CAPITOLO 2

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L'aria gelida di novembre arrivò impetuosa dalla mia finestra solleticando il mio naso. Mi strinsi di più le coperte al petto pensando che almeno esse potessero darmi sollievo o almeno una strada per scappare via dalla mia vita. Aprii gli occhi girandomi in posizione supina e mettendo le mani dietro la testa mi limitai a fissare il soffitto bianco in contrasto con le pareti color pesca. Quella notte feci di nuovo lo stesso incubo, lo stesso che si ripeteva ormai da un mese, ma quella volta sembrava fosse più realistico, come se qualcun altro dovesse morire. Non ricordo bene quante volte mi svegliai, erano come delle contrazioni, gridavo, mi agitavo, mi svegliavo madida di sudore e poi ritornavo calma. E poi cominciava di nuovo tutto da capo.

"Becky" sentii bussare alla mia porta Ben, mio cugino. Non dissi niente,restai in silenzio sperando che quella notte lui non mi avesse sentita e non venisse a riempirmi di domande, ma dopo circa 2 minuti di silenzio la porta si aprì. 

"Dormi ancora?" si avvicinò piano, piano al letto e io richiusi subito gli occhi. Mi fece una carezza sulla guancia, una carezza così dolce e innocente, di quelle che ti davano la motivazione di alzarti e affrontare la giornata, perché infondo forse era solo un brutto periodo.

"Devi alzarti Becky altrimenti farai tardi a scuola" mi stiracchiai cercando di far credere al piccolo bambino di essermi svegliata grazie a lui. Gli sorrisi, cercando di tirare fuori il meglio di me nel farlo e andai in cucina.

"Allora Becky, ti ho preparato la colazione, io purtroppo devo scappare" raccattò delle cianfrusaglie nella sua borsa. "Qui ci sono i soldi per il taxi e tu signorino.." cercò di richiamare il piccolo intento a guardare la televisione e sgranocchiare un biscotto ancora in pigiama. Perché la gente alle sette di mattina va di fretta?

"Cerca di ascoltare Becky e va a vestirti." la verità era che quel bambino era un angelo e quella era tutta scena, lo sapeva anche lei.

Mia zia uscì frettolosa non badando nemmeno a chiudere delicatamente la porta. Finii di fare colazione e sistemai tutto, dopo circa un quarto d'ora eravamo giù ad aspettare il taxi che proprio oggi aveva deciso di far tardi.

"Excusez-moi il ritardò Signorina, ma oggi c'è davvero tanto traffico" parlò il taxista con il suo antipatico accento francese. Eravamo pronti a salire in macchina, quando aprendo la portiera dentro al nostro taxi si precipitò un uomo credo, impegnato a parlare al telefono.

"Esci immediatamente!Questo è il nostro taxi" l'afferrai dalla manica del costoso cappotto. Mi beccai uno sguardo torvo che andava dalla mia mano alla sua manica, ma quello sguardo, due occhi color verde smeraldo mi fecero rendere conto di non trovarmi di fronte ad un uomo, ma ad un ragazzo di circa la mia età. "Non mi rompere i coglioni, ci sentiamo dopo." A quella parola così indiscreta cercai di coprire il più possibile le orecchie di Ben, con il risultato che il bambino cominciò a ridere. "Allora, vuoi scendere?" insistetti. "Stai calma ragazzina, mai sentito il proverbio 'il primo che arriva, primo alloggia'." alzai gli occhi al cielo per la sua ignoranza. Perché la gente dice le cose senza saperle?

Pazienza Rebecca, pazienza.

"Mi dispiace correggerti ma è 'chi prima arriva, meglio alloggia'." sistemai meglio la borsa sulla spalla. "Fa lo stesso, grazie per il taxi!" cercò di richiudere la portiera, ma Ben si mise in mezzo impedendo la chiusura. "Potremmo condividere il taxi?" non ci avevo pensato! Ben sorrise allo sconosciuto che si fermò ad osservarlo per qualche secondo. "Excusez-moi ma non abbiamo tutto il giorno!" guardai male il taxista che si girò subito a guardare avanti.

"D'accordo." accettò facendoci posto e quando entrammo Ben abbracciò lo sconosciuto e io dissi l'indirizzo della scuola, anche se mi spaventava restare da sola con uno sconosciuto.

Questione Di DestinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora