•Prologo•

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Le sensazioni
sono già mezze verità...

Audrey Hepburn

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Una melodia dolce impregna l'aria di un'atmosfera intima e serena, guidando il mio corpo come un burattinaio comanda le sue marionette. I fili collegati ai miei arti paiono avere vita propria dalla maestria che i movimenti lasciano trapelare. Il netto contrasto fra il silenzio causato dalla platea vuota e il suono delicato del pianoforte non mi disturba anzi, mi rende più sicura nelle movenze. Sembro palesare un'audacia e sicurezza che al di fuori della sala da ballo si rivelano occasionalmente. Le note chiare e concise dello strumento scandiscono alla perfezione la mia esecuzione dettata dall'istinto e dalle emozioni. Non presto attenzione a ciò che si staglia intorno a me: so per certo che siamo solo io e il vuoto. Il vestito che mi riveste, una leggera vestaglia cerulea, segue le mie movenze, svolazzando leggiadramente, e poi calandosi e adattandosi quietamente al mio corpo nei momenti di temporanee pause. Mi risveglio dalla mia piccola bolla di serenità quando ormai la cadenza del piano è cessata. Un silenzio irreale pervade l'aria e quasi mi sento in colpa a doverlo spezzare con il mio respiro ansante. Ad un tratto, però, sento che qualcosa è cambiato: un senso di inquietudine mi pervade mozzandomi il fiato e l'atmosfera intorno a me è chiaramente mutata. Dall'essere serena e lieta è tramutata, assumendo caratteri angusti e inquieti.

Una risata roca riecheggia nel teatro in cui mi trovo, portando con sé un gelo tale da paralizzare le ossa. Dei brividi mi corrono per la schiena, purtroppo però sono incapace di comprenderne la tipologia: sono causati dal freddo o dalla paura?

Comincio ad agitarmi; mi volto e rivolto cercando la causa del mio turbamento. Percepisco distintamente gli occhi dell'entità sconosciuta sul mio corpo. Riesco a captarne perfino la presenza che, contrariamente alle mie futili speranze, si rivela essere dietro di me. Mi volto lentamente, aspettandomi di scoprire il volto a cui appartiene la risata sentita precedentemente, ma inavvertitamente vado a imbattermi nella maschera di uno scheletro. La figura è totalmente vestita da abiti neri che non mi permettono di riconoscere la sua identità, ma mi rendo conto che, anche volendo, non riuscirei a capirla perché il mio sguardo è incatenato ai suoi occhi, o meglio, alle X formate da led rossi che li ricoprono. Non riesco a distogliere lo sguardo ma poi il tremolio delle mie gambe aumenta eccessivamente portandomi a un'imminente caduta. Ho la vivida sensazione che la persona dinanzi a me stia ghignando al di sotto della maschera.

«Oh, mia cara e dolce Emily. Sei caduta? Di nuovo?» e ride. Ride come se non lo facesse da anni. Manifesta la sua crescente ilarità attraverso delle grasse risate, deridendomi, schernendomi.

Non riesco a parlare. Appena cerco di articolare una parola, anche se probabilmente tremolante, le uniche cose che si odono sono dei leggeri suoni, come se mi stessero strozzando e, in un certo senso è proprio così. L'impotenza nel difendermi, la pressione dell'inadeguatezza e il panico mi smorzano il respiro, soffocandomi. E poi il buio.

 E poi il buio

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BATTITI A PASSO DI DANZADove le storie prendono vita. Scoprilo ora