Capitolo 3

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Apro piano gli occhi ma una forte luce al neon me li fa richiudere immediatamente.
Non appena mi abituo alla luce, noto che il mondo attorno a me è cambiato: una macchina segna piccole montagnole verdi su uno schermo; un continuo segnale acustico segue il mio battito cardiaco.
Tubi di plastica mi escono dalle braccia e un altro percorre la mia gola per permettermi di respirare correttamente.
Mi sento stordita, debole e vulnerabile. Ho le vertigini e in un nano secondo tutto viene risucchiato dal buio.
Luce e ombra si alternano per molte volte.
Quando apro gli occhi per l'ennesima volta, un uomo è davanti a me con una siringa.
Mi dimeno all'istante e cerco di gridare ma il tubo me lo impedisce.
-calma-  dice l'uomo. Ha una volce profonda, calda e quasi rassicurante.
- ora ti levo questo tubo che ti starà dando fastidio, va bene?
Wow. Nessuno mi aveva trattata come una persona. Titubante annuisco.
Egli fa quello che dice, poi si allontana leggermente e posa la siringa; su di essa è scritto in rosso : calmante.
- dovresti mangiare e bere qualcosa. Sei troppo debole, per questo sei qui.
Distolgo lo sguardo. Mille domande affiorano nella mia mente. Vorrei esporle ma non sono sicura di riuscire a parlare ancora.
Sbiascico qualche parola, ma egli mi fa segno di star zitta.
-Non sforzarti, in questo momento non riusciresti nemmeno a muovere un ciglio
Lo fulmino con lo sguardo.
- Be' sei più forte di quello che pensassi. Ora, cosa vorresti mangiare?-  Non rispondo.
Senti- mi dice - Non so come ti abbiano trattata nell'altro istituto, ma qui ora sei al sicuro- non credo alle sue parole.
-D-do-dove...-  provo a parlare, è strano sentire la mia voce, è strano parlare in generale.
-Sei al Jupiter Hospital. Non è male come sembra. Ti volevano trasferire qui perché credevano che fossi pericolosa. La polizia li ha fatti chiudere. Trattavano male i pazienti, non erano attrezzati a dovere-  non voglio sentire un'altra parola a riguardo, non ora almeno.
-Da q-q-quanto sono q-qui?- È molto che non pronuncio una singola sillaba e anche una semