CAPITOLO 3

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Era tutto confuso. Flash di luce che continuavano ad andare e venire illuminavano le persone dei colori più disparati. Quella massa di gente che si muoveva a tempo con la musica sparata a tutto volume dalle varie casse appese alle pareti. Stava cercando di farsi strada tra quelle persone che si strusciavano addosso senza neanche vedere chi fossi, probabilmente non sentivano nemmeno più la musica muovendosi a caso. Riuscì finalmente ad uscire da quel casino di corpi e musica, trovandosi all'aria aperta.

Il mal di testa sembrò affievolirsi almeno un pò, ma tutto ciò che lo circondava continuava ad assumere forme diverse, a spostarsi senza logica. Pure la strada sembrava non stare ferma allargandosi e restringendosi improvvisamente rendendogli difficile camminare. Con un pò di fatica raggiunse i suoi amici, uno seduto sul cofano della macchina e altri due sdraiati per terra intenti a guardare il cielo ridendo a crepapelle. Tutto intorno c'erano bottiglie di birra finite sparse per terra e la musica che arrivava confusa dalla radio.

«Fabrì, finalmente sei arrivato.» l'altro salutò con un cenno della mano andando anche lui a sedere sul cofano dell'auto prendendo una birra. Rimasero in silenzio per un pò di tempo. Rifiutò un'altra pasticca di ecstasy che gli propose l'amico, era già abbastanza su di giri.

In quel momento gli stavano passando davanti tanti di quei pensieri che non riusciva nemmeno a tenerne uno stretto su cui riflettere a fondo. Si sentiva in balia del mondo e si sentiva grande. Rifletteva su tutto quello schifo che era la realtà in cui viveva, su quella società per cui si sentiva soffocare e in cui non riusciva a trovare una via di uscita. Una via per vivere a modo suo. Allo stesso tempo si sentiva così forte da credere di poter combattere tutto questo. Si vedeva con la chitarra in mano davanti a mille e mille persone che erano lì per ascoltare solo lui mentre cantava a suonava per loro. Magari in uno stadio come l'Olimpico di Roma. Al pensiero scoppiò a ridere senza fine.

«Amico sei proprio andato...dovresti andarci piano con quella merda.»

Ma Fabrizio non lo sentì nemmeno con quella finta euforia che scorreva nelle vene e gli riempiva il cuore. Sapeva che il giorno dopo si sarebbe trovato solamente con la nausea e una sensazione di malessere addosso che non se ne sarebbe più andato via. Non ci sarebbe stato nessuno stadio, nessun concerto, nessuna persona pronta ad ascoltare quello che aveva da cantare. Ci sarebbero state solo porte di varie case discografiche sbattute in faccia.

All'improvviso avvertì un caldo infernale, spalancò gli occhi: l'auto aveva preso fuoco, tutto intorno a lui aveva preso fuoco.


La prima cosa che avvertì appena riprese coscienza furono le voci agitate che lo circondavano e che continuavano a dire parole di cui non coglieva il significato.

Vedeva macchie bianche continuare ad andare avanti e indietro. La seconda cosa di cui si accorse fu quella di trovarsi in un bagno di sudore, sentiva la pelle andare a fuoco.

Non capiva assolutamente nulla, solo un gran male. Gliel'avevano detto che non sarebbe stato facile venirne fuori. Ma lui ce l'avrebbe fatta, almeno in quello non avrebbe fallito. Non seppe perché in mezzo ai brividi e a quella confusione totale pensò che doveva farcela anche per poter tornare a parlare con quel ragazzo tutto ossa e ricci. Gli venne da sorridere, mentre perse coscienza di nuovo.

Ermal si svegliò in quel trambusto, tra l'allarme che iniziò a suonare, l'infermiera che urlò di chiamare il medico e altre persone che corsero nel corridoio e il gran vociare. Si alzò andando a sbirciare fuori dalla porta per vedere cosa stava succedendo. Quel trambusto proveniva dalla camera di Fabrizio. Sentì il cuore iniziare a battere più velocemente per la preoccupazione e aspettò finchè tutto tornò tranquillo e un'infermiera si chiuse dentro la camera del ragazzo. Riuscì a fermare un medico tirandolo per la manica.

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