Capitolo 2

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Mi sento scuotere da qualcosa, o meglio qualcuno. Sposto la testa dal caldo cuscino, costretta da quei continui movimenti involontari delle mie braccia. Mia madre, ecco chi era! Come poteva non essere lei? D' altronde è casa sua e io abito qui con lei. Mugugno qualcosa di incomprensibile anche per me, forse perché non dico parole vere e proprie. Dalla mia bocca chiusa vengono fuori solo versi inesistenti per provare la mia stanchezza e la mia poca voglia di alzarmi dal letto.
- Cosa c'è? - dico a mia madre con voce assonnata.
- È ora di alzarsi, Harleen! - mi scuote un'altra volta, tutta sorridente - O farai tardi al tuo primo giorno di lavoro al...
- Mamma, sono le 7.00! La mia sveglia suona tra mezz'ora, lasciami dormire - la interrompo io, bruscamente. Sono rare le volte in cui la zittisco o in cui le parlo sopra, lo faccio quando sono molto stressata o irritata. So che non dovrei perché mi è sempre stata data un'importante educazione che ero praticamente costretta a rispettare, altrimenti... altrimenti niente, perché sono sempre stata ubbidiente e non c'è mai stato bisogno di punirmi o di farmi imparare qualche lezione.
- Una settimana fa mi hai chiesto si svegliarti prima del solito, così avresti avuto ancora più tempo per preparati, non ricordi? - mi spiega con un sorriso candido.
No, mamma, in realtà non ricordo di averti mai detto una frase del genere. È quello che vorrei dirle, ma probabilmente ho solo un vuoto di memoria e ha ragione lei.
Mia madre si alza dal letto, certa di avermi convinta ad alzarmi.
- E mi devi raccontare di ieri sera! - urla, mentre scende le scale per andare a preparare qualche strana, ma deliziosa, colazione.
Sbuffo, esasperata, levando il cuscino dal mio collo e buttandomelo sulla faccia. Almeno da questo lato è fresco.
Mi alzo di malavoglia e tolgo la sveglia che avevo impostato sul telefono, si sa mai che inizi a suonare e mia madre creda che si sia una bomba in casa. Sarebbe capace di farlo, credetemi. Vado in bagno e mi lavo ogni angolo della faccia. Prendo i miei trucchi e mi guardo allo specchio.
" E se optassi per qualcosa di nuovo? Di un po' più... marcato? " penso, frugando tra i miei rossetti, tutti di un colore chiaro e troppo simili tra loro. Mi sorprendo dei miei pensieri. Perché dovrei cambiare il mio trucco, così tutto d'un tratto? Tiro un lungo sospiro, lasciando cadere la pochette marrone nel lavandino umido.
" Oh, al diavolo! " penso, brandendo il mio fondotinta. Lo spalmo su tutto il mio viso alla perfezione. Lo faccio ogni mattina, ormai i miei gesti sono meccanici. Decido di usare l' eye-liner, anziché la mia solita e consumata matita nera. La mia mano trema leggermente, ma riesco a fare due righe quasi identiche.
" Di certo il pazzo che vai a curare non baderà a che marca di cipria hai messo stavolta, Harleen! " penso, mentre apro il tubetto di mascara. L'ultima cosa è il rossetto. Ne ho uno rosso? Non credo. E i miei dubbi diventano realtà quando finisco di svuotare la mia pochette e quella verde di mamma. Sbuffo e decido di usare quello che uso abitualmente: il più chiaro di tutti. È un rosa molto delicato, ma mi dona, anche se sono molto pallida. Controllo l'orario sul cellulare e noto che posso perdere tempo nel pettinarmi i lunghi e lisci capelli biondi. Ma proprio per quest'ultima loro caratteristica non ci impiego mai molto. Mi faccio il solito chignon ordinato, usando una marea di forcine e piccole mollette. Torno in camera mia per decidere il mio abbigliamento. Apro l'armadio colmo di vestiti tutti uguali, senza colore. Prendo una camicia bianca a maniche corte con qualche decorazione di pizzo su esse. Chiudo velocemente le ante e apro un cassetto. Cerco una delle mie gonne preferite e la trovo dopo pochi secondi. Prendo i collant color carne che avevo abbandonato sulla mia sedia ieri sera e li infilo pian piano, attenta a non strapparli. Metto la gonna blu che arriva un pochino sopra le ginocchia, poi infilo l'ultimo capo, afferro un golfino nero, lo ficco dentro la mia borsa dello stesso colore e scendo le scale. Evito lo sguardo attento di mia madre e prendo delle scarpe scure con il tacco a spillo piuttosto alto, ma le indosso così spesso da essere diventate comode.
" Dovrai affrontarla prima o poi, Harleen " mi ricorda la mia mente, mentre cerco una via di fuga per non parlare con mia madre. Tutto inutile, ovviamente. Mi rassegno e vado in cucina. Lei è seduta con un piatto di pancake invitanti. Li adoravo quando ero piccola. Me li preparava sempre insieme a papà. In realtà aveva imparato proprio grazie a lui a cucinarli. Era da tantissimo tempo che non lo faceva. In un altro giorno sarei stata super contenta, ma oggi no. Proprio no.
" Tempismo perfetto, mamma " penso, mentre estraggo gli occhiali dalla loro custodia e me li metto accuratamente, controllando che non ci siano impronte " Dio, mamma! Dovevi scegliere proprio il giorno in cui devo andare in un nuovo ospedale? Un giorno in cui ho più ansia del solito? "
- C'è anche dello sciroppo d'acero! - dice, riportandomi alla triste realtà. Ecco il mio altro punto debole. Li mangiavo sempre, abbondando con quell'ingrediente. Ricordo che lo mettevo solo quando non c'era la mamma, perché odiava quell'odore dolciastro.
- Ma se tu lo detesti - dico io, cercando di capire perché stia facendo la carina, più del solito. Forse è solo perché vuole che le racconti del mio appuntamento, ma non ci sono dubbi che lo faccia. Non è stata una bella serata, per niente. Mi sono vergognata dall'inizio alla fine e non dimentichiamoci le numerose figure di merda che ho fatto davanti a un uomo affascinante e pieno di carisma. In effetti mi ero stupita quando aveva iniziato a scrivermi. Immaginatevi la mia espressione quando mi ha chiesto di vederci in un super lussuoso ristorante della mia città Natale. Di certo non posso dire queste cose a mia madre che penserà, e spererà, soprattutto, che sia andato tutto a meraviglia.
- Dai, siediti e raccontami un po' cosa avete fatto tu e Derek - mi invita a sedermi di fronte a lei, battendo delicatamente e più volte la mano sul tavolo. Aggiunge un sorriso a trentadue denti quando vede che non mi muovo.
- S-scusa, mamma, ma faccio tardi! - dico io nel panico più totale, andando verso la porta.
- Ma hai ancora un sacco di tempo, tesoro! - protesta lei, non capendo la mia voglia improvvisa di scappare dalle sue chiacchiere.
- È meglio se arrivo in anticipo al mio primo giorno - spiego io, cercando di sembrare un po' di fretta.
- Ma la colazione? - si preoccupa lei, come sempre.
- Prenderò un caffè in ospedale - rispondo io, mentre apro la porta, noncurante se sta dicendo altro oppure no. In pochi secondi sono seduta nella mia piccola e fredda macchina bianca. Non sapevo che scusa inventarmi se non quella di fare una buona figura arrivando, fin troppo, tempo prima.
" Brillante idea, Harleen! " penso ironicamente di me stessa e della stupidaggine che ho appena fatto " No, davvero, complimenti! "
Parto immediatamente, perché so che mia madre sarebbe capace di uscire di casa e costringermi a tornarci dentro. Cosa che non voglio assolutamente. Guido lentamente per prendere un po' di tempo e per cercare di rilassarmi un po'.
8.39 è l'orario che segna la mia macchina. Va bene, ho ancora ventuno minuti per presentarmi al capo e ricevere il mio nuovo camice, prendere un caffè come avevo promesso a mamma ed entrare nel mio nuovo ufficio.
" Non dimentichi nulla, Harleen? " penso, mentre scendo dall'auto. Oh, e dovrei anche prendere il fascicolo del mio nuovo paziente. Dovrebbe consegnarmelo il capo, se non ci sono stati cambiamenti. E spero vivamente che non ci siano stati, perché mi sballerebbe tutto sulla mia tabella di marcia.
' Sei proprio fissata con questa tua tabella ' starete pensando voi. Beh, io organizzo la mia vita così. Ogni minimo e infimo dettaglio della mia giornata, settimana e vita. E mi piace, quindi non potete criticarmi.
L'ospedale è più simile a una prigione e odora di sangue mischiato alla birra e al fumo. Ma non il fumo che esce dalle sigarette, è più simile a quello di quando bruci qualcosa. Non quando bruci un po' di carne e allora diventa qualcosa di accettabile, ma quel pesante tanfo di quando viene bruciato qualcosa di grosso, come un edificio. Che abbia mai preso fuoco questo coso gigantesco? No, impossibile! È stato costruito solo qualche anno fa, su ordine di Batman. E ci hanno anche messo poco per assemblare qualcosa di queste dimensioni, credo perché l'uomo pipistrello avesse fretta di sbatterci dentro qualcuno. Dev'essere stato qualcuno di molto importante, immagino.
