ero stata una cretina." Pensò.
Mentre tutti questi pensieri le massacravano il cervello, sentì due braccia robuste sulle spalle. Riconobbe subito il profumo di chi la stava abbracciando. Era Michele. Il terzo elemento del loro formidabile trio, che nel frattempo si incolpava per essere stato tanto stupido da non preoccuparsi per il ritardo dell'amica.
Caterina ricambiò dolcemente l'abbraccio dell'amico e nel frattempo non riusciva nè a smettere di piangere nè a smettere di darsi la colpa. "Se solo l'avessi accompagnata a casa." continuava a pensare.
In mattinata i genitori passarono dal preside a dare la notizia e lui, per solidarietà, aveva sospeso tutte le lezioni del giorno.
Tanto nessuno riusciva a concentrarsi, perciò restare a scuola era inutile.

La scuola non era grande e non era frequentata da tanti alunni. In più tutti si conoscevano tra di loro e perciò nessuno prese bene la scomparsa di Asia.
Caterina e Michele uscirono insieme da scuola, lei attaccata ad un suo braccio e la testa appoggiata alla spalla. Entrambi si sostenevano a vicenda.
Fecero il tragitto di ritorno a casa insieme. Nessuno dei due aveva il coraggio di parlare. Caterina cercava di trattenere le lacrime e Michele decise di rompere il silenzio:
«Dovresti smetterla di sentirti in colpa, tu non c'entri niente. Non potevi sapere cosa sarebbe accaduto.»
«Non ci provare. Si che è colpa mia, se andavo con lei non succedeva questo.» disse lei tra un singhiozzo e l'altro.
«Si… oppure vi rapivano entrambe!» sbottò Michele.
«Almeno lei non sarebbe da sola chissà dove... Non provare a farmi stare meglio perché non ci riesci.» urlò Caterina staccandosi dall'amico e aumentando il passo per superarlo.
«Se la metti così è anche colpa mia.» gli urla Michele per farsi sentire dall'amica ormai lontana. Caterina sì ferma, si gira e torna indietro piazzandosi proprio di fronte l'amico.
«Sei stato malato e costretto a stare a casa per una settimana, come può essere colpa tua?» disse guardandolo negli occhi azzurrissimi. Lui si passò una mano tra i capelli biondi e guardò a terra.
«Ragazzi!» si sentirono chiamare in lontananza. Era Patrizia che affrettò il passo per raggiungerli.
«Vi ho sentito urlare, posso aggiungermi a voi? Oggi sono a mangiare da mia zia e almeno un pezzo di strada lo facciamo insieme.» chiese.
«Come è possibile che oggi ci sono diecimila persone che passano da qui e Sabato non c'era nemmeno un cane?» sbottò Caterina ricominciando a camminare e allontanandosi dai due senza aspettare una risposta.
«Certo» sospirò Michele, senza togliere lo sguardo da Caterina.
«Comunque... ho sentito più o meno quello che vi stavate dicendo. Non iniziate a darvi la colpa, non è colpa di nessuno...» iniziò a dire Patrizia.
«No senti, non iniziare anche tu.» la fermò Caterina, che nel frattempo aveva rallentato il passo ed era stata raggiunta dagli altri due.
«Beh, lascia solo che dica una cosa... Se doveva succedere, sarebbe successo comunque.» e poi tutti e tre ripresero il cammino in silenzio.

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