Arrivò un momento nella mia vita, in cui mi accorsi che era mutato qualcosa. In me e nelle persone che mi circondavano, quelle con cui passavo tutto il mio tempo. Non mi resi conto di quel cambiamento mentre accadeva. Accadde solo che, a un certo punto, mi guardai indietro e ripensai a tutto quello che mi era successo. Mi ero ritrovata a compiere azioni che qualche mese prima non avrei sentito mie. Scoprii lati del mio essere che avevo sempre represso, per vergogna. Mi chiesi se tutto ciò fosse giusto o sbagliato, bene o male. Mi chiesi quand'è che avevo iniziato a cambiare.
Prima ero una ragazza normale, all'apparenza. Mi sono sempre sentita diversa dagli altri, sola anche in mezzo alla gente. Nonostante fossi circondata da persone che dichiaravano di essere miei amici, quelli di cui veramente mi fidavo erano pochi.
Elizabeth, "Liz" come la chiamavamo noi, era la mia migliore amica dalle scuole medie. Non ricordo bene come lo diventammo. Successivamente lei mi confessò quanto le stessi antipatica nel nostro primo periodo di conoscenza. Poi, inspiegabilmente, iniziammo ad avvicinarci. Trovammo interessi comuni e scoprimmo quanto stessimo bene insieme. L'avevo sempre vista come la ragazza perfetta, colei che avrei sempre voluto essere. I suoi capelli erano biondi e lisci. Gli occhi fini, azzurri e profondi. Il suo sguardo era tagliente e fiero, rifletteva il suo carattere, altrettanto deciso. Alta e magra, sarebbe potuta diventare tranquillamente una modella, anche se non credo fosse nelle sue ispirazioni. Fisicamente eravamo praticamente opposte. Non che avessi un brutto aspetto, anzi. Molte persone si complimentavano spesso con me. Il mio fisico era comunque ben proporzionato e curvo al punto giusto, senza essere eccessivo. Il mio tono di pelle era più olivastro rispetto al suo, che invece era più pallido e delicato. I miei occhi erano grandi e neri; i capelli castani e ricci incorniciavano il mio volto di forma ovale. Ma più che per l'aspetto fisico, l'avevo sempre invidiata per il suo carattere autoritario e per la sua alta autostima, che la rendevano ammirata e amata da tutti; anche se spesso il suo carattere poteva risultare troppo realistico e freddo nei modi, io la accettavo e non provavo fastidio stando con lei.
L'altra persona, che avevo avuto al mio fianco da sempre, era Dylan. Da quanto mi ricordi non ho mai litigato con lui. Siamo sempre stati inseparabili, anche quando abbiamo iniziato a frequentare diverse compagnie. Anche se non ci sentivamo per giorni, quando ci rincontravamo tornavamo ad essere sempre i soliti. Nonostante le difficoltà, riuscivamo a ritagliarci sempre un piccolo spazio per noi. La sua sola presenza, per me, era rassicurante. Nonostante assumesse comportamenti infantili a volte, con me era consapevole di poter far trasparire il suo lato più sensibile e maturo, perché non l'avrei mai giudicato. Non l'avevo mai visto come qualcosa di più di un amico, e da parte sua era lo stesso. Forse c'erano stati dei momenti con cui l'avevo guardato con occhi diversi, ma in cuor mio sapevo che non avrebbe mai funzionato.
Sarei dovuta uscire con loro quella mattina. Era uno dei primi giorni di settembre, e a San Francisco l'estate sembrava passata da un pezzo. Il cielo era grigio, per via delle nuvole pesanti che lo ricoprivano tutto. Ogni tanto tirava qualche leggero spiffero di vento, che rinfrescava l'aria e la rendeva comunque una giornata piacevole per uscire. Le strade erano piene zeppe di macchine e taxi, tutti in coda uno dietro l'altro, a fare rumore con i clacson e con i propri motori. Sembrava che tutti avessero ripreso il proprio ritmo lavorativo, e l'atmosfera spensierata delle vacanze estive stava per essere surclassata dalla noiosa quotidianità dell'autunno.
Ero seduta su una sconnessa panchina di legno, posizionata di spalle rispetto al ciglio della strana, e mi guardavo impazientemente in giro. Era già da un po' che aspettavo, e stavo iniziando ad irritarmi. Anche se Dylan era sempre stato un po' ritardatario, in quel momento sembrava stesse volutamente ignorando tutti i miei messaggi e le mie chiamate. All'improvviso sentii un paio di grandi mani coprirmi gli occhi, e in un istante vidi tutto nero. «Buongiorno Cami, indovina chi ti ho portato...?» sentii la voce del mio amico, provenire dalla mia destra. Doveva essersi avvicinato e seduto mentre io ero assorta a guardare il telefono. Aggrottai le sopracciglia chiedendomi chi poteva essere, se non lui. Iniziai a tastare le mani, tentando di intuirne il proprietario. Le presi tra le mie, le soppesai, ma non riuscii a capire a chi appartenessero. «Ti do un indizio» Dylan mi si avvicinò, schiarendosi la gola. «Non lo vedi da tre mesi.» Il mio cuore saltò un battito. «D-Damian?» balbettai in modo insicuro. Le mani si spostarono lentamente, senza abbandonare totalmente il contatto con me. Mi girai di scatto e lo ritrovai lì, che mi fissava con i suoi occhi dolci. Esplorai con lo sguardo il suo volto, in tutta la sua durezza; i suoi zigomi sporgenti e affilati, e la sua mascella quadrata gli conferivano un'aria adulta e matura. I suoi tratti asiatici erano quasi opposti a quelli di Dylan, più morbidi e fanciulleschi. Indugiai sulla barba, che accennava a una leggera ricrescita. Probabilmente l'aveva tagliata da poco. Fissai intensamente i suoi occhi a mandorla, scuri come la notte. Spesso mi ci ero persa, in quei pozzi senza fondo. Sorrisi con tutta l'entusiasmo possibile e, appena feci il giro della panchina, gli misi le braccia al collo e lo strinsi forte a me.
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Bad Habits
RomanceEstratto dal testo:"Allentai la presa, ma non mi staccai del tutto da lei. Rimasi aggrappata alla sua maglietta, come se fossi una bambina piccola e non volessi lasciarla andare. Avevo paura che l'avrei persa per sempre, che se l'avessi mollata sare...