È vero, fino a quel punto il viaggio sulla Argo II aveva riservato a Percy un sacco di sorprese: aveva visto bombardare Nuova Roma, aveva combattuto contro un dio del mare affiancato da una carpa koi, era addirittura stato posseduto da degli spiriti malvagi che avevano cercato di fargli uccidere il suo amico Jason Grace. Eppure, nulla superava i ragazzi di San Juan.
Da quando avevano lasciato il Porto Rico, il ricordo di quei mostri lo tormentava. Non aveva mai visto nulla del genere in tanti anni passati da semidio: normali adolescenti all'apparenza, ma che in un battito di ciglia si trasformavano in strane bestie zannute o alate.
Non che si fosse aspettato di incontrare sull'isola qualcosa di normale. La notte prima della loro sfortunata spedizione gli Dei in persona avevano strappato dal sonno il figlio di Poseidone, portandolo in sogno fino alla sala riunioni del Monte Olimpo. Non era ancora stata ricostruita del tutto dalla guerra contro Crono, ma al momento la sua ragazza Annabeth, coordinatrice del progetto, era occupata in una missione leggermente più pericolosa. Zeus, che torreggiava da solo su di lui, ebbe la sfrontatezza di assegnare ai sette semidei una missione secondaria. «Dovete andare a San Juan, Porto Rico. Laggiù troverete la minaccia più grande per la riuscita della vostra impresa» Tuonò.
Nonostante il suo sguardo glaciale, Percy ebbe il coraggio di alzare un sopracciglio e controbattere: «Seriamente? Più grande di Gea, la dea che vuole distruggere il mondo? E come la mettiamo con il limite di tempo?»
Il re dei cieli sbuffò, e piccole scariche elettriche brillarono fra i fili di barba. Se non fosse stato parte della profezia, pensò, il dio probabilmente l'avrebbe incenerito sul posto. Era un rapporto difficile, il loro. «Non sottovalutare il mio avvertimento, Jackson. Sono creature antiche e pericolose... E vi stanno cercando. Se a San Juan ve li farete scappare, per voi sarà la fine» Decretò.
Almeno all'inizio, però, non sembravano affatto creature pericolose. Dopo aver saputo del sogno di Percy, i sette semidei sbarcarono nella città dopo un brusco cambio di programma, e perlustrarono per tutta la mattina le sue strette strade, il suo porto e i suoi giardini. Alla fine si rincontrarono al bar dove era apparentemente nata la Piña Colada, e anche se nessuno prese il famoso drink si godettero delle belle bevande fresche dopo ore di ricerca.
Fu allora, mentre Percy finiva rumorosamente il suo succo alla papaya, che li sentì.
«... Se Zeus, Afrodite e compagnia bella vogliono ancora farsi trovare, possono venire ad aiutarci a portare le borse!»
Stette immobile, cercando di capire da dove veniva quella voce, mentre un campanello d'allarme gli risuonava nel cervello. Aveva sentito bene? Zeus, Afrodite e gli altri... Cercavano qualcuno?
«Sei impazzito?»
«Già, un dio non ci aiuterebbe a portare un bel niente»Percy raddrizzò la schiena, avvicinandosi con la testa alle voci. Cautamente, mise la mano sulla custodia di Vortice.
«Non dico quello! Mai nominare gli Dei, è come accendere un faro per mostri!»
Eccola, la prova che gli serviva. Si spostò con la sedia, per avere una visuale migliore del tavolo accanto al loro. Era occupato da cinque ragazzi adolescenti: sembravano del tutto ordinari, ma d'altronde nel mondo della mitologia l'apparenza contava poco. E poi, le loro parole li tradivano. La ragazza che aveva appena parlato era probabilmente afroamericana, e aveva dei riccioli neri tagliati cortissimi; era seduta fra una ragazza dai lunghi capelli neri e un'espressione tesa e un ragazzo alto, chiaramente di origini indiane, con i capelli biondi, quasi sicuramente tinti; infine, davano le spalle al loro tavolino un ragazzo castano e uno stecco che da dietro assomigliava stranamente a...
«Ehi, amico» Lo riscosse Leo. «Ti è andata di traverso la papaya?»
Percy lo zitti, e indicò discretamente l'altro tavolo. «Sono loro», sussurrò ai suoi compagni, «le creature!»
Per fortuna gli altri capirono al volo, perché in quello stesso momento uno dei ragazzi parlò di come avrebbero trovato la Madre Terra, e non ci fu più tempo per le parole.
Sraiato sul suo letto, con lo sguardo perso nei nodi del soffitto di legno, rivide di nuovo tutta la scena. Loro che circondavano i mostri, la ragazza a cui spuntavano le ali, il ragazzo indiano che correva via come un fulmine, le piante urticanti che li avvinghiavano mentre cercavano di inseguirli... E quel ragazzino, la copia esatta di Leo Valdez, con la faccia distorta mentre mostrava le zanne in un ringhio spaventoso, prima di essere sparato via in un vortice di sabbia (che, per la cronaca, era finita in posti dove la sabbia non dovrebbe mai stare). Queste erano tutte caratteristiche tipiche di un'infinità di mostri che aveva combattuto, eppure c'era qualcosa che non gli tornava. Ripensò all'espressione del ragazzo castano: paura, sì, ma soprattutto delusione. Li aveva guardati come si poteva guardare un'idolo che si rifiutava di farti un'autografo nonostante la lunga strada che hai fatto per andare a vederlo. No, si disse, quella non era affatto l'espressione di un mostro.
Sarebbe rimasto a rimuginare ancora per molto se Buford, il loro tavolino meccanico, non fosse sceso a chiamarlo con insolita insistenza. «Arrivo, arrivo!» Esclamò, mentre il pezzo di mobilia gli sbatteva contro uno stinco.
Si diede una sistemata e salì sul ponte, dove ad attenderlo c'erano tutti i membri dell'equipaggio, compreso il coach Hedge. Ora che la Argo II era in modalità volo il vento era due volte più forte, e il ciuffo di Percy si mise a frustargli la faccia.«Ce l'hai fatta, signorina!» Esclamò il satiro.
Piper lo guardò storto. «Coach, sa come la penso sugli insulti sessisti» Lo riprese, ma il coach rispose con un sonoro belato.
«Vieni qui, Percy» Lo chiamò Annabeth, che si era spostata con gli altri verso il cornicione del ponte di prua. «La vedi quell'isola laggiù?»
Il ragazzo annuì, vedendo l'atollo ricoperto di palme all'orizzonte che la figlia di Atena gli stava indicando.
«È un'isola senza nome nell'Arcipelago delle Isole Vergini Britanniche» Lo informò Leo con voce da GPS, mappa alla mano. Anche se non lo dava molto a vedere, Percy sapeva che era rimasto abbastanza turbato dall'incontro col suo sosia di pochi giorni prima, soprattutto al ricordo di come gli aveva ringhiato in faccia. In realtà, tutti erano rimasti turbati.Il figlio di Poseidone si sporse per vedere meglio l'atollo. «E perché lo stiamo fissando?» Chiese.
«Guarda bene» Rispose Frank, «sul lato ovest c'è una nave che abbiamo già visto»
Percy scrutò il mare un altro po'... E poi la vide. «È quella dei ragazzi di San Juan!» Esclamò.
«Con loro abbiamo un conto in sospeso» esordì Jason, mano alla spada.
Annabeth annuì, gli occhi grigi persi in chissà quali pensieri. «Che ne dite, andiamo a presentarci?»
STAI LEGGENDO
FIGLI DEGLI SPIRITI- Il Viaggio
Fanfiction~Storia ambientata durante il viaggio sulla Argo II~ "Le due stirpi semidivine si sono riunite, ma un'altra sfida le attende. La loro catena gli antichi ibridi dovrà ritrovare, Il destino del mondo risiede nelle loro mani. Luce e buio il mondo dovra...