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Sento un lieve calore sul mio corpo e apro lentamente gli occhi. La luce in un primo momento mi da fastidio, ma poi mi abituo. È giorno, posso notarlo sempre dalle finestrelle in alto al muro. Troppo strette per poterci passare attraverso, penso. Non c'è nessun'altra via di fuga attorno a me se non per la massiccia porta di ferro da cui avevo visto entrare quell'uomo il giorno prima, o almeno credo che fosse il giorno prima visto che ho perso la cognizione del tempo. La polvere del pavimento mi infastidisce sia gli occhi che la bocca. Continua a farmi male ogni parte del corpo, ma decido di mettermi seduta. Non posso fare a meno di notare il mio corpo ricoperto da non so quanti strati di polvere. Sono sempre stata una persona molto schizzinosa per quanto riguarda l'aspetto fisico e l'igiene personale e tutto lo sporco che ho addosso mi fa stare veramente male. Provo ad ingoiare e sento la gola secca. Tossisco e il sapore del sangue non tarda a farsi sentire in bocca. Sputo. Che schifo, penso. Una serie di domande comincia a tartassarmi il cervello.
Perché quell'uomo ha scelto me?
Sulla base di cosa?
Come è successo?
Come ho fatto a non accorgermi di nulla?
Dove avevo la testa quando mi ha rapita e portata qui?
Ma soprattutto, come ho potuto farmi fregare senza nemmeno essere in grado di difendermi? Questo è un oltraggio allo sport che pratico da sempre.
Come riesco a pensare allo sport in un momento del genere? penso ancora. Tutto d'un tratto cerco di riportare la mente al giorno del rapimento e mi rendo conto di ricordare dei dettagli in più.
Avevo litigato con il mio professore di matematica per l'ennesima volta, era l'ultima ora e per distrarmi avevo messo la musica ad alto volume mentre tornavo a casa. Ecco perché non avevo sentito nessuno avvicinarsi, la musica  non mi faceva sentire niente attorno a me. E poi? E poi una mano forte mi prende per una spalla, non faccio in tempo a fare nessun movimento che mi appoggia un fazzoletto sul viso e in un attimo tutto diventò nero. Un'altra domanda è: Com'è possibile che nessuno si è accorto di niente? Ad un tratto sento un rumore, ancora qualcosa che si apre in lontananza e poco dopo anche la massiccia porta di ferro si apre. Entra un uomo. Non ha nessun passamontagna e riesco a distinguerne i tratti. Sembra un uomo sulla trentina, viso squadrato, fisico palestrato e ben vestito. Lo avrei trovato carino, in altre circostanze.
Ha un vassoio in mano e si avvicina verso di me. Continuo a guardarlo e noto che ha gli occhi marroni, Perciò non è lui l'uomo che ho visto in precedenza, penso ancora. Mentre continua a camminare verso di me mi salta in mente un'idea fantastica su come andare via da qui.
Nel frattempo l'uomo misterioso si inginocchia poco distante da me e appoggia il vassoio a terra e solo allora scatto in piedi e cerco di correre contro la porta per fuggire ma l'uomo è più veloce di me, scatta in piedi e mi afferra pesantemente per un braccio facendomi male.
«Speravi davvero di riuscire a fregarmi?» e sorride in maniera spaventosa mentre io mi lamento per il nuovo dolore provocatomi.
Sempre tenendomi per il braccio mi costringe a sedermi e scoperchia il vassoio che aveva precedentemente portato.
Pensavo di trovarci dentro pane e acqua e invece c'era ogni sorta di bene.
«Mangia e mettiti in forze, oggi comincia la tua nuova vita.» dice. Deglutisco e sento un nodo terribile formarsi in gola. Non riesco nemmeno a respirare terrorizzata all'idea di quello che mi aspetta, ma allo stesso tempo ho tanta sete e mi fiondo all'istante sulla brocca piena d'acqua fresca. Il senso di secchezza sparisce poco dopo, in compenso la fame inizia a farsi sentire e decido di mangiare quello che c'era nel vassoio, Se devo fuggire preferisco almeno essere in forze, penso mentre inizio a mangiare dei buonissimi pancake dopo che li ho inzuppati di sciroppo d'acero. Sono buoni, sono stranamente buoni e sono, sicuramente, la cosa più bella capitata fin'ora.
L'uomo che ho di fronte non smette di fissarmi e la cosa a lungo andare mi da i nervi.
«Perchè non posso sapere chi mi ha rapito?» chiedo dopo aver ingoiato l'ultimo pezzo di pancake rimasto. L'uomo di fronte a me sorride, Cosa c'è di tanto divertente?, non posso fare a meno di pensare, e intanto lui continua a tenere lo sguardo fisso su me. Solo ora mi rendo nuovamente che l'unico abbigliamento che ho è l'intimo sporco. Provo immediatamente un senso di vergogna. Arrossisco e subito dopo provo il desiderio imminente di coprirmi. Abbasso lo sguardo sul vassoio ormai vuoto.
«Lui si farà vedere solo quando sarà pronto, per il resto non devi avere paura perché nessuno qui vuole farti del male.»
«È un po' difficile da credere, non trovi?»
«Vedrai.» e si alza. Mi tende la mano e mi aiuta ad alzarmi in piedi, poco dopo mi afferra per il polso e mi fa un cenno di seguirlo con la testa.
Usciamo dalla porta massiccia e siamo in un corridoio buio ma non particolarmente lungo. Di fronte a noi una porta di ferro e dopo aver visto i pulsanti laterali mi rendo conto che si tratta di un ascensore. Mi spinge dentro e poi entra anche lui. Per la prima vedo la mia immagine riflessa nello specchio dell'ascensore, un'immagine oscena e che mi da il voltastomaco. Il mio viso è stanco, ho le occhiaie. I capelli sono una massa aggrovigliata un po' bianchi a causa dello sporco e un po' del loro colore naturale: castano.
Sembro uno zombie, un'immagine davvero deplorevole. Misera. Penosa. Spero con tutta me stessa di dimenticarne presto ma, in cuor mio, sono perfettamente consapevole che tutto quello che accadrà da ora in poi sarà molto difficile da dimenticare.
«Posso almeno sapere il tuo nome?» chiedo guardando l'immagine dell'uomo riflessa nello specchio.
«Mi chiamo Adriano.» dice in un sospiro e subito preme il pulsante dell'ascensore che indica il numero 1.
Adriano, ripeto di nuovo nella mia testa, Come l'imperatore.
Nei cinque minuti successivi nessuno dei due apre bocca. Io continuo a guardare la mia immagine riflessa nello specchio. L'unica nota positiva è il mio fisico asciutto e con alcune parti in cui si nota il frutto del mio lavoro, ovvero tutti gli allenamenti extra fatti per prepararmi alle gare che sarebbero venute. E a questo pensiero inizio a innervosirmi. Ero stata rapita, questo significa soprattutto niente allenamenti, niente gare e mesi di preparazione praticamente inutili.
La porta dell'ascensore di apre. Adriano mi prende di nuovo per il polso e mi trascina fuori.
Un corridoio, però stavolta è parecchio illuminato, i muri sono ricoperti da un'adorabile carta da parati azzurra e le pareti sono tappezzate di quadri che però non riesco a vedere cosa rappresentano perché Adriano mi trascina velocemente in una stanza proprio accanto alla porta dell'ascensore. Un bagno. Un bel bagno.
«Qui troverai tutto quello che ti serve per darti una pulita e tornare ad essere splendida, comincia a lavarti che tra un pò ti porto qualcosa di pulito da mettere.» dice Adriano lasciandomi il braccio, uscendo e chiudendo porta a chiave dietro di sé. Non perdo tempo, noto che di fronte a me c'è una doccia dalla quale proviene molta luce, sicuramente c'è una finestra lì dietro, perciò apro le ante della doccia e a primo impatto provo una sensazione di sollievo che però svanisce subito quando mi rendo conto che la finestra c'è, però ha le sbarre. Provo a guardare il panorama fuori e c'è il nulla. Sono in un posto in mezzo al nulla. Solo campi di grano. Una distesa  immensa di campi di grano. Chi mai mi  avrebbe trovata qui? Piango, per la prima volta dopo tanto tempo piango. Per paura, per disperazione... Inizio un pianto che è quasi come uno sfogo e mi inginocchio con le mani infilate tra i capelli. Non c'é una via di fuga, sono in trappola. Decido di reagire. Mi spoglio, entro nella grande doccia e lascio che l'acqua calda mi bagni. Lascio che l'acqua calda faccia scivolare via dal mio corpo gli strati odiosi di polvere e inizio a districare i capelli da tutti i nodi che si sono formati. Stranamente in questo bagno non manca niente, trovo tutto quello che mi serve e che uso di solito e la cosa mi fa inorridire. Da quanto tempo mi osserva questa gente malata?, Penso, e nel frattempo risciacquo i capelli dallo shampoo. Chiudo l'acqua e resto in contemplazione cinque minuti. Successivamente prendo la morbida asciugamano che trovo accanto alla porta e l'avvolgo attorno al mio corpo. Subito dopo sento la chiave girare nella toppa e compare Adriano con in mano una busta. Resta sorpreso per una manciata di secondi quando mi vede, poi butta la busta a terra e mi ordina rudemente di vestirmi. Poi esce dalla stanza e chiude di nuovo la porta a chiave.
In un primo momento allontano la busta, che sbatte nella porta, con un calcio e inizio ad asciugare i capelli con tutta la cura possibile.
Successivamente prendo la busta e dentro ci sono solo delle mutande di pizzo verdi, un reggiseno anch'esso di pizzo e anch'esso verde e una vestaglia di seta, verde anch'essa. 
Guardo gli indumenti un po' incredula, li indosso e il fatto che mi calza tutto a pennello mi terrorizza.
Mi guardo nello specchio rettangolare accanto alla porta e l'immagine che vedo, nonostante tutto, mi piace.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 31, 2018 ⏰

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