Things that I can('t.)

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"There's winter in your eyes."

Capitolo 2.

Los Angeles, 12 Giugno 2012. Un marciapiede di Rodeo Drive.

Sento le guance bruciare, ed è come se una scarica di acido puro mi avesse investito e mi stesse corrodendo la pelle mentre sono fermo.
Immobile, come una statua di cera sul ciglio del marciapiede.
Lo sento scorrermi fin nelle ossa, l'umiliazione e la vergogna ormai mi stanno possedendo.
Non sono altro che un cumulo di cenere, e delusione.
Sì, sono una delusione.
Qualcuno mi sfiora un braccio, è una carezza gelida a contatto col calore che il mio corpo sprigiona adesso.
Mi tiro fuori dal mio stato di isolamento e commiserazione, e alzo lo sguardo.
Norah mi sorride, e passa ad accarezzarmi il viso.
«Tutto bene, tesoro?» la sua voce soffice e premurosa è un ulteriore carezza che mi liscia le pieghe dell'anima dannata che mi ritrovo, e le distende.
«Sto bene.» rispondo con un filo di voce, sto ancora fissando la strada.
Io non ero lì, non è successo nulla.
Lei si avvicina, e mi afferra il viso, con un leggero strattone mi costringe a guardarla dritto nei profondi occhi neri velati dai più oscuri incubi e traumi che una ragazza di appena ventitré anni in cerca di libertà possa subire per una mancata promessa.
«Quelli come noi, non posso permettersi il rispetto che ogni essere umano dovrebbe ricevere, come dettato da Dio. Quelli come noi, devono stare zitti e subire per qualcosa di più grande e soddisfacente. Quelli come noi, avranno la loro giustizia a tempo debito.» e le sue parole, le prime di questa pessima sera, finalmente hanno peso.
Un peso diverso dalle altre, un peso che ti rende più leggero dentro all'altezza del petto.
Annuisco, e accenno un sorriso.
Lei invece lo fa spontaneamente, sorridere.
Lei sorride sempre, anche in mezzo a tutto questo. Io non riesco.
Io certe volte, venderei tutto quello che non ho - quindi, parecchie cose - per riavere un sorriso sincero come il suo.
Voglio che non lo perda mai.
E' la cosa più bella che ha.
Mi stampa un bacio sulla guancia, poi ci sfrega il pollice per cancellare l'alone appiccicoso di rossetto che ci ha lasciato.
«Così il tuo ragazzo non pensa male.» dice con un risolino, e si allontana quando una macchina accosta al marciapiede e lampeggia con le frecce in sua direzione.
Io mi limito ad accennare una risatina forzata.
La guardo ancora mentre monta sull'auto verso un altro appuntamento con l'inferno, e lei sorride di nuovo prima di sparire tra le luci offuscate della via.
Sarò solo anche stanotte.
Lo sarei in ogni caso.
Spazzo con il piede le poche foglie che ricoprono il sentiero del parco.
Fa freddo.
No, non è vero, l'aria è rovente e pesante, mi secca la gola e le labbra sono un deserto arido.
Ma io ho freddo.
Una di quelle sensazioni che non può essere sanata da una coperta, o da vestiti più imbottiti.
E' di quelle che te lo senti dentro, il gelo.
Di quelli che hai bisogno che qualcuno ti stringa al petto e ti dica che passerà.
Che devi smettere di farti queste paranoie, perché tu vali di più.
Poi ti bacia la fronte e ti stringe più forte, aspettando che ti addormenti per guardarti dormire tranquillo.
Non è freddo fisico.
Mi stringo le gambe al petto, i miei occhi si perdono per un attimo tra i fitti rami fragili e cadenti di alcuni alberi prima di ridursi a una fessura: "Anche questo giorno sta finendo, a domani."
La voce del conduttore di qualche programma per bambini mi da la buonanotte, cado nel buio.
Dormo.

Los Angeles, 19 Giugno. Luogo indefinito.

"When I look into your eyes, I see a winter's world. It's so cold, and I can't stand it. No, I can't. How you do? How you can to keep it inside?"

Le dita, seguono da sole il ritmo della musica.
Battono e si ritirano, battono ancora e si ritirano ancora.
La voce che viene scandita dalle casse è malinconica ma c'è qualcosa che mi sfugge, come se sapesse che non poteva fare niente per salvare quel qualcuno con l'inverno negli occhi, ma ci provasse lo stesso.
"Let me see inside them, please. I can understand."
Può capire, dice che può capire.
E allora perchè quel qualcuno è tanto ostinato a non lasciarlo guardare oltre la neve e il ghiaccio dei suoi pensieri?
Sotto tutto quel freddo e quel coprirsi, potrebbe esserci qualcosa di grandioso.
Scrollo le spalle, e un pensiero mi si inchioda nella mente.
E' come quel ragazzo, quello di quella sera al Klessamoon.
Quello della Rodeo Drive.
Lui, aveva gli occhi ghiacciati, offuscati da una leggera nebbia, l'ho visto.
Mentre mi guardava, mi chiedeva aiuto, e allo stesso tempo mi chiedeva di lasciarlo lì a soffrire come se lo meritasse.
Come se avesse una colpa tanto grande da giustificare quello che stava subendo da parte di Joe.
Umiliazione.
Lui credeva che meritasse quell'umiliazione.
Magari perché era lì a fare quello che fa.
Magari perché quella vita non se l'è scelta ma gli è capitata.
E lui sta solo cercando si sopravvivere, e allo stesso tempo vorrebbe che qualcuno lo uccidesse.
Vuole vivere una vita dignitosa, o morire vivendone una che non vuole.
Rabbrividisco, e premo il piede sull'acceleratore, esagero.
Spingo forte, e poi lascio andare, stringendo i denti.
Qualcuno deve salvarlo.
Io non posso.
"Tu non puoi." mi ripeto ancora, ma è come se parlassi a vuoto.
Come se non mi credessi.
Come quando mia madre mi dice che non sono abbastanza capace per farmi una vita mia, e che posso solo dipendere dai suoi soldi.
E allora io dentro rido.
Perché se solo volessi potrei fare di più di quanto lei abbia mai fatto in vita sua, in qualche anno della mia.
Perché ogni volta che gli mostro le mie idee, lei si isola, come se volesse evitare di riconoscere che è lei la fallita.
La moglie di Richard Styles di cui nessuno sa niente, buona solo a stare accanto al marito nelle grandi occasioni.
Depressa, e malata di quello stupido modo di vivere falso e malsano dell'alta società.
E infondo ha ragione, io non sono come lei.
Io posso farlo.
Posso anche aiutare quel ragazzo.
Io voglio, aiutarlo.
Ma.. dove lo trovo, ora?
Non so nemmeno come si chiama, e non so nulla di lui.
Sono le sei del pomeriggio, e non credo proprio che lui sia ancora su quel marciapiede.
E inoltre, non so neanche se lavora sempre lì.
Non lo so.
Non importa.. vale la pena provarci.
Stanotte si esce.

Infilo la giacca, e alzo gli occhi al cielo. La serata è fresca.
Finalmente un alito di vento smuove i sinuosi e malandati rami degli alberi, e ne fa ondeggiare le foglie asciutte.
Mi investe il viso, e si porta via tutte le incertezze.
Io devo parlare con quel ragazzo, qualcosa che va oltre la mia capacità di comprenderlo mi ordina di farlo.
E' la cosa giusta.
Me lo ripeto fino a quando la mia schiena non si scontra col sedile lucido della mia Range Rover blu notte.
Accendo il motore che esplode in un ruggito roco e possente per un istante e ricade nel silenzio del niente che mi circonda, subito dopo.
Non accendo i fari.
Sono un'ombra che si posa sulla strada e sparisce di nuovo, nessuno deve sapere di me.
Lo faccio solo quando sono lontano dal posto in cui tutti sanno il mio nome, e ognuno racconta una versione diversa della mia storia senza mai cogliere un dettaglio esatto.
Credono di conoscermi, poveri loro.
Vago con lo sguardo ancora una volta, tra i semafori, i volti, le luci, i colori, i sensi.
Torno di nuovo alla notte in cui ho vissuto quel momento.
Non ho bevuto nulla, questo è un problema?
Quella sera l'alcool mi aveva rallentato i sensi, e tenuto sotto chiave la ragione.
Ma devo dire che mi definisco più pazzo ora, di quanto lo fossi quella sera.
Lo vedo, è quello il punto.
E' lì che c'era lui.
Accosto, e abbasso il finestrino.
Lui è lì, con le spalle al muro.
Indossa gli stessi vestiti.
I capelli sono ancora più disordinati e sparpagliati ovunque.
Una ciocca gli copre la fronte.
I suoi occhi sono bassi, non mi guarda.
Premo il palmo (in)volontariamente sul clacson, il suo sguardo scatta e le palpebre si ritirano.
Mi sta osservando ed è.. scioccato? Sorpreso? Confuso?
Arriccia le labbra, come se mi chiedesse se può avvicinarsi.
Se quello che è successo l'ultima volta non succederà ancora.
Gli sorrido, mi viene naturale.
Lui non lo fa, ma si stacca dal muro.
Dice qualcosa a una ragazza intrappolata in un vestito troppo stretto che le copre appena le chiappe.
Lei le sorride, lui si volta di nuovo e guarda la macchina.
Cammina e si sporge di nuovo dal finestrino spalancato, ma non si appoggia.
Ha lo stesso sguardo che aveva quando Joe gli aveva sbraitato contro.
«Sali.» sussurro, facendo scorrere le mani lungo il volante.
E lui mi fissa ancora per un paio di istanti che a me sembrano un eternità, i suoi occhi sembrano più chiari di quanto paressero quella sera.
Mi si siede accanto, e fissa il vuoto fuori dal parabrezza.
«Come ti chiami?» chiedo mentre guardo la strada infinita, ma pur sempre finita e limitata, davanti ai miei occhi.
«Niall.» è la prima volta che sento la sua voce e non saprei ancora definirla.
Ha un accento strano.
«Io sono Harry.»

The prince and.. the whore? ||Narry.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora