Capitolo 1

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Ero appena uscito da lavoro e pioveva a dirotto... Perfetto. Ero anche senza ombrello... Mi aspettava una bella doccia fino all'auto. Non che mi dispiacesse, io amavo quel clima freddo ed umido creato dalla pioggia, era piacevole sentire le gocce di pioggia ticchettare sulla tua pelle... Come se fossero felici di colpirti, trovando una fine di migliore, rispetto alle altre che si schiantavano al suolo, esplodendo in tante altre piccole goccioline che cadendo nella pozzanghera già presente, creavano quella serie di cerchi che diventavano sempre più grandi fino a scomparire ai margini della pozzanghera. Solo che quel giorno non ero in vena di festeggiare con la pioggia... Avevo ricevuto solo poche ore prima, la notizia della morte di mio nonno. Ero molto legato a lui, fin da bambino. I miei genitori erano importanti imprenditori e non avevano mai tempo per la famiglia ne tantomeno per me, così mi lasciavano da nonno Gerard e poi andavano via, non sapendo se li avrei rivisti la sera o qualche giorno dopo. All'inizio soffrivo per questa cosa, ma mio nonno seppe perfettamente diventare sia madre che padre... Era un uomo fantastico, se non ci fosse stato lui, sarei sicuramente finito con una stupida ed acida tata, che mi avrebbe anche trattato male, essendo interessata ad intascarsi solo i soldi dei miei genitori. Nonno Gerard, assomigliava tanto a quei nonni delle favole o raccontati nei film: Era alto e aveva una zazzera di capelli bianchi, accompagnati da una soffice e lunga barba dello stesso colore, un sorriso enorme sempre stampato sul viso che sembrava la cura per ogni cosa e tanta, ma tanta voglia di vivere... Quell'uomo sprizzava gioia e vitalità, poi era molto bonario e amava scherzare. Infatti ne faceva tantissimi alla nonna ma anche a me. Mi ricordavo ancora gli strepiti della donna, le sue occhiatacce e lui che rispondeva con il suo solito sorriso e un occhiolino, che gli conferivano un perdono immediato da parte dell'anziana. Erano una coppia molto legata, si erano sposati ai tempi della guerra e avevano continuato ad amarsi per ben cinquant'anni, come se fossero sempre al primo giorno... Il loro amore non si era mai ossidato. Quando lei morì, nonno Gerard ne uscì distrutto e per un bel po' di tempo i miei genitori non mi portarono più da lui. Io chiedevo perché e insistevo per andare da lui. All'epoca non capivo il dolore che provava... In fondo ero solo un bambino che reclamava l'amore del nonno. In quel periodo, che durò tre mesi, seguii i miei genitori un po' in giro per il mondo: Cina, Italia, India... In tre mesi avevo visitato molte città e paesi, se così si può dire. Più che altro stavo in hotel o semplicemente nei loro uffici. Avevo dieci anni e guardavo la vita delle altre persone, scorrere in modo semplice e normale, dalle grandi  vetrate di quegli enormi edifici che consideravo prigioni... Mi mancavano un mondo, le giornate con il nonno... Mi veniva sempre a prendere a scuola e nel tragitto, nella sua bella macchina d'epoca, faceva risuonare canzoni di tempi antichi e che lo portavano sul viale dei ricordi. Ogni canzone, corrispondeva ad un ricordo o ad un'avventura per lui, ed io rimanevo lì incantato ad ascoltarlo. Sembrava conoscesse tutto e tutti. Un profondo e infinito pozzo di conoscenza. Una volta a casa, poi, mi faceva mangiare ciò che più mi piaceva anche se a volte insisteva per farmi mangiare qualcosa di più salutare. Sbuffavo pesantemente, ma lo accontentavo... In fondo lui era così buono con me. Il pomeriggio, dopo aver fatto i compiti, perdevamo ore ed ore in giochi sempre differenti e divertenti: Nascondino, Acchiapparella(correva davvero veloce per avere 63 anni) Costruire Puzzle, Giocare con i soldatini( e grazie alla sua conoscenza della guerra, organizzavamo delle vere e proprie battaglie)... Poi la sera, mi metteva a letto, dopo aver mangiato qualcosa di leggero(diceva sempre che la sera non bisognava appesantirsi troppo altrimenti il sonno sarebbe stato terribile, da conciliare), e mi leggeva storie su storie fin quando non mi addormentavo. Quando poi finivano le storie, attingeva al suo pozzo di conoscenza e mi raccontava le cose più disparate ma non solo. A volte si limitava a semplici annedoti della sua adolescenza o di quando era bambino. Insomma era il nonno che tutti desideravano. Quando quei tre mesi terminarono, e i miei genitori mi comunicarono che sarei tornato a passare le mie indimenticabili giornate con il nonno, mi ricordo che ero davvero eccitato e felice all'idea, ma una volta al suo cospetto notai immediatamente che qualcosa non andava... I suoi capelli avevano cominciato a cadere e la sua barba era incolta, gli occhi perennemente rossi e gonfi e il suo sorriso gioviale e pieno di speranza era scomparso... Il nostro rapporto comunque, non cambiò. Ma io vedevo, sapevo che lui non stava bene e questo non faceva stare bene neanche me, così un giorno, all'età di quindici anni, quando mi ritenni abbastanza maturo da affrontare un discorso da uomo a uomo con lui, decisi di fare domande volendolo aiutare. All'inizio lui mi scansava, evitava le domande o semplicemente mi rispondeva male, fin quando un giorno non lo colsi proprio in uno dei suoi momenti deboli, dove piangeva. Era notte fonda e pioveva, io mi svegliai per andare a bere e una volta scese le scale, sentii singhiozzare. Seguii il suono ed arrivai poco dopo in cucina, trovando mio nonno, seduto su uno sgabello, vicino all'isola della cucina, che piangeva davanti ad una tazza, ormai fredda, di tè. Mi avvicinai lentamente da dietro e lo abbracciai. L'uomo si voltò verso di me e mi guardò con una tristezza ed una distruzione negli occhi, che li fece inumidire anche a me, e mi abbracciò di nuovo, aggrappandosi a me, come se fossi una specie di ancora. Un appiglio a cui appendersi per non lasciarsi andare. Rimanemmo molto tempo in quella posizione e solo dopo che le sue lacrime e i suoi singhiozzi si furono calmati, mi sedetti accanto a lui, e lui cominciò a sfogarsi con me, a raccontarmi come si sentiva solo, perso... Diceva di aver perso il suo sorriso. E per la prima volta, capii a cosa era dovuto quel perenne sorriso... Il suo sorriso era lei, e adesso era morta... Quella storia mi commosse davvero tanto che ancora oggi, se ci pensavo, gli occhi mi diventavano lucidi. Avevo avuto la dimostrazione del vero amore. Speravo tanto di trovarne uno uguale, ma il destino aveva in serbo per me, altri piani. Scoprii di essere omosessuale a soli 17 anni e da lì cominciarono i miei problemi con l'amore... Mi fidanzai quattro volte. Quattro fiaschi. Erano tutti interessati ai miei soldi o al mio corpo... Da loro non arrivava quel calore e quel sentimento di cui avevo bisogno, anche se loro tentavano di simularlo, facendomi regali o facendo le tipiche cose da fidanzatini: un bacio, una passeggiata, un film insieme... Ma inevitabilmente anche questi piccoli gesti, in cui mi illudevo che loro potessero amarmi, terminavano con una richiesta di soldi o con una mano in mezzo alle mie gambe. Quando ne parlavo con mio nonno,che tra l'altro aveva accettato la mia sessualità e mi trattava sempre nello stesso modo, lui mi sorrideva e mi rispondeva:"Troverai quello giusto. Quando quel momento arriverà, sentirai il cuore fare mille capriole e rimarrai sempre con il fiato sospeso ad ogni suo gesto o movimento. Lo troverai, quando sarai disposto ad aspettarlo per tutta la vita"
Ogni volta che ascoltavo quelle parole mi sentivo un po' meglio e la chiacchierata che ne seguiva mi aiutava a dissipare del tutto il dolore che provavo... Ma solo adesso, dopo essermi allontanato da lui all'età di ventun'anni per cominciare la mia vita e il mio lavoro, mi accorsi che non avrei più avuto tutto quello... Nessuna chiacchierata, nessun incoraggiamento, nessuna tazza di tè per consolarmi... Nessun sorriso. Mi accorsi di star piangendo, solo quando una lacrima mi cadde sul dorso della mano destra. La alzai, osservando la goccia di liquido salata che ci si era posata sopra, e capii che era l'unica testimonianza di tutto quello che avevo avuto con mio nonno... L'unica prova visiva del mio dolore. Il resto era dentro, nel mio cuore e nella mia testa. La buttai via, facendola confondere con la pioggia e corsi poi sotto di essa, diretto alla mia macchina. Forse anche il cielo, quel giorno, piangeva per lui.

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