Apro la porta principale e supero delle guardie che sembrano statue da quanto stanno ferme. Non mi chiedono niente. Sapevano già che sarei arrivata oggi? Sì, per forza. Ma conoscevano il mio aspetto? Avranno visto una foto su Internet.
Continuo a farmi domande e darmi delle risposte che spero siano giuste. Attraverso a passo sicuro i corridoi semi bui, freddi e silenziosi, perché sì, ho anche studiato il tragitto che avrei dovuto fare una volta varcato l'ingresso. Salgo delle scale di marmo e per un po' trattengo il respiro, sentendo che qui l'aria sa più di fumo che di altro. Svolto a destra e busso a una porta di ferro.
- Avanti - dice una voce femminile, ma abbastanza profonda.
Entro, cercando di mostrarmi più sicura che posso e nascondendo l'ansia che sto provando in questo momento.
- Si sieda, prego - mi invita la donna, indicando con il capo una sedia verde imbottita.
È una bella donna di colore. Ha i capelli racchiusi in uno chignon ancora più ordinato del mio, gli occhi neri, e le braccia robuste. Per quel poco che vedo sembra bassa, ma indossa dei tacchi più alti dei miei, come se dovesse nascondere questa sua caratteristica.
- Lei è la dottoressa Harleen Frances Quinzel, dico bene? - chiede, ma senza distogliere lo sguardo dalle carte che ha sul tavolo. Non penso che aspettino altri psichiatri, ma in ogni caso dovrebbe avermi riconosciuta con la veloce occhiata che mi ha dato quando sono entrata. Dopotutto sono famosa in questa città.
- Sì, sono io - rispondo, sicura di me stessa.
- Io sono il suo nuovo capo, Miranda Gray - dice, allungando la mano verso di me, che non esito a stringergliela calorosamente - questo è il suo camice. Il suo ufficio si trova al secondo piano, numero 17.
Mi da un pezzo di stoffa bianco con la scritta Dr.ssa Quinzel in blu sul lato sinistro del petto. Lo indosso subito e faccio per ringraziarla, ma lei mi passa una cartella beige. È praticamente vuota. Sapevo che non dovevo preoccuparmi del mio paziente. Hanno così poche informazioni sul suo conto, perché probabilmente non avrà combinato molti casini. Lo dicevo che il supereroe della nostra città ci buttava dentro criminali a caso in questo orribile posto.
- Questo è il suo paziente - dice alla fine.
- La ringrazio - replico io, mentre apro il fascicolo del killer che devo curare. Lascio cadere le carte sulle mie gambe, stupita. E spaventata.
- Il Joker? - dico io, fissando la donna che siede di fronte a me, che si limita ad annuire distrattamente - è uno scherzo, vero?
Improvvisamente ho perso tutta la fiducia che avevo in me stessa. Non mi sento più la brava e famosa psichiatra che all'università non ha mai preso un voto che non fosse trenta, il massimo, il meglio. Inizia girarmi la testa e l'ansia che prima stava scomparendo lentamente, ora è piombata su di me e so che non so ne andrà tanto facilmente.
- No, dottoressa, - risponde il mio capo, appoggiando la mano destra, con cui stringe una penna blu, sulla sinistra - credo che lei sia una dei pochi, se non l'unica, a poterci aiutare. Forse non riuscirà a guarirlo del tutto, ma sono sicura che potrà fare grandi progressi con lei. Pensa di non esserne all'altezza?
Quell'ultima frase risveglia il fuoco dentro di me. Questa è una sfida e non posso certo tirarmi indietro. Farebbe anche una brutta figura sul mio curriculum pressoché perfetto. Mi rovinerebbe la vita, per sempre. Sto esagerando? Può darsi, ma ci siamo capiti.
- No, anzi, mi sento onorata di avere un compito di tale importanza - dico, accennando un sorriso, ma senza alzare gli occhi dalla foto di Joker.
Miranda annuisce e torna a scrivere qualcosa sui suoi fogli. Mi alzo in piedi e faccio per andarmene, ma qualcosa attira la mia attenzione.
- Non è che posso... - inizio la domanda, indicando la macchinetta del caffè che si trova in fondo all'ufficio del mio capo.
" Che sfacciataggine, Harleen! " mi pento un istante dopo. Miranda annuisce e io sfrutto la mia occasione. Prendo un caffè normale, senza zucchero, poi mi dileguo. Salgo altre scale e sento il freddo entrarmi nel corpo. Mentre percorro gli ultimi scalini mi agito ancora di più. Il Joker. Mi hanno affidato il Joker. Ora capisco tutti i complimenti dei miei colleghi che trovavo davvero strani. Loro sapevano già tutto, come Derek. Capisco il suo ultimo messaggio, che mi aveva spaventata. Capisco che dovrei esserlo davvero. Capisco perché mi hanno tolto tutti gli altri pazienti e perché mi abbiano assunta a tempo indeterminato. Non conosco i crimini che ha fatto, so solo che ha ucciso molta gente e derubato banche, case e molto altro. Dicono che sia folle, che riesca ad entrarti nella mente, a manipolarti e a farti morire lentamente mentre impazzisci. Un brivido percorre la mia schiena e non per l'aria fredda che gira nei corridoi.
Davanti al mio ufficio ci sono due guardie che non mi rivolgono nemmeno la parola. Sulla porta si legge chiaramente il mio nome e il numero 17. Un po' più in basso c'è una scritta sbiadita dal tempo. ' Terapia in corso. NON DISTURBARE ' è quello che riesco a leggere. Spingo la porta di ferro, ma faccio fatica ad aprirla per consentire il mio passaggio. È davvero pesante. Appena sguscio dentro sento un rumore metallico. Per un secondo mi fermo, impaurita, ma poi capisco che si tratta solo della porta che si è chiusa. Mi lascio sfuggire un sospiro di sollievo e appoggio le mie cose sul tavolo di ferro che si trova al centro della stanza. C'è una piccola finestrella sul muro di fronte a me. Sarà così piccola perché il Joker non possa scappare?
" Ma certo, Harleen! Quante domande stupide che ti fai oggi! " penso, distogliendo lo sguardo. Alla destra del tavolo c'è un piccolo carrello con dei libri impolverati che non mi azzarderò mai a toccare. Dalla mia parte c'è un cestino dell'immondizia in cui qualcuno ha buttato una lampadina vecchia di un secolo. Chi diavolo l'avrà sostituita con quella che penzola dal soffitto, come se stesse per cadere da un momento all'altro? Emana anche una strana luce bluastra che dà fastidio ai miei occhi. Allontano il bicchiere di caffè fumante dal fascicolo del mio paziente per evitare che si sporchi. Certo, le carte sono già diventate gialle a forza di stare rinchiuse in un cassetto per anni. Ci sono solo due fogli. Uno ha la foto di Joker e accanto qualche frase che leggerò tra un momento, sull'altro c'è un elenco lunghissimo che si divide anche in due colonne. La stessa cosa anche sul retro. Ci metto un secondo a realizzare che quelli sono i crimini che ha commesso. Devo dire che me ne aspettavo molti di più, ma leggerne alcuni mi basta per farmi rabbrividire. Riprendo in mano quello con la sua foto. I miei occhi si posano subito sui suoi capelli verdi tirati perfettamente all'indietro. I suoi occhi sono azzurri come i miei, forse un po' più sul verde. Mi rendo conto che avrò modo di accertarmene tra non molto.
" Eh, no, Harleen! " mi rimprovero da sola un secondo dopo " Hai sempre mantenuto le distanze con i tuoi pazienti e con lui è sicuramente d'obbligo! "
Ricomincio a guardare la foto per prepararmi al suo aspetto. Qui mette un po' d'angoscia, ma credo di poter resistere. Forse non ho paura perché il suo viso non si vede completamente, dato che ha il collo bianco tirato all'insù. Un'altra cosa che abbiamo in comune è la carnagione chiara, ma la sua sembra addirittura lattea. Le labbra sono carnose e di un rosso scarlatto, come se si fosse messo del rossetto. E dell'ombretto. Sugli occhi. Noto solo ora le macchie scure che ha intorno a quest'ultimi. Ha un piccolo tatuaggio sotto l'occhio sinistro. Sembra una lacrima fatta un po' male, troppo spigolosa.
Ritorno sulle sue labbra e noto che sono leggermente aperte, ma non abbastanza per vedere i denti. Vedo delle piccole cicatrici sopra il labbro superiore. Se le sarà procurate da solo? Mentre uccideva qualcuno che ha cercato inutilmente di difendersi?
Sposto lo sguardo a fianco, sulle poche parole d'inchiostro nero un po' sbiadito dal passare del tempo.

My King ~ Harley and JokerDove le storie prendono vita. Scoprilo ora