Lettera

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Quanti angeli dovranno cadere per illuminare la strada? Partiti in due, saremo infinito e, guardando il nostro volo farsi viaggio, esprimeranno umani desideri terrestri.
Ma i desideri possono germogliare solo sulle stelle? In quello spazio freddo e disinteressato tra un nulla e l'altro?

Io ho trovato te a dissetare le mie radici e non te l'avevo chiesto; io che pensavo non esistessi, eppure sbocci. Non avevo mai visto piangere il cielo lo sai? Se non nell'occasionale finzione della pioggia, e quindi, impreparata, non ho bevuto il tuo racconto.
Perso sei ora, ma non per sempre.
Per sempre è quella terra di confine che abitiamo, inconsapevoli.
E' un per sempre da sempre che, nella banalità di questa affermazione, si sviluppa senza unità di misura, epoche e parole.
Così faccio silenzio parlandoti di me e ritrovo quello spiraglio di odore che mi è caduto addosso al primo e unico incontro.
Lo indosso ancora quel tuo odore dolce, come un sapore antico di presa di tabacco e completamente ignoto. Mi mordo piano un dito; pelle che non conosce la tua pelle ma è il suo unico vestito nell'emulare un gesto inopportuno. Occhi che non conoscono altri occhi pur essendo naufragati in molti occhi. Un arcipelago di sbagli.
Intanto nello stomaco hai posto il seme della tua piacevole invasione e mi spunta sulle spalle una bandiera bianca pronta a sorvolare questa pace; una pace che neanche tu aspettavi ma che vuoi se ci siamo trovati a firmare incondizionata resa su un tavolino che traballa?
Sui miei capelli giace, sazia di piacere, tutta la polvere di un sogno occasionale, umile quanto basta da frantumarsi, ogni tanto.
Polvere siete e polvere ritornerete; così accade che vedendoti è morto il mio passato.
Il cielo brilla e si piega nel suo piacere. E' un guardone dietro un cespuglio di pianeti nuovi mentre noi ci amiamo senza alcun pudore.
Perché tutto è così grande da lasciarci lo spazio sufficiente a espanderci e poi ingoiarci in questo nostro eccesso. Mangiarci, senza sosta, in quel nero infinito che è la strada quando più nulla si compra, se non l'inconscio. Nutrirci senza pietà, completi e sazi. Sempre. In quel tempo infinito che non si chiama tempo ed è il punto esatto in cui si comprime l'eterno.Da ogni sua spasmodica contrazione, da ogni suo sospiro, da ogni piacere centellinato come seme inopportuno, siamo nati noi.
Io e te.

Come se quel noi fosse un battito sommesso e un baccanale di respiri. La follia di non conoscerci mantiene il punto e restiamo sconosciuti in una notte senza sosta, a provar su un giaciglio di erba spessa, le posizioni delle stelle.

E cercarle sulla pelle.

Ormai siamo l'uno l'ingenuità dell'altro. Persa.

Non abbiamo bisogno di vestiti che non siano lingue e baci al sapore ebbro di mani e di sensi senza senso alcuno dell'orientamento, se non il solo piacere.

Mi servono le tue mani per esistere e forse non è questo il modo di raccontare storie che nessuno ha scritto.

Non ho voglia di conoscerti che sia forte come quella di non perderti e afferro la tua scia ad ogni angolo della strada che percorri.

Nella penosa affermazione di esistenza invento la casualità che ci ha voluti uniti, come l'angolo che ci fece lascivi senza esserci mai parlati.


In una pozza è caduta una piccola foglia.
E' rossa.
Si fa barca.
Vieni giù frammento di eterno. Barbone ubriaco di stelle e di leggende.
Facciamo di onirica brace, il contorno tratteggiato del nostro unico bacio.
Mai dato.

Ma tu mi vuoi addosso a ogni risveglio e a ogni risveglio ammetti il sogno restando in quella zona d'ombra che ti priva del mio sguardo.

Per questo ti ringrazio, sarto di ritagli, giovane già in viaggio, vecchio senza passato, coraggioso e scalzo.

Insieme cancelleremmo il mondo e io ancora non lo conosco.

Lettera d'addio per uno sconosciutoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora