Il Coltivatore di Rose

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C'era una volta un signore molto anziano, che viveva in solitudine. La sua casa era situata in una piccola radura al centro del bosco, molto lontana dal villaggio. Erano passati cinquant'anni da quando aveva deciso di vivere da solo. Mezzo secolo da quando aveva compreso di che pasta fosse fatto il mondo e di quanta crudeltà fosse capace. E da quel momento, nessuno l'aveva più visto.

Tutto ciò di cui aveva bisogno per vivere glielo forniva il bosco o, come lo chiamava lui, la sua famiglia. Con il tempo, aveva imparato ad amare ogni singolo abitante e qualsiasi cosa fosse stata generata dalla natura. C'era una cosa che amava particolarmente però, una cosa che per lui era più importante di tutto: le rose. Tutto intorno alla sua piccola casetta aveva creato un roseto e forse, era proprio quello che gli aveva permesso di non impazzire per il dolore. Prima di tutto questo, era stato un soldato impegnato nella guerra del Vietnam. Non aveva mai ambito alla carriera militare, ma essendo nato in una famiglia povera, questo era stato ciò che di meglio la vita gli aveva offerto. Così era partito e insieme a lui, era partito anche suo fratello. Quest'ultimo però, non era mai più tornato a casa con lui, poiché era rimasto ucciso in un raid aereo, coordinato proprio dalla loro squadra. Distrutto e accecato dal dolore, il soldato aveva deciso di tornare nella sua patria, dove però non trovò più ciò per cui era tornato. Durante la sua assenza, anche ciò che rimaneva della sua famiglia era andato perduto per sempre.

Rimasto solo al mondo, decise di portare con sé un unico ricordo in modo da non dimenticare mai, quanto fosse potente il male che faceva parte di quel mondo. Ciò che prese fu proprio una piantina di rose, con la quale poi creò tutto il roseto. Per lui, oltre ad essere stato il fiore preferito di sua madre, aveva anche un altro significato. Nella rosa vedeva racchiusa l'essenza del mondo e con esso, anche quello degli esseri umani. I petali così rossi e belli rappresentavano l'origine, l'esordio di tutte le cose quando ancora il male non esisteva, non era stato generato e il mondo era puro. Le spine invece rappresentavano la sua rovina, l'arrivo del male e la sua presenza costante. Esse ricordavano a chiunque volesse cogliere il fiore, che in ogni cosa esiste la sofferenza. Come non poteva esistere il bene senza il male, non poteva esistere una rosa senza spine. Questa era la sua conclusione e forse, quelle sue riflessioni unite alla solitudine l'avevano portato a comprendere il vero senso di ciò che lo circondava.

Nonostante tutto però, non aveva mai dimenticato i suoi compagni di avventura, o meglio di sventura. In parte, li aveva ritenuti colpevoli di ciò che era successo a suo fratello, in quanto avevano coordinato le operazioni;  poi però le cose erano cambiate. Erano tornati tutti a casa, poiché la sfortuna aveva colpito anche loro. Da quel momento, il signore aveva deciso che in qualche modo, sarebbe stato loro vicino nella quotidianità. Non volendo però rinunciare alla sua solitudine e per paura di entrare nuovamente in contatto con quel mondo, che aveva portato via suo fratello, decise che sarebbe stato loro vicino a modo suo. Così ogni primo giorno del mese, recideva cinque rose bianche, tutte rigorosamente con le spine e poi, le affidava al vento, chiedendogli di recapitarle ai suoi ex compagni. Fin dalla prima volta che essi ricevettero quelle rose, compresero chi fosse stato a mandargliele e gli furono grati per il fatto che non portasse loro rancore. In questo modo gli anni passarono in fretta e non ci fu mai un giorno che il signore si dimenticasse di inviare le sue rose, né uno in cui i suoi compagni si dimenticassero di aprire le finestre, per far entrare il lieto vento messaggero. Per questo motivo, quando quel giorno essi aprirono le finestre e non un soffio di vento mosse le loro tende, compresero. Compresero che non avrebbero più sentito quel calore nel cuore quando vedevano la rosa, non avrebbero più aspettato con trepidazione il primo del mese, non si sarebbero più sentiti in qualche modo legati a lui.

Decisi a salutarlo almeno un'ultima volta, si addentrarono insieme nel bosco. Prima ancora di vedere la casa, nella quale il loro amico aveva abitato per tutto quel tempo, videro il meraviglioso roseto che aveva creato. Solamente quando si furono avvicinati di più, compresero che non avrebbero trovato il suo corpo. Porte e finestre erano spalancate verso l'esterno e le tende erano mosse dolcemente da una leggera brezza. Lo stesso vento che lo aveva aiutato in quegli anni, che gli aveva fatto da occhi e orecchie, ora se l'era portato via e in questo modo sarebbero stati per sempre una cosa sola. Così, uno di loro estrasse a sua volta una rosa e la porse al vento. Prima che se la portasse via per sempre, gli chiese di ascoltare però ciò che aveva da dire. Disse che nonostante la rosa bianca che teneva in mano fosse cresciuta con le spine, lui aveva deciso di toglierle, in modo che assomigliasse di più a colui che aveva perso. Disse che quel giorno, il mondo avrebbe dovuto piangere la sua morte, in quanto se n'era andata la persona che aveva rinunciato alle spine per tornare alle origini. Aveva rinunciato al male per seguire ciò che era giusto, aveva abbandonato il rancore per curare il loro dolore e aveva richiuso le loro piccole ferite nonostante questo avesse fatto sì che la sua ferita non si rimarginasse mai. Concluse dicendo, che tutti loro gli erano grati per ciò che aveva fatto, dopodiché il vento prese delicatamente il fiore che teneva in mano e se ne andò.

Affranti per la loro enorme perdita furono molto sorpresi quando, il giorno successivo, si svegliarono trovando un petalo di rosa bianco sul loro davanzale. Anche da morto, il signore aveva trovato ugualmente il modo di stargli accanto e da quel giorno, ogni mattina ne trovarono sempre uno.

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