Il vedere il mondo a colori, il provare sensazioni diverse, il percepire caldo e freddo, il sentire diversi profumi, il toccare diverse consistenze. Sono tutte sensazioni che qualunque bambino dovrebbe provare in tenera età, circondato dall'amore di una famiglia.
Purtroppo, non è questo che è successo alla piccola Emma Rose, bambina al sesto mese di gestazione che i pompieri sono riusciti a salvare miracolosamente dal corpo ormai bruciato della madre. In queste circostanze la bimba ha visto per la prima volta il mondo: un mondo di fuoco e fiamme.
Ovviamente, è il suo fisico ad averci rimesso di più: una pelle macchiata da cicatrici, perennemente rotta, arida, con croste, squamosa; dei capelli radi, sfibrati, che cadono a toccarli; una percezione perenne di calore estremo, unita a una temperatura corporea ben più alta rispetto al normale; una vista misera, limitata a contorni e ombre.
Questo è stato l'universo di Emma nei suoi primi mesi, dove da un ospedale all'altro veniva trasportata, cercando di migliorare le sue condizioni, finché decisero di portarla in un laboratorio scientifico. Infatti, essendo prematura, le probabilità di riuscire a procurare cambiamenti nel genoma erano molto alte, seppur rischiose, e questo era il luogo nel quale potevano farle. Così, tra un esperimento e l'altro, il numeroso gruppo di scienziati riuscì a rendere la situazione pelle e capelli vivibile, anche se sempre rovinata; a darle un mondo definito, anche se in bianco e nero; a renderle una temperatura corporea fissa, anche se a ben sessantasette e quattro gradi; a darle una percezione di calore della temperatura esterna accettabile, anche se comunque alta. Fu proprio l'insieme di queste caratteristiche a darle un soprannome particolare: la ragazza cenere.
Fu sempre in questo laboratorio che la bambina trovò, al quinto mese di vita, una famiglia: una giovane coppia di scienziati decise di adottarla e, per farla vivere in condizioni accettabili, di trasferirsi nel nord del Canada, dove le temperature rimanevano basse tutto l'anno.
Qui la piccola crebbe in un ambiente fatto su misura per lei, con una temperatura fissa in quasi tutte le stanze pari a zero gradi – da lei percepiti trenta – con oggetti e vestiti resistenti al calore e isolanti, in modo che non potessero trasmetterle in alcun modo questa energia.
Ormai Emma ha raggiunto i diciotto anni e, cercando di ignorare i suoi infiniti problemi, cerca di vivere come può la sua vita.
« Emma! » la chiamò la madre dal salone.
« Arrivo » rispose lei di rimando, allungando la "o" per tutto il tragitto dalla sua stanza fino al soggiorno. Appena la vide come al solito il suo cuore perse un battito: sua madre adottiva, Helen, una così bella donna di cinquantadue anni, con una folta chioma di capelli biondi – o meglio così sospettava, poiché li vedeva di un grigio chiaro – ormai alternati a ciocchette bianche, con la pelle perfetta di una bambina, tutta imbacuccata in un pesante giubbetto e una coperta. Emma non poté fare a meno di guardare se stessa, nonostante sapesse già che avrebbe visto solamente una ragazza in canottiera e pantaloncini corti con la pelle di una centocinquantenne. Sorrise amaramente e poi chiese alla madre come mai l'avesse chiamata.
« Mi chiedevo se ti andasse di fare una passeggiata in cen— » Il telefono iniziò a squillare. « —tro » concluse, per poi andare a rispondere.
« Sì? »
Pausa.
« Quale sarebbe il luogo esatto? »
Pausa.
« Va bene allora, gliela mando subito. Buon pomeriggio. »
Mise giù la cornetta e poi si rivolse a Emma « Mi spiace ma dovremo rimandare: hanno chiamato i vigili del fuoco, un ragazzino stava pattinando sul ghiaccio e questo si è spezzato. Hanno già fatto il possibile ma non riescono a portarlo in salvo chiedevano se potessi andare ad aiutarli tu. Si trova al laghetto qui a due isolati. »
Emma sospirò, sapeva di non potersi rifiutare e che ormai quello di salvatrice era il suo ruolo nella città. « Corro » rispose per poi affrettarsi ad uscire.
Appena mise un piede fuori casa, quelli che dovevano essere cinque gradi la investirono come fossero quaranta e improvvisamente si ritrovò a correre per le strade di un mondo grigio fatto di fuoco, dove per lei i tombini e qualunque cosa di metallo era da evitare come se fosse fatto di lava, poiché questi assorbivano calore.
Ci mise solo due minuti a raggiungere il bacino d'acqua, dove una squadra di soccorso la stava aspettando. Non le sfuggirono gli sguardi cattivi delle persone presenti che la videro arrivare in tenuta da vacanza estiva.
Subito si precipitò a chiedere informazioni e ne venne fuori che il soggetto era un ragazzino di dodici anni che ormai stava in ammollo da venti minuti e rischiava l'ipotermia.
Iniziò quindi ad avvicinarsi al foro nel ghiaccio, premurandosi di indossare stivali isolanti in modo da non farlo sciogliere ulteriormente. Una volta arrivata si immerse: l'acqua l'avvolse ed, essendo più fresca dell'aria, le diede un senso di sollievo.
« Okay, okay, va tutto bene, mi senti? » si rivolse al ragazzo, che la guardò spaventato. « Sì, lo so, sono bellissima » ironizzò, « ma adesso mi devi ascoltare e ti devi fidare di me: non so se mi conosci ma sono la ragazza cenere, infatti, non senti che l'acqua si sta scaldando piano piano? Ecco, noi dobbiamo uscire ora, prima che si scaldi troppo e faccia sciogliere anche il resto del ghiaccio. Tu però mi devi aiutare, adesso, delicatamente, devi prendermi una mano... » Il ragazzo si mosse e la prese, il contatto fisico fu come mettere una mano nel fuoco per lei e la fece sussultare. « Ecco, bravo, ora ti spingerò sopra alla lastra di ghiaccio, dove arriveranno i soccorsi. »
Tutta l'azione durò sui dieci minuti, dopodiché l'area fu sgomberata ed Emma potè uscire dall'acqua, anche questa volta la differenza tra le temperature fu un duro colpo.
Ancora tutta bagnata, Emma si diresse a casa e, nonostante la madre le chiese se le andasse ancora di andare a fare una passeggiata, ormai l'umore era quello che era, perciò decisero che vedere un film era il giusto compromesso e il giorno si concluse con calma.
Il periodo successivo fu abbastanza ripetitivo, come d'altronde era sempre stata la sua vita: mattine passate a studiare, pomeriggi passati in casa o, raramente, a camminare, il tutto alternato da richieste d'aiuto da parte dei pompieri.
Fu proprio al termine di una di queste imprese, verso la fine dell'estate, che la routine ebbe una leggera differenza, infatti, una volta tornata a casa Emma non trovò sua madre in soggiorno né tantomeno al di là del vetro trasparente che isolava la cucina – la quale aveva una temperatura normale per ovvi motivi.
Dopo qualche minuto passato a chiedersi dove potesse essere andata, Emma si ricordò che quello era il giorno in cui suo padre Nicholas doveva tornare a casa, infatti questo era un uomo molto dolce e premuroso ma, a causa del lavoro, spesso stava via dalla sua famiglia per mesi interi.
Decise quindi di andare a cercarli nella loro camera da letto ma, appena prima di bussare per chiedere loro di uscire – anche questa aveva una temperatura normale – sentì che stavano parlando e quindi fece per andarsene, quando una frase pronunciata da sua madre le fece interrompere l'azione.
« Non so quanto io possa resistere ancora » stava dicendo.
« Oh Helen, posso solo immaginare cosa provi. » Qualcuno tirò su con il naso.
« Mi dispiace tantissimo dirlo, ma fa così tanto male. » Singhiozzò. « Diciotto anni, sono diciotto anni che non posso stendermi a guardare un film davanti a un camino acceso. Sono diciotto anni che non posso togliermi il giubbotto se non in due stanze. Sono diciotto anni che mangio freddo. » Fece una pausa, si soffiò il naso. Riprese. « Sono diciotto anni che posso abbracciare qualcuno solo per pochi giorni neanche in tutti i mesi dell'anno. »
Emma aveva sentito abbastanza, aveva sentito fin troppo, e decise di andarsene. Era palese che stessero parlando di lei e, da una parte, lo sapeva, lo sapeva perfettamente che era un peso per la sua famiglia ma sentirlo dire dai diretti interessati era tutta un'altra cosa.
Una lacrima le scese dall'occhio sinistro, lasciandole un nuovo segno sulla guancia prima di evaporare.
Quando i suoi genitori andarono in soggiorno, la trovarono seduta sul divano, a guardare la televisione e la salutarono con amore. Lei fece lo stesso.
Dopo quel giorno, il tempo iniziò a passare più lentamente per Emma, ormai notava gli occhi lucidi della madre; la felicità dei suoi genitori di stare sotto la stessa coperta sul divano fintanto che potevano; quel misto di amore e compassione con la quale la guardavano; quello sguardo tra il dispiaciuto e il sollevato che le regalavano quando usciva di casa.
Arrivò poi il penultimo giorno prima della nuova partenza di suo padre, quella per Emma fu una giornata davvero triste, poiché in città avevano iniziato ad accendersi tutti i camini, tranne quello della sua casa, e questo la faceva sentire terribilmente in colpa. Quella sera decise quindi che, forse, era il momento di fare una scelta importante, per poi dare la buona notte ai suoi genitori.
Quando la mattina dopo essi si svegliarono e andarono in soggiorno, all'inizio, non notarono nulla di strano, si sedettero insieme sul divano, tutti coperti come al solito, finché non si resero conto di avere caldo.
Solo in quel momento notarono che il camino era acceso, che sul tavolino davanti a loro c'era un biglietto con una scritta fatta con delle bruciature, un "Vi voglio bene con la stessa intensità con la quale il fuoco brucia. Con tutto l'amore che non ho mai potuto dimostrarvi a gesti, la vostra Emma".
Solo in quel momento notarono il mucchietto di cenere sopra al pavimento.
Copertina: @Sara_romanova_rogers
Giudici: ChiusaNellaMiaMente, @_TheBlackRabbit_
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RandomRaccolta di one shot e copertine (realizzate da @demone-senza-ali) partecipanti al concorso "CSS- concorso di scrittura e copertine a coppie" di @ChiusaNellaMiaMente
