Capitolo 3

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Ecco già una cosa che odiavo di New York: il traffico. Il taxi che mi avrebbe portata a incontrare Nicole era fermo come altri innumerevoli mezzi da più di mezz'ora, forse se fossi scesa attraversando la città a piedi avrei fatto prima. Ero davvero nervosa e i pensieri che frullavano nella mia testa senza darmi pace non mi stavano aiutando affatto. Il discorso di Callie continuava a ripetersi nella mia mente e avrei voluto cancellarlo, avrei voluto che non avesse mai detto quelle cose o che almeno non le avessi mai ascoltate. Non capivo esattamente come mi sentissi, provavo sentimenti contrastanti che mi stavano facendo impazzire. Da un lato non riuscii a rimanere indifferente a quelle parole, erano tutto ciò che avrei voluto sentirmi dire da anni. Le ero mancata tanto quanto lei era mancata a me, avrebbe voluto provarci ancora, darci una seconda occasione. Non era forse questo ciò che volevo? Non era Callie l'unica che volevo? Inutile porsi domande del genere, lei sarà sempre l'unica che vorrò, stare con lei sarà sempre l'unica cosa che vorrò. Ma sapere che ci ha tolto tutti questi anni, che Sofia ha dovuto vedere le sue mamme separarsi, addirittura vivere in città diverse, senza un apparente motivo. Tutto l'inferno che abbiamo passato... per cosa? Perché ci siamo fatte tanto male? Iniziai a pensare che forse Callie fosse davvero un'egoista e pian piano tutta la rabbia che avevo tenuto dentro cominciò ad uscir fuori. Per questo quella sera non le risposi, la guardai e andai via senza dire nulla. Chiusi la porta alle mie spalle, la lasciai sola, con la tavola apparecchiata, la cena pronta e le candele ancora accese. Mi persi nei miei pensieri tenendo lo sguardo fisso sul finestrino, quando sentii una voce che mi fece tornare alla realtà.
"Signora, siamo arrivati."
L'uomo al volante fece passare lo sguardo sullo specchietto, concentrandosi sul mio riflesso; aveva un tono spazientito, probabilmente non era la prima volta che mi chiamava, ma io non lo avevo nemmeno sentito. Gli diedi ciò che gli dovevo e scesi dal taxi. Aspettai Nicole davanti al locale in cui ci eravamo date appuntamento; ero in anticipo, lei infatti arrivò pochi minuti dopo, puntuale come un orologio svizzero. Era con una sua amica, che l'aveva però salutata quando era ancora a qualche metro da me.
"Robbins!" mi salutò con un sorriso raggiante, che ricambiai, e mi diede un abbraccio, cosa a cui ancora non ero abituata. Camminai con lei fino all'ingresso del locale prendendola sotto braccio, non che ne avesse bisogno, con il suo bastone riusciva a orientarsi benissimo. Ci sedemmo al nostro tavolo e poi iniziai a parlare.
"Com'è andato il viaggio?"
"Molto bene, grazie. Dobbiamo discutere a proposito della clinica."
"Giusto. In mattinata sono andata a dare un'occhiata, tutto tranquillo, da domani sarò ufficialmente in servizio. Nicole, non sai quanto sia felice per questa opportunità, è come un sogno diventato realtà, non potrò mai ringraziarti abbastanza."
"Dio, smettila" sarebbe potuta apparire infastidita, ma sapevo che le mie parole le faceva piacere "Arizona, tu sei in gamba, sei praticamente il mio orgoglio, in un modo o nell'altro saresti diventata un chirurgo fetale brillante. Ovviamente posso dire che il fatto di avermi avuta come mentore sia stato una fortuna per te." disse fiera, accennando una risata.
"Non posso che essere d'accordo."
Il pensiero di lavorare con lei in una clinica che portava il nostro nome, di fare ciò che più amavo, salvare la vita di milioni di donne e dei loro bambini, mi faceva sentire bene. Parlammo per molto dei primi casi che avrei dovuto seguire, in particolare di un corioangioma placentare, un caso molto interessante ma difficile, che lei stessa mi aveva affidato. Poi ridemmo pensando ai vecchi tempi, quando giravo per l'ospedale disperata con mille carte tra le mani, e lei si divertiva a riempirmi di lavoro, rischiando di farmi impazzire.
"Com'è andato il tuo primo giorno a New York?"
Cercai di nascondere una smorfia a quella domanda, non volevo già annoiarla con la mia vita, ma nell'esatto istante in cui feci per dire qualcosa mi arrivò una chiamata: era Callie. Non aveva smesso di chiamarmi dalla sera precedente, ma io non avevo mai risposto, non avevo voglia di sentirla. Avevo bisogno di tempo per calmarmi e chiarirmi le idee; rifiutai velocemente la chiamata e tornai a guardare la donna davanti a me. Non appena sollevai lo sguardo notai che assunse un'espressione accigliata. Era come se mi leggesse dentro, come se riuscisse davvero a vedere la mia espressione, rimasi immobile qualche istante, riprendendo poi a parlare.
"Tutto bene," tentai di assumere un tono convinto, ma esitai per un attimo. Mi sentivo sempre più a disagio, quindi cercai di continuare la conversazione "in realtà non ho fatto nulla di speciale, sai, ho sistemato le valigie e gli ultimi pacchi del trasloco."
"Non sei mai stata brava a mentire, ti ho sempre scoperta." disse iniziando a ridere, per poi tornare ad assumere un'espressione seria "Non penso sia andata poi così bene, e a giudicare dal tuo tono dopo che hai ignorato la chiamata, credo riguardi anche la persona da cui l'hai ricevuta. Chi era?"
Avevo davvero pensato di riuscire a mentire a Nicole Herman? Questa donna mi conosce come le sue tasche. Avevo veramente bisogno di parlare con qualcuno, visto che non avevo ancora avuto l'occasione di sentire April. Avrei dovuto chiamarla martedì, avevamo deciso che quello sarebbe stato il nostro giorno, una delle due avrebbe chiamato dopo il lavoro per raccontarci delle nostre pazze settimane. Quindi decisi di aprirmi con lei, mi fidavo di Nicole, e poi mi aveva sempre dato ottimi consigli.
"Callie." risposi semplicemente facendo un piccolo sospiro "Sai che ci siamo separate da un bel po', ma ieri sera mi ha detto delle cose e io non so davvero come comportarmi."
Le spiegai tutta la situazione, dei sentimenti che provavo per lei, di ciò che era successo e le raccontai di ogni mia paura e preoccupazione. Buttai fuori tutto ciò che sentivo, parlando forse troppo velocemente. Lei non smise un istante di ascoltarmi, rivolgendomi la sua massima attenzione. Mi sentii capita, si interessò davvero a me e dopo fu come se mi fossi tolta un gran peso.
"Ho notato come stavi nel periodo del vostro divorzio, anche se all'ora cercavo di non prestare troppa importanza alla tua vita privata. È normale che adesso ti senta così, forse hai bisogno di tempo per capire ciò che davvero vuoi."
"Sono furiosa. È stata lei a volere che andassimo dalla consulente matrimoniale, è stata lei a lasciarmi dicendomi che cercare di salvare il nostro matrimonio la stava lentamente uccidendo, è stata lei a dare per scontato di portare nostra figlia lontana da me, praticamente obbligandomi ad agire per vie legali, ed è stata sempre lei a venire qui senza guardarsi indietro. E ora, dopo due anni, come se nulla fosse, mi dice che vorrebbe riprovarci. Ha idea di come mi possa sentire?"
"Almeno ha capito di aver fatto molti sbagli, so che a volte pentirsi non è sufficiente, e forse l'hai perdonata per troppe cose, ma, se davvero vuoi, potresti cercare di darvi un'altra occasione."
"La perdonerò sempre, perché lei mi ha salvata. Non ha mai smesso di starmi accanto, mi ha dato la felicità, mi ha donato nostra figlia... non potrei mai provare qualcosa che non sia amore verso di lei. A volte vorrei solo poter cancellare questo sentimento, perché ciò che provo mi fa scordare come stessi in quei momenti, non mi permette di ragionare in maniera razionale. Ma anche io ho fatto degli errori, sarei un'ipocrita se dicessi di non aver mai sbagliato."
"Allora pensa semplicemente a ciò che vuoi, metti da parte tutto il resto. Segui il cuore, Robbins."

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