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Non appena riprendo conoscenza noto subito di essere legata al soffitto con una catena, i polsi stretti in delle manette di ferro e riuscivo a toccare il pavimento ruvido e polveroso soltanto con le punte dei piedi.
Freddo. L'unica cosa che riesco a percepire alla perfezione è il freddo che sembra penetrarmi nelle ossa.
Ogni parte del mio corpo prova dolore, come se fossi stata presa a calci per giorni interi. È notte. In un muro alla mia sinistra, in alto, c'erano delle finestrelle strettissime dalla quale si notava il cielo quasi buio se non fosse per qualche stella qua e là. L'unica luce che si notava era quella di un lampione e illuminava debolmente il posto in cui mi trovavo. Un posto tetro, sporco, che non aveva nessun dettaglio particolare.  Ho ancora brividi di freddo, le finestrelle sono aperte e seppur piccole, lasciavano entrare l'aria fredda della notte. Decido di guardarmi e noto che non ho niente addosso, solo l'intimo macchiato di terra. Questa rivelazione mi terrorizza.
Non so dove sono. Non so se è un garage, uno sgabuzzino, un magazzino abbandonato chissà dove...  Ma soprattutto non avevo la più pallida idea di chi potesse avermi portato qui. Il terrore mi fa sentire un brivido per tutta la schiena. Come era successo? Ricordo che stavo camminando verso casa... E poi? E poi tutto sfocato finché non vidi il buio totale.  Ma perché? Che intenzioni ha?
Sento in lontananza il rumore di una porta che si apre e inizio a tremare più di prima.
Freddo? Sì. Paura? Soprattutto.
Ad un certo punto vedo che qualcosa di fronte a me si illumina, chiudo gli occhi per la paura e da dietro le palpebre riesco a capire che qualcuno ha acceso la luce di quella tetra stanza. Ride. Una risata spaventosa.
«Non devi aver paura mia piccola cara, sei al sicuro qui.» dice in maniera davvero spaventosa e lo sento avvicinarsi a me. È una voce maschile, una voce giovane. Una voce che, in situazioni normali non mi farebbe paura. Sotto sotto sembra quasi familiare.
«Apri gli occhi, suvvia, ammira dove ti ho portato.» dice di nuovo, ma ho preferito ignorarlo. Ad un certo punto mi sento prendere le guance con violenza, il suo fiato sul collo mi da i brividi, «ti conviene fare tutto quello che ti dico, se non vuoi passarla peggio.» mi minaccia.
Apro gli occhi. Tutto attorno non c'era niente. Solo quattro muri, un pavimento alquanto polveroso e di fronte a me lui. Ha addosso un passamontagna ma i suoi occhi, ovvero l'unica cosa che riesco a intravedere, li ricorderò a vita: azzurri come il ghiaccio, freddi e penetranti.
«Perchè sono qui? Che cosa vuoi da me?» domando non appena riesco a trovare un po' di coraggio, cercando di dimenarmi nel tentativo di liberarmi. Lui molla la presa sulle mie guance e inizia a giocare col mio ombelico. Sorride e non smette di fissarmi negli occhi.
«Vista in questo modo sei ancora più bella e... soprattutto sexy.» dice rimarcando la parola sexy.
«Che cosa vuoi da me?» chiedo ancora, pregando tra me e me che le mie intuizioni fossero false. Lui continuava a sorridere. Accenna un ghigno.
«Lo scoprirai presto, baby.» e con la mano con il quale stava giocando con l'ombelico diede due colpi decidi alle mie parti intime, provocandomi un fremito.
Le mie intuizioni, purtroppo, erano esatte. Sento gli occhi inumidirsi e la paura crescere dentro di me. Lui in risposta ride di gusto; poi gira i tacchi si avvicina alla porta, spegne la luce e se ne va chiudendo la porta dietro di sé.
«Non ti preoccupare cara, non ti lascio sola... tornerò.» e si allontanò continuando a ridere in maniera sadica.
«Voglio andare a casa!» urlo. Ma nessuno era lì per sentirmi.
Scoppiai a piangere per la disperazione. Ero stanca, ero dolorante e soprattutto mi aspettavano cose ben peggiori. Provo a dimenarmi, ma la stanchezza era troppa. Dopodiché di nuovo il buio.

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