Sei

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Eppure, mi sembra così paradossale.

Non riesco a pensare che un incidente avvenuto in una miniera così tanti anni fa possa avere a che fare con quanto sta accadendo a Red Creek.

Com'è possibile?

È questo pensiero, più di ogni altra cosa, a bloccarmi proprio mentre sto per raggiungere Beauregard e parlargli.

Ma perché?

Mi sembra assurdo anche dover cercare il nome di un uomo del quale ho già visto due volte il viso. E, forse, Meadows, battendo palmo a palmo il bosco, lo ha già trovato.

Riprendo in mano il telefono. Chiedo di nuovo di essere messo in collegamento con il mio ufficio.

«Il vicesceriffo è appena morto. L'ho ucciso io.»

«Chi...?»

«Non mi riconosci, sceriffo? Sono Abe Barber

Le mani mi tremano con una tale violenza da rendermi impossibile o quasi riappendere la cornetta all'apparecchio.

La necessità impellente di fare qualcosa e la frustrazione completa, l'impotenza più totale.

Istintivamente, faccio comporre di nuovo lo stesso numero.

«Mi dispiace, signore, ma credo che la linea abbia un guasto, o sia interrotta» mi risponde la centralinista.

***

Quando il furgone arriva, ormai è già notte.

Una squadra speciale. Un'intera squadra speciale. Un lusso che Banks non ha mai avuto. E che, magari, a suo tempo avrebbe evitato tutto questo.

Esco di corsa dal commissariato di Dayton, dal posto dove ho atteso per ore l'arrivo degli uomini dei federali, inviati in tutta fretta da Cincinnati; dal posto dove ho ripetuto almeno sei volte l'intero svolgimento della faccenda; dal posto dove ho mangiato qualcosa seduto su una scomoda panchina di metallo.

Vengo fatto salire a bordo del furgone: una specie di autobus, a dire il vero, dotato di un armamentario tecnologico del quale ignoro le funzioni.

L'agente speciale Eales mi presenta i suoi colleghi. Sono otto, addirittura. Finiamo le presentazioni quando il motore si è già avviato verso Red Creek.

Mi viene chiesto ancora una volta di raccontare tutto, di far presente ogni minimo dettaglio.

E io lo faccio, senza esitare.

L'omicidio delle Molder, venti anni fa. L'incidente in miniera e l'assurda coincidenza dei nomi. L'incontro con Tom in biblioteca e la sua morte in un incendio doloso. L'uomo con l'impermeabile giallo visto due volte. Il cadavere visto e scomparso. L'agghiacciante voce al telefono.

«Si tratta di un solo uomo?» mi viene chiesto.

«Credo di sì» rispondo.

«Crede o ne è certo, sceriffo?»

«Lo credo.»

Il bosco che circonda Red Creek, in questa notte di lieve pioggia, è decisamente cupo.

Mi sembra che sia passata una vita da quando sono uscito con la torcia e ho trovato il corpo di Jennifer. E invece no, non sono trascorse che poche ore. Il senso del tempo, dilatato dall'impossibilità di dormire e torturato dall'adrenalina che continuo ad avere in circolo, mi soffoca, mi stringe alla gola.

Era solo ieri.

Meno di due giorni fa, Jenny dormiva serena nel suo letto, Woodson era davanti alla sua bottiglia. E Meadows con la sua famiglia.

Meadows, Dio mio, Meadows.

Non riesco a pensarci. Non riesco a pensarci.

Continuo a rivedere davanti ai miei occhi quell'uomo, il suo gesto algido e minaccioso, il suo indice che si allunga sulla gola in una promessa di morte.

Sarei dovuto rimanere.

Il furgone che questa mattina ci aveva sbarrato la strada è sparito.

Prevedibile, anche questo.

I miei occhi continuano, mio malgrado, a frugare nelle ombre del bosco rischiarate appena dai fari del nostro mezzo, cercando quel dannato impermeabile giallo. E anche l'agente che guida rallenta, sembra quasi esitare nel buio e nella pioggia.

Cazzo, ho paura.

Ho paura di morire.

Ho paura di non potermi opporre alla morte.

Ed è un pensiero illogico, un pensiero insano.

Spero che Meadows non abbia sofferto. Come cazzo lo dico a Martha.

E comincio a temere che ogni mio pensiero sia illogico.

***

«Dobbiamo agire il più in fretta possibile. Stando a quanto lo sceriffo ci ha riferito, questa serie di episodi violenti è stata eseguita in una successione rapidissima che fa intuire quanto il soggetto sia instabile e pericoloso». L'agente speciale Eales, il volto seminascosto nell'ombra, ha la voce bassa e roca. «Johnston, Marbles, voi entrerete nell'ufficio dello sceriffo e verificherete la situazione. Thompson, tu prenderai il controllo delle squadre di ricerca. Voglio che nessuno si allontani dal paese senza il nostro permesso e che nessuno – nessuno – si addentri nel bosco, nemmeno con un'adeguata scorta. Da questo momento saremo noi a dirigere ogni singola operazione. Lei, sceriffo, resterà con me e Jones. Penso che lei sia una vittima designata di quel pazzo e il mio intento è proteggerla.»

Proteggermi.

Una parte di me, devo riconoscerlo, non desiderava altro.

Quella che non riesce ad ammettere quanto io sia arrivato a temere che una leggenda, un fantasma inventato per spaventare i ragazzini, sia reale.
Al solo pensarci – al solo associare quella voce cavernosa e lenta con quel volto sfregiato, un brivido mi percuote.

Rimango inerme, immobile come un pupazzo, mentre Johnston e Marbles scendono al volo davanti a quello che fino a ieri era il mio ufficio, aprono la porta con le mie chiavi e scompaiono in un luogo che, forse, è diventato la tomba di un uomo che conoscevo da anni, che vedevo ogni mattina seduto alla scrivania accanto.

Mi accascio, letteralmente, sul sedile che mi hanno assegnato.

I due uomini fanno ritorno dopo una decina di minuti.

«Abbiamo esaminato la scena accuratamente» dice uno dei due, scuro in viso. «C'è il cadavere di un uomo con il cranio sfondato.»

Sento la nausea risalirmi bruciante la gola, ardermi la bocca.

Meadows, cazzo. Povera Martha.

Abe BarberDove le storie prendono vita. Scoprilo ora