Non mi voglio perdere in descrizioni. Volevo fare l'amore con lui. In qualsiasi momento. Quando mi guardava, quando mi salutava distrattamente, quando mi sorrideva o mi parlava. Cosa dicesse non saprei dirlo; le mie orecchie si concentravano sul rumore del mio corpo mentre mi ribolliva il sangue. E più l'atmosfera si faceva calda, più mi mordevo il labbro inferiore e più mi mordevo il labbro, più l'atmosfera si surriscaldava. Non so cosa mi stesse succedendo. Lui nemmeno mi piaceva. Aveva un modo di fare troppo gentile; si rivolgeva a tutti con garbo, in modo quasi noioso. Quando parlava, poi, gesticolava fastidiosamente, sistemandosi la giacca del tailleur gessato per darsi sempre un tono. Troppo borghese.
Dio, quanto mi faceva impazzire! Forse mi aveva drogata o ipnotizzata. Non capivo perchè all'improvviso lo trovavo così attraente quando cercava la mia mano per stringerla e io la tenevo a mezz'aria, morta, cercando di inspirare ed espirare prima che inconsultamente il mio inconscio lo stendesse a terra e gli sbottonasse i pantaloni.
Non so cosa mi fosse preso. Non riuscivo a togliermelo dalla testa. Di notte cercavo di dormire, ma le mani stringevano le lenzuola sempre più forte. Credo di aver consumato una capacità considerevole di acqua a causa di tutte le docce fredde. Ero impazzita, ecco. Non saprei spiegarlo altrimenti. Una ragazza così discreta e pacata come me, a tratti timida, che si mette a desiderare un uomo di quindici anni più grande, con i capelli già brizzolati, i ricci non più definiti portati ridicolmente fino al collo. Quando c'era vento, si spostavano verso la sua bocca e... Niente, tutto ciò era ridicolo. Un uomo di quella età, noioso borghese, dall'accento marcato... e così irraggiungibile.
Forse era questo che mi eccitava. Avevo sempre snobbato tutte le avances del personale che mi faceva carinerie nel tentativo fallito di un misero appuntamento. Magari anche belli e muscolosi, ma a me il muscolo non ha mai conquistato. Il mio debole è il cervello. Basta una frase grammaticalmente corretta, un contenuto discreto e ti cado ai piedi.
Quale fosse la frase o il discorso scatenante non lo ricordavo. Del resto, chi ricorda gli imperativi di un mago ipnotizzatore. Il suo spettacolo di magia si era protratto per alcuni mesi però. Ed ero decisa a spezzare l'incantesimo. Ma ero disperata.
Era una lotta senza fine. Quel che era peggio è che non vi fossero guerrieri da distruggere o parole a cui controbattere. Durante il giorno ci tenevamo a debita distanza. La mia figura professionale non poteva essere minata da quell'attempato mezzo italiano. Era una lotta silenziosa di non detto. Ci muovevamo su un terreno di sguardi rubati e dita sfiorate. Combattevo contro il nulla cosmico o il tutto cosmico, dipende dai punti di vista: questa mania che le prove debbano essere tangibili e visibili. Ma spesso è quello che non succede che rappresenta la vera prova.
Lui non faceva niente. Era uguale con tutti. Riunione? Caffè e pasticcini per tutti. Vendita straordinaria? Premio per tutti. Compleanni? Ti ritrovavi un presente sulla scrivania. Maledetto adulatore. Non poteva capitare a me. Non poteva non trattarmi così. Quel modo così intelligente e diplomatico di intervenire nelle diatribe, offrendoti la soluzione dove tu non potevi vederla.