Take me home

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Lance passò molte notti insonni; aveva capito che c'era qualcosa di sbagliato nella persona che un tempo considerava un esempio per tutti.
Shiro era cambiato.
Non conosceva il motivo di quel cambiamento ma sentiva dentro di sé che il ragazzo che un tempo ammirava e che teneva unito tutto il team con i suoi discorsi di incoraggiamento, si stava trasformando in una creatura senza cuore.
Più volte gli aveva intimato di non immischiarsi nelle faccende importanti quali i piani di guerra.
Più volte gli aveva urlato contro.
Più volte gli aveva detto che non valeva niente.
Quello non era Shiro.
Shiro era gentile e paziente, la persona che lo aveva sostituito era irascibile e instabile; anziché aiutare gli altri li distruggeva pezzo dopo pezzo.
Tutti lo avevano notato ma solo Lance aveva capito che il ragazzo era stato sostituito da un clone: identico al loro vecchio amico in tutto e per tutto, tranne per il carattere. Non si può nascondere il proprio viso in una maschera per sempre: prima o poi bisogna togliersela per prendere una boccata di aria fresca, mostrando così al mondo il proprio vero volto.
Lance era seduto in un ammasso di coperte su uno dei ponti secondari del castello che dava su una vetrata immensa.
Guardava le stelle, i pianeti colorati, le galassie lontane e si chiedeva se prima o poi sarebbe tornato a casa.
Gli mancavano la famiglia, i suoi tanti fratelli e sorelle, la madre, la nonna...
Gli mancava sentire la brezza cubana sulla pelle: un venticello caldo che un tempo detestava per il fatto che gli scompigliava i capelli. Avrebbe dato qualsiasi cosa per risentirla, per rivedere una spiaggia, sentire il rumore delle onde sulla battigia, affondare i piedi nudi nella sabbia umida, bagnarsi nella pioggia estiva.
Lance piangeva tutte le notti, nel buio; non voleva farsi vedere dai suoi amici, avrebbero pensato che fosse debole, che non fosse in grado di combattere in una guerra che non gli apparteneva.
Si sentiva inutile.
Dietro a tutti i sorrisi e le battute che faceva di giorno, si nascondeva uno spirito spezzato.
Shiro discuteva con Allura e Coran dei piani di attacco.
Pidge, Matt e Hunk scherzavano tra di loro e creavano nuovi aggeggi tecnologici che lui non poteva capire.
Keith era sempre in missione.
Keith...
Gli mancava così tanto.
Senza di lui la sua vita era diventata vuota e monotona. Con chi avrebbe scherzato ora? Chi avrebbe preso in giro? Chi lo avrebbe sostenuto nei periodi peggiori?
Blue non era più suo: il suo nuovo paladino era la principessa di Altea. Red era difficile da controllare e poco veloce in acqua.
Avrebbe continuato a comandarlo solo per non deludere il team, per non deludere il suo vecchio pilota.
Aveva perso tutto.
Avrebbe voluto andare da sua madre per dirle che stava bene, che era sano e salvo, per abbracciarla.
Era seduto in mezzo a quello spazio, con le mani appoggiate sulle ginocchia e la testa china tra di esse.
Le lacrime calde gli rigavano il viso e cadevano sulle coperte senza fare rumore. Teneva la bocca digrignata per evitare di emettere alcun suono. Le spalle sobbalzavano a ogni sospiro.
Voleva andare a casa.
"Voglio andare a casa." Disse singhiozzando. Nessuno lo avrebbe ascoltato: si sentiva più solo che mai in quell'universo affollato di popolazioni di ogni genere.
"Lance." Si girò di scatto quando sentì qualcuno chiamarlo. Si asciugò le lacrime più in fretta possibile e si alzò in piedi: non c'era nessuno dietro di lui.
"Lance." La voce lo chiamò ancora.
Il ragazzo si rese conto che proveniva da dentro di lui, dalla sua mente e che lo voleva guidare in una direzione precisa.
Seguendo il suo istinto si fidò di quella voce e si incamminò per i corridoi deserti del castello. Passò di fronte alle stanze dei paladini e si diresse verso l'hangar dove erano custoditi i leoni. Andò da Red ma una volta entrato nello spazio adibito a lui, notò che la macchina non era al suo posto.
Chi avrebbe potuto prenderlo?
Lance era l'unico in grado di attivarlo.
"Lance." Il ragazzo sentì una stretta al cuore. Corse a perdifiato verso un'altra ala del castello dove entrò nel garage di Blue.
Quando vide il leone avvicinarsi a lui e aprire la bocca per farlo entrare ricominciò a piangere: non per tristezza, ma di gioia.
Ricordò i vecchi tempi in cui era il paladino blu e veniva ammirato da tutti;prima che Shiro sparisse, prima che Keith entrasse a far parte delle spade di Marmora, prima che Allura diventasse il nuovo pilota del suo leone.
Gli era mancato tanto.
Abbracciò una delle sporgenze metalliche che rappresentavano il muso della macchina e dopo qualche minuto si decise a entrare. Dentro di esso trovò la sua armatura e una volta indossata si mise ai comandi.
Gli era mancato pilotare Blue.
Partirono verso l'oscurità dello spazio diretti in un luogo che solo il suo leone sembrava conoscere.
Lance si fece guidare per tutto il tragitto fino a che non intravide una macchiolina rossa in quello sfondo nero. Quando si avvicinò si sentì chiamare da una voce all'interno del casco.
"Ottimo lavoro Blue!"
Keith...
Stava pilotando il suo vecchio leone.
Lance non poté fare a meno di sorridere e per la seconda volta in pochi minuti il suo viso venne rigato da lacrime di gioia.
"Keith!" Urlò al suo amico.
"È bello risentirti sharpshooter." Disse il ragazzo. Dal suo tono di voce si poteva capire che stava sorridendo.
Gli era mancato pilotare al fianco di Keith.
"Seguimi." Aggiunse facendo girare il robot nella parte opposta dalla quale Lance era venuto.
Nessuno dei due disse niente per tutto il tragitto che sembrò durare ore. Lance stava cercando di assaporare ogni momento nel migliore dei modi, pensando che tutto sarebbe finito in poco tempo e che si sarebbe presto risvegliato nel suo letto nel castello.
I due leoni si avvicinarono a un pianeta che il paladino blu riconobbe immediatamente.
Si sentì irrimediabilmente instabile e non potendo trattenersi scoppiò in lacrime per l'ennesima volta.
"Mi hai riportato a casa." Disse singhiozzando in modo incredulo rivolto all'amico.
"Ti ho riportato a vedere la pioggia." Rispose l'altro mentre si buttava in picchiata tra le nuvole del loro pianeta natale: la Terra.
Una volta arrivati sulla superficie uscirono allo scoperto. Lance corse a perdifiato e si buttò nel mezzo della tempesta estiva che si era formata sopra le loro teste ridendo e piangendo allo stesso tempo.
Si fermò e chiuse gli occhi con il viso rivolto verso il cielo.
Gli era mancata la pioggia.
Le gocce cadevano pesanti su di lui. Aprì la bocca e assaporò quell'acqua che da tanto tempo non beveva: nel castello i liquidi erano mischiati al cibo e quindi non era necessario rifornirsi di acqua per sopravvivere.
La pioggia.
Keith.
Blue.
La Terra.
Tutto era perfetto in quel momento.
Si girò verso il suo amico che lo stava osservando da qualche metro di distanza e coprì in pochi passi la distanza tra loro due con ampie falcate.
Prese il ragazzo per la vita e lo trascinò nella tempesta.
Keith non oppose resistenza e si lasciò guidare dal suo amico.
Lance aveva voglia di ballare: e così fece. Cominciò a fare dei brevi passi circolari aggrappato al corvino nelle pozzanghere che si erano formate. Quando cominciarono a prendere il ritmo Lance passò una mano dietro alla schiena di Keith e appoggiò l'altra sulla sua spalla.
Sorrise.
Non si era mai sentito più completo e vivo in vita sua.
Rimasero così: a ballare nella pioggia per quelle che gli parvero ore, fino al momento in cui, alzando lo sguardo, notò che anche il suo amico stava piangendo.
Si guardarono negli occhi e non ci volle che uno sguardo per trasmettersi tutti i sentimenti repressi che i due ragazzi avevano tenuto al loro interno per mesi.
In quella tempesta estiva successe qualcosa di straordinario.
Il pianeta che aveva dato vita a entrambi, aveva anche permesso ai due di guardare dentro l'altro e scoprire il vero motivo per cui erano stai tanto legati, nel bene e nel male, da quando si erano conosciuti.
Due anime gemelle.
Così diverse, così simili.
E sotto la pioggia si scambiarono un bacio che sapeva di Terra, sapeva di vita.

Out of this world [Klance]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora