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ROMA, 2016

Il teatro Avila era diventato tutta un'esultanza. S'applaudiva il relatore e poi il professore. Un po' per far finta di essere interessati, un po' perché davvero il discorso era stato edificante: si era capito che le mafie, ovunque e comunque, avrebbero finito di rovinare tutto il bello della penisola fuori e dentro alle sue coste. Che, peggio di un uragano che scoperchia i tetti, avrebbe tolto a tutti la voglia di provare a camminare senza guardarsi alle spalle.

Il relatore con i baffi a manubrio era sceso sbilenco di sotto, in mezzo alla platea, e il professore di psicologia sociale aveva chiamato l'ospite. La ragazza che la mafia l'aveva vista da vicino, che ci era arrivata a un soffio e che ora andava in giro con la scorta. Presto avrebbe raggiunto un posto segreto e nuovo in cui abitare, perché per una come lei, figlia di un boss e testimone scomoda, non c'era possibilità di vivere libera sotto a nessun sole.

E lei, Anna, questo era il suo nome, era arrivata piano e con l'eleganza di una etoile in cima al palco. L'applauso s'era levato e Salvatore aveva lanciato una gomitata dritta nello stomaco del distratto Lorenzo che l'aveva osservata solo di sfuggita, preso com'era dai suoi appunti: li scriveva frenetico per non dimenticare una sillaba.

Salvatore aveva detto: «Ma quella non è Anna, tua, la tua Anna?».

E quel nome aveva provocato una scossa istantanea tra le fibre del suo corpo, tanto che Lorenzo era scattato in avanti e subito si era bloccato con le labbra mezze aperte, gli occhi sospesi, il fiato fermo nella gola.

Anna. La sua Anna, proprio lei.

Non si potevano confondere con altri, quegli occhi di fonte chiara che penetrano la roccia fino a scolpirla. Nemmeno dopo cinque anni. Perché era in quel modo che quegli occhi avevano inciso lui.

La sua figura sottile si ritagliava nel cono di luce proiettato sul palco, i capelli erano ancora lunghi e i filamenti argentati dal quarzo non erano niente in confronto all'espressione azzurra e tagliente che aveva mentre diceva:

«Sono qui oggi per ricordare a tutti quanti, a voi che avete ancora tutta la vita davanti, che le brutte parole, come le azioni storte e i piani bugiardi vanno sempre combattuti. Non ci dobbiamo arrendere all'infamia con la letargia, non dobbiamo abbassare la testa e girarla nel vuoto», e poi aveva sorriso.

Lorenzo non l'aveva mai vista sorridere e non riusciva a credere che un sorriso potesse illuminare pure il cielo.

E lei aveva aggiunto: «La testa dobbiamo alzarla!, e farlo anche se questo ci costerà qualcosa. Pure fosse la vita.»

Lorenzo non se ne era accorto ma aveva le lacrime dure che gli correvano in faccia, quelle che non le senti nemmeno arrivare. Il cuore, poi, se l'era scordato tra le mani di lei.


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