Panico

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  Ma non ti vuoi un po' di bene? Non pensi a te stesso
Ci penso troppo, anzi il problema è questo


Vengo svegliato da un forte boato. Mi sveglio di soprassalto e balzo all'improvviso giù dal letto, prendo la prima cosa che mi possa capitare tra le mani e mi dirigo con fare sospetto in cucina. Sento dei rumori continui, un frugar nelle mensole della mia cucina. 

«Pezzo di merda! Potresti avvisare! Mi hai fatto prendere un colpo!»  Sbraito con finto fare incazzoso. Infondo, un cugino pronto a farti la colazione non dispiace a nessuno. 

«Sono venuto a prepararti la colazione e ho le chiavi di casa tua da una vita e mezzo. Sto cucinando per te Nelson, non far finta che la cosa ti dispiaccia.»  

Ecco.

Cesare, 23 anni e una gran capacità nel 'svegliarmi dal mio sonno profondo'. Fin da bambini lui mi ha sempre definito uno che nella vita ci dorme, ci dorme profondamente. Uno che entra in standby, in buffering, va offline dopo pochi secondi. Ed infondo non ha mai avuto tutti i torti, perchè per esempio non riesco a reggere per più di 3 minuti una conversazione senza 'addormentarmi profondamente'. E no, non è un voler dormire preso proprio alla lettera. E' un semplice far finta di ascoltare la gente, i loro problemi, le loro bollette da pagare, le loro lotte al bagarino per acquistare gli ultimi biglietti del concerto de Lo Stato Sociale (una band di braccia rubate all'agricoltura), i loro cuori spezzati, i loro conti in banca gonfiarsi, i resoconti delle loro stupide cene famigliari, delle loro scopate senza preservativo perchè qua non si teme niente e nessuno tranne ovviamente il test di gravidanza. Stacco semplicemente la 'spina' e, continuando ovviamente ad osservarti, penso a tutt'altro. 

«Hai capito?»  Mi domanda Cesare.

«Ovvio..»  

«Quindi dovrei anche crederci? Cazzo Nelson svegliati, è mattina!»  

Mi vien da ridere. Mi avvicino e osservo minuziosamente i suoi movimenti ai fornelli, il suo destreggiarsi tra un petto di pollo e una tazza di latte. Perchè l'essere palestrati si fa sentir ancor di più alle 11 del mattino. 

«Comunque, prima che come tuo solito tu staccassi la spina»  Dice mentre 'serve' la colazione in tavola «Ti stavo parlando di una cosa abbastanza importante. Stavo cercando di farlo.»

Sposto la sedia, mi siedo, mi riavvicino al tavolo e aspetto che Cesare continui il discorso. 

«Ti ho trovato lavoro.»

«Cioè?»  Domando con fare incuriosito.

«Una sorta di lavoro.»  

«Una sorta?»  

«Sì Nelson, una sorta di lavoro.»  

Cerco di capire. Una sorta di lavoro? Esistono derivazioni del lavoro?

«Parla Cesare..»  

«Tirocinio.»  

«Farmi sfruttare? Cazzo, non ci avevo pensato!»  

«Nelson non dire cazzate dai!»  Sbotta «Mi fa pena vederti così! Ogni giorno ti alzi e non trovi un motivo per affrontare questa giornata, hai paura di vivere! Esci da queste quattro cazzo di mura e goditi questa cazzo di vita che ti ritrovi! A piangerti addosso non ottieni niente, forse non ti è ancora chiaro. Ma non ti vuoi un po' di bene? Non pensi a te stesso.»

Colpito e affondato. Abbasso lo sguardo quasi per dimostrare un nonosochè di 'poco me ne frega di quello che dici', ma è solamente una tattica per cacciar dentro le lacrime che minacciavano di uscire. Maledetta sensibilità, maledetto Cesare. 

«Ci penso troppo, anzi il problema è questo.»  Rispondo in modo sbiascicante. 

«E allora accetta.»  

«Da chi mi dovrei far sfruttare?»  

Cesare sorride sotto i baffi, e sussurra un «ti ci vedo bene.»

«Mi ci vedi bene da schiavo?»  

«Benedetto il giorno in cui abbandonerai i tuoi pregiudizi di merda! Nelson, è una clinica psichiatrica. E adesso so cosa farai, mi dirai un qualcosa come 'noo i matti non ci metto un piede in quel posto', ma appena lo farai, sappi che non te ne pentirai.» 

Clinica psichiatrica? Davvero? Io, persona senza nemmeno un diploma. Persona che se solo vede un qualcuno piangere deve trattenersi per non piangere a sua volta. 

  «Davvero Nelson, fallo per te. Provaci. Buttati per una volta nella tua vita.» Continua Cesare porgendomi un pezzo di carta. 

Lo afferro. Un pezzo di carta anche strappato male, con sopra scritto un numero. '39*** Nadia'. 

   «Nadia.. cognome?» Dico afferrando il telefono.

Lui capisce che il mio sviar discorso, il mio non dar la soddisfazione di un 'sì' uscito dalla mia bocca, era forse il sì più sincero che potesse ricevere. 

Finiamo la nostra colazione tra risate, battute, prese per il culo e anche discussioni. Cesare fa per andarsene, ma si blocca.

 «Nelson» 

  «Cesare»   

  «Prenditi cura di te.»   

come un caccia militare    [Nelson Venceslai]Where stories live. Discover now