Feltrinelli, reparto incontri

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Certi racconti sono destinati a non iniziare mai.
Io che di racconti ne ho iniziati tanti, come quel libro nel quinto scaffale a sinistra, secondo reparto, Feltrinelli di viale Marconi. Io e quei personaggi che seguivo di nascosto per non sembrare uno che leggeva a scrocco, mi sono immerso in un sacco di altre vite e mai nella mia, tu che passavi per caso, mi hai chiesto se la storia valesse la pena. Ho alzato gli occhi dalla pagina 17 e ho visto quel minuscolo nèo sotto il tuo labbro inferiore, spostato a sinistra, e un altro un po' più grande sulla tempia destra, e tra tutti quei racconti tu eri tutta un'altra storia.
- Secondo me scorre.
- Scorre?
- Si scorre tipo che poi ti dispiace lasciarli, quei personaggi.
- Lui com'è?
- Secondo me lui è un po' un coglione.
- E lei?
- Lei è bellissima.
Mi hai detto che lo avresti comprato, e che se non ti fosse piaciuto saresti tornata a cercarmi per chiedermi il rimborso, per aver perso tempo, per non essere appartenuta in niente a quella storia.
Finivano tutte male, le mie storie, e tutte velocemente. Ogni volta che credevo di essere ormai arrivato, ecco che succedeva qualcosa che mandava all'aria tutto, un pensiero, un risveglio, un caffè uscito male.
E allora mi dicevo "resisti, cerca di resistere, guarda come va, aspetta ancora un po'" ma poi succedeva che mi dicevano "ti vedo strano questi giorni", immobile a lottare con me stesso, incapace di sentire tutto il resto.
Ti ho chiesto di prenderci un caffè fuori dalla libreria, l'ho definita una specie di caparra su quel libro che avresti comprato su mio suggerimento. Il caffè è uscito male, sapeva di bruciato, forse la miscela scadente, forse la barista incapace, ma nonostante ciò ti ho voluto rivedere lo stesso.
E' il sei novembre, siamo a casa tua che cerchiamo di scolare la pasta in due, tu che ti bruci con l'acqua bollente e ti tiri indietro, poi ti riavvicini e di bruci nello stesso identico modo e allora sbotti, "Ma faccio sempre gli stessi errori!", e me lo hai detto in un modo quasi ironico, come se in tutta la tua vita fossi inciampata sempre nelle stesse persone, negli stessi posti, negli stessi sbagli ma io no, io non ero un altro sbaglio.
La Rinascente illuminata e addobbata per Natale, tu e i tuoi cappellini di lana, io che per la prima volta avevo la camicia sotto il maglioncino di cotone, il tuo naso rosso e quelle scarpe bellissime che avevi comprato, anche se erano di mezzo numero più piccolo del tuo, erano le ultime e tu dovevi averle, mi dicevi che dovevi solo portarle un po' per farle allargare e poi sarebbero state perfette. Ma neanche tu eri tanto convinta di questa cosa. I porta-uova, te li ricordi quei minuscoli porta-uova? Che ti sei quasi commossa nel vederli.
- Ommioddio!
- Cosa?
- Guarda!
- Che?
- Lì!
- La signora cicciona?
- Ma no, i porta-uova!
- Ah, i porta-uova certo, grande invenzione, davvero, voglio dire, che vuoi che sia la ruota in confronto?
- Ma sono bellissimi.
E me lo hai detto in un modo che quei maledetti porta-uova te li avrei comprati anche se avessero dichiarato illegale avere le uova in casa.
Fine del commercio delle uova.
Estinzione delle galline, delle quaglie e pure degli struzzi.
Tutti che protestano, ma ormai la frittata è fatta. Ah, ah, l'hai capita?
Quella sera che siamo andati in quel ristorantino dove ci si serve da soli, coi piatti fatti di mais, le posate di plastica, i bicchieri di plastica, ma cavolo quant'erano buone quelle palline di formaggio con granella di noccioline, che poi quel formaggio aveva un nome che sembrava il diminutivo del mio, e quindi apriti cielo, mi hai chiamato così per un sacco di tempo. Mi hai fatto provare la polenta ai quattro formaggi, com'è che si chiamava? La Concia, tipo. Però io dicevo "La Ciocia", e tu mi correggevi ogni volta, finchè ti sei arresa quando ti ho urlato in faccia ridendo "ME GUSTA LA CIOCIA!", tanto è inutile con me, un bambino di cinque anni intrappolato nel corpo di un ventitrènne.
E' Natale e non sono riuscito a capire cosa potessi regalarti, tu invece si, mi hai regalato un phon tipo quello che avevi tu, che usavo sempre per alzarmi il ciuffo, quel ciuffo che secondo me contribuiva a sfinare il mio viso tondo. Un phon.
Rosa fluo.
- Non ti piace?
- Ma che scherzi? E' meraviglioso!
- Più dei porta-uova?
- Più della ciocia.
- La concia santoddio, la concia.
- Comunque è fantastico.
Il phon rosa, cazzo. Rosa fluo, manco un rosa pallido che sembra bianco. Fluo.
Ma secondo te, potevo dirti "Si ma è rosa" ? Come facevo, che mi sembravi come quelle bambine dell'asilo che fanno la cartolina per la festa del papà e poi gliela consegnano fiere e convinte di aver fatto un capolavoro? E invece il papà della cartolina ha cinque linee rette al posto delle dita, la testa enorme, il corpo piccolo, ma cosa si può dire?
Ti sono venuto a prendere a lavoro un sacco di volte, tu e il tuo capo stronzo, tu che mi vedevi fuori dal negozio e controllavi che fossi da sola, uscivi a razzo, mi davi un bacio e rientravi per i restanti dieci minuti che ti separavano dalla chiusura.
E io non ho più letto a scrocco, non mi sono immerso in altre storie, era così facile resistere, anche quando le cose hanno cominciato a non funzionare più così bene, era così facile scegliere ogni volta te.
E molti, ancora oggi, mi chiedono allora come sia stato possibile, e la risposta è sempre la stessa.
Che non lo so. Così come non so come ho fatto a lasciarti andare quella sera, davanti all'ennesimo problema da risolvere, era solo l'ennesimo, che ci importa?
Così come non so come ho fatto a conservare tutto, anche il phon, certo, anche il phon rosa fluo.
"Non lo so"
Così come non so come ho fatto ad accettare altre mani sul mio viso, dai profumi così diversi, alcune fredde, alcune magre, alcune che "ma che diavolo ci faccio qui?" Cercavo di convincermi di un sacco di cose, gli occhi verdi sono tanti, esistono talmente tanti nèi al mondo che potrei congiungerli con una penna e tirarci fuori qualche disegno complicato, esistono tante altre migliori di te, certo che esistono, mi dicevo.
Chissà se alla fine quel libro ti è piaciuto, chissà se era solo una scusa per attaccare bottone o alla fine lo hai comprato davvero. Non sei mai tornata per il rimborso, quindi suppongo che ti sia piaciuto.
Ci sono tornato alla Feltrinelli, qualche giorno fa. So che ti sei trasferita, quindi sapevo anche che sarebbe stato impossibile trovarti lì, e così è stato.
Ti ho cercato, certo che ti ho cercato, a metà tra il volerti incontrare e lo sperare che non ci fossi realmente.
Ho preso un libro dallo scaffale di narrativa e ho cominciato a leggere le prime pagine.
Una ragazza lì vicino ha preso lo stesso libro, quel libro di cui aveva sentito parlare, chissà com'è, chissà come scrive.
Mi ha guardato.
- Secondo te ne vale la pena?
- Guarda non lo so, fai tu, niente caparra, niente rimborso, tanto c'è solo da perderci, il caffè faceva schifo e lei non è mai tornata.
- Scusa?
- Niente, scusa tu, ciao.

Quello che avrei dovuto dirti.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora