Noise

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Trentacinquesimo giorno di prigionia.

Mi sveglio al sorgere del sole, probabilmente sono le sei circa quando le prime luci del mattino iniziano a filtrare dalla finestra.

Non ho mai dormito molto in vita mia, ho sempre sofferto d'insonnia fin da piccola ma ora a causa dei pensieri che mi riempiono la testa dormo ancora meno, forse due o tre ore al massimo a notte.

La parte peggiore di stare rinchiusa qua dentro forse è proprio quella, i miei pensieri.

Non vedo un essere umano, non parlo con un essere umano da più di un mese ormai.

Sono sola, sola con me stessa e l'unica cosa che posso fare è pensare.

Sono sempre stata una persona solitaria, una di quelle che amano si stare in compagnia ma che tendono a isolarsi e stare per conto proprio il più possibile eppure ora più che mai vorrei qualcuno al mio fianco che mi facesse compagnia, qualcuno con cui parlare in modo da impedirmi di pensare così tanto.

Perché è questo che fa la solitudine, ti induce a pensare, e a forza di pensare finisci per impazzire.

Io non voglio impazzire, magari sto già impazzendo e non me ne rendo nemmeno conto ma so per certo che devo trovare un modo per uscire di qui, al più presto.

Mi siedo in un angolo e aspetto, non so cosa, forse che qualcuno venga a salvarmi, o a farmi compagnia, o anche solo a dirmi cosa sta succedendo, ma non accade nulla.

Il sole è alto in cielo, potrebbero essere le una come le due del pomeriggio quando sento dei passi nel corridoio, un rumore di chiavi che girano nella toppa e poi la porta della cella si apre leggermente.

Dopo qualche istante una mano appoggia a terra un piatto contenente una strana poltiglia.

Poi la porta si richiude così come si è aperta, le chiavi girano nuovamente nella serratura e l'uomo sconosciuto se ne va.

Ho provato a parlargli, nei primi giorni che ero qui, ma non ho mai ricevuto risposta.

Così mi sono arresa e ho lasciato che andasse e venisse una volta al giorno ogni giorno senza più dire nulla, alla fine mi ci sono abituata.

Aspetto un po', almeno fino a che non sento più il rumore dei passi nel corridoio, prima di avvicinarmi al piatto e raccoglierlo da terra.

Vado a sedermi sul letto e per poco non mi si rivolta lo stomaco alla vista di quell'orribile poltiglia che dovrebbe essere la mia razione di cibo giornaliera, perché un solo pasto al giorno è tutto ciò che ricevo, tutto ciò che mi tiene ancora in vita.

Sono così presa dai miei pensieri che solo quando sento un rumore di cocci mi accorgo di aver appena lanciato il piatto contro la parete di fronte a me.

Alzo gli occhi e vedo la poltiglia che cola lentamente dal muro fino a raggiungere le schegge del piatto andato in frantumi sul pavimento.

Sono stanca, sono stanca di stare chiusa qui dentro.

Ho fatto un gran fracasso lanciando quel piatto eppure nessuno è venuto a vedere cosa è successo, a controllare se fossi ancora viva o se non fossi scappata.

Forse non l'hanno fatto perché sapevano che mi è impossibile uscire di qui.

Le ore passano senza che nulla accada e il sole inizia pian piano a calare.

Ormai è buio pesto quando mi sdraio su quel letto duro e scomodo appoggiato alla parete destra della cella, chiudo gli occhi e cerco di smettere di pensare in modo da provare a prendere un po' di sonno ma è tutto inutile.

Non ci riesco proprio.

Potrebbero essere le undici come le tre di notte quando un rumore in lontananza giunge alle mie orecchie facendomi aprire di scatto gli occhi e facendo fallire il misero piano che avevo ideato per cercare di addormentarmi.

Dapprima non gli do molta importanza pensando sia un semplice rumore notturno proveniente dalla strada e torno a chiudere gli occhi, ma passano pochi minuti prima che il silenzio della notte venga interrotto di nuovo da un altro rumore, un rumore più forte, più vicino.

Questa volta il rumore è più chiaro, secco. E anche se non ne ho mai sentito uno in vita mia dal vivo non ci sono dubbi, è uno sparo.

Altri spari susseguono il precedente e poi delle grida, persone che corrono lungo i corridoi e altri spari ancora, il silenzio è finito.

Ormai ne sono sicura, non è fuori in strada ma è dentro l'edificio, ed è sempre più vicino.

Sta succedendo qualcosa.

HEY YOU,

ecco qui il primo capitolo della storia, non è molto lungo lo so ma i prossimi cercherò di farli più lunghi.

Come avevo detto nel prologo questa non è una delle solite fanfiction quindi prima di vedere Justin dovrete aspettare qualche capitolo.

Detto questo buona serata.

Ciao ciao

Reckless. (sospesa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora