capitolo 1 - l'inizio

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Ero piccola, avevo circa 3 anni, sapevo già parlare e camminare, era notte, io piangevo perché avevo fame, sentii delle urla, mia madre mi prese in braccio e mi disse «andrà tutto bene piccola» poi mi nascose nell'armadio e mi disse di non fare rumore qualsiasi cosa sarebbe successa, poi sentii mia madre urlare «non hai il diritto di stare qui
poi urlò dal dolore, me le ricordo benissimo quelle urla, le sogno ancora certe notti, le mie notti sfortunate.
Credo che passarono ore e io uscii dall'armadio andai in cucina e c'erano mia madre, mio padre, mio fratello di 5 anni e mia nonna stesi per terra in un lago di sangue. La polizia arrivò un po' dopo, io piangevo, una poliziotta mi perse in braccio e mi ricordo di aver visto i miei vicini mettersi la mano alla bocca vedendomi inzuppata di sangue e poi... e poi non mi ricordo più nulla...
Venni messa in un orfanotrofio. Mia zia, unica rimasta in vita della mia famiglia, non ne voleva sapere niente, così mi lasciò in mano a degli estranei.
A 7 anni ho avuto i primi problemi dovuti al mio trauma. Un ragazzo di circa 14 anni ha iniziato a prendermi di mira, mi spintonava e mi diceva cose cose tipo "farai la prostituta da grande" "nessuno ti adotterà mai" ecc... io iniziai a picchiarlo, lo mordevo, lo graffiavo, gli tiravo calci e quando cadde a terra iniziai a calpestagli la faccia, ancora e ancora finché non ha iniziato a uscirgli sangue dall'orecchio, cazzo quel brivido, quel brivido era bellissimo, mi sentivo come pervasa da un'emozione così forte che mi faceva perdere conoscenza, prendeva il controllo dei miei impulsi e volevo fargli uscire più sangue ma una delle assistenti mi fermò prendendomi entrambe le braccia e scuotendomi avanti e indietro «CHRISTEL MA COSA TI È PASSATO PER LA TESTA SANTO CIELO?!!» l'assistente mi prese per il polso portandomi dal grande capo, così lo chiamavo io, nel mentre altre assistenti con l'infermiera portarono il ragazzo in infermeria.
Arrivati dal grande capo lui mi fece sedere e l'assistente se ne andò via.
«Christel, vorresti spiegarmi cosa è successo?» mi chiese,
«mi spingeva... mi insultava... io non ce la facevo più...» dissi con le lacrime agli occhi.
Un anno dopo venni adottata da una famiglia, era gentile con me, la nuova mamma mi piaceva, ma un altro anno più tardi iniziai a implorarla di non lasciarmi sola con papà, lui iniziò a stuprarmi, io non avevo capito all'inizio, poi realizzai tutto, e ogni volta mi costringeva a lasciarmi toccare da lui o altrimenti mi avrebbe picchiata. All'età di 12 anni iniziai a meditare un piano per farlo fuori, doveva sembrare un incidente, mille idee nella mia testa, tra quelle dovevo sceglierne almeno tre da poter mettere in atto, quindi lasciai passare dei giorni per organizzare tutto. Le giornate erano sempre uguali scuola, casa, stupro, mio padre che beveva, la mamma che tornava a casa ignara di tutto quello che mi faceva, papà ubriaco che picchiava mamma e mamma che veniva in camera mia a parlare di ogni singola giornata e a rassicurarmi che un giorno andrà tutto per il verso giusto. Io fraintesi le sue parole, e così misi in atto l'idea che si camuffava di più come un incidente. Papà di mattina si svegliava sempre tardi e così doveva andare sempre veloce in macchina, essendo bassa e gracile mi infilai sotto la macchina di sera e per non farmi vedere da mio padre, appena arrivata mia madre, cominciarono le solite grida e io nel frattempo tagliai il cavo del freno e lo sfilacciai appena per poi avvicinare le estremità tagliate per farle sfiorare l'una con l'altra, poi mi arrampicai sull'edera sotto la finestra di camera mia e entrai dalla finestra e tranquilla senza emozioni aspettai mia madre per parlare con lei.
Mio padre morì, nessuno sospettava di me, avevo un alibi, e sembrava tutto uno sfortunato incidente, la mamma pianse e il suo umore peggiorò di giorno in giorno.
Io le dissi tutto su quello che mi faceva e la cosa la confortava perché aveva un motivo in più per odiarlo.
A 15 anni, al liceo iniziai a farmi degli amici, la compagnia giusta per me, eravamo tutti ragazzi con problemi mentali o traumi gravi. Così comprai una felpa nera con un cappuccio largo, feci un disegno stilizzato con solo i bordi in bianco di una rosa che veniva trafitta da un coltello al computer, la stampai su un foglio speciale e la applicai sul retro della felpa, iniziai a farmi chiamare Rose, mi mettevo la frangia negli occhi e il cappuccio grande in testa in un pub di nome bloodymary (come la bevanda), di preciso entravo nel bagno nel momento in cui ci andavano molte altre persone e tiravo fuori la mia felpa e bum Rose appariva, così mi procuravo sempre un alibi e nessuno sospettava di me. Iniziavo con «non hai mai voluto che qualcuno morisse?» e se la persona negava io continuavo con «dai, tutte le persone hanno qualcuno sulla lista nera» e chi cedeva conesceva Rose, chi si irrigidiva invece le diceva bye bye.
Per un periodo filava tutto liscio, sapevo dove nascondere la felpa e mi procurai una parrucca blu abbastanza folta, e il mio viso non si intravedeva proprio, tranne i miei occhi azzurri intenso. Procuravo soldi per mia madre a patto che non mi chiedesse sa dove li ho presi e tutto era ok.
Passarono gli anni, fino a che arrivarono i 22, lì le cose si complicavano, dovevo andare in pub diversi per poi uscire dal retro e rientrare nel retro quando era ora di tornare a casa. La gente si faceva sempre di più, gente ricca, pronta a pagare, io non muovevo neanche un dito venivano loro da me, sapevano dove trovarmi, e il capo del pub era un amico del gruppo di problematici, poi iniziarono a pedinarmi quindi feci fare il mio lavoro a una ragazza di cui mi fidavo ciecamente, le inviai il disegno e il link della parrucca blu, così lei andò in quel pub al mio posto per circa un mese e faceva il lavoro al mio posto con 30% di guadagno. Il mio nome divenne così grande che un sacco di ragazzi cercarono di imitarmi, poi quando il mio amico se ne andò dal pub iniziai a pagare il nuovo proprietario per tenere la bocca chiusa, ma lui non voleva i miei soldi, voleva altro, così iniziai a mandargli conoscenti prostitute. Due anni dopo, il proprietario aprì la bocca, la polizia mi arrestò ma nessuno vide mai il mio volto, nemmeno in televisione. Le mie conoscenze riuscirono a mandarmi in una prigione mista dove gli assassini sicari potevano tenere una mascherina nera di tessuto sul volto, e chi era fortunato riceveva anche una felpa nera con un teschio e un coltello che gli trafiggeva il cranio.

black rose - cresciuta con il sangueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora