L'Incubo dagli Occhi Aperti

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Mi corre l'obbligo di tenere traccia di ciò che mi è successo e delle indagini bibliografiche che ho svolto tra il giugno e il novembre del 1924 poiché ho ragione di temere per la mia incolumità. Benché abbia la consapevolezza che, qualora dovesse succedermi qualcosa, questi scritti sarebbero probabilmente considerati alla stregua dei vaneggiamenti di un mentecatto, la mia speranza è che qualcuno abbastanza saggio li possa prendere seriamente e continuare la mia ricerca.

Per dovere di cronaca, riporto che ad oggi, cinque dicembre, sono in cura dal dottor Edmund Dunhome, docente di psichiatria con cattedra presso l'università della contea di Bristol. Dopo il venticinque ottobre scorso, dietro consiglio del dottor Dunhome ho interrotto, non senza riluttanza, il lavoro presso la biblioteca di Bristol per trasferirmi in campagna, luogo suggerito per proseguire la terapia.

Mi appresto di seguito a descrivere le mie esperienze vissute nei mesi passati, sperando, con dovizia di dettagli, di poter lasciare testimonianza attendibile.

Conobbi Annalise l'estate del 1924, alla biblioteca pubblica di Bristol. Lei svolgeva delle mansioni per il professor Ilcaster, docente di antropologia presso l'università, mentre io guadagnavo da vivere ordinando i polverosi archivi dello stabile.

Sebbene i ritmi del lavoro ai fondi della biblioteca non mi fornissero molti momenti per apprezzare la compagnia dei frequentatori delle sale di studio, non potei fare a meno di notare che quella ragazza, ogni due giorni e puntualmente, faceva richiesta o restituiva dei libri antologici sulla storia statunitense. Passavo larga parte del mio tempo a fantasticare puerilmente su quale fosse il suo nome. I suoi modi, sobri e compiti, mi lasciavano intuire l'appartenenza ad una buona famiglia e il colore rosso dei suoi capelli insieme agli occhi verdi suggerivano un'ascendenza settentrionale. Tuttavia il senso comune e, in larga parte, la mia timidezza, mi impedivano di domandarle curiosità a tal riguardo.

Era il sette di luglio quando, forse per grazia ricevuta, fu lei a rivolgersi a me, chiedendomi dei titoli specifici.

Scoprii così che la sua famiglia, i Batch, proveniva dal nord del Galles, un fazzoletto di terra chiamato Purplemont, attiguo all'isola Holyhead.

Mi raccontò, in confidenza, che nel 1902 la sua famiglia si divise, emigrando tra il sud dell'Inghilterra e gli Stati Uniti. Benché i primi testi che domandò riguardassero la storia e la geografia del nord del Galles, l'oggetto delle sue attenzioni non era la propria origine, ma al contrario una singolare curiosità verso alcuni cugini, emigrati in America insieme al fratello di suo padre, di cui aveva avuto notizie solo recentemente.

Nelle settimane che seguirono, la ricerca di Annalise verté insolitamente sulla storia e la geografia del Massachusetts, ed ella mi rivelò che le sue intenzioni erano quelle di ricostruire gli spostamenti della propria famiglia fin dall'inizio del secolo. Successivamente dai libri ci spostammo ai giornali, ma con scarsi successi.

Colloquialmente, la giovane ragazza mi svelò che la propria famiglia aveva di proprietà alcuni poderi sull'isola di Purplemont ma sentivo da parte sua una certa reticenza a parlare dell'argomento. Non volendola mettere a disagio, e deciso a fare buona impressione, mi prodigai per evitare l'argomento se non fosse stato proposto da lei.

Presto le intenzioni della ragazza divennero meno fumose. Scoprimmo, anche se ho il sospetto che la scoperta fu soltanto un mio raggiungimento, e per lei solo una conferma, che Owen Batch e suo fratello Robert, avevano acquistato una magione in rovina al centro di alcuni terreni vicino Boston. Mi domandai a lungo perché, considerato il cospicuo numero di familiari, fosse interessata esclusivamente a cugini così lontani, ma senza darmi risposta. Avrei dovuto chiederglielo, ma la paura che valutasse inappropriate le mie curiosità, mi frenò a lungo.

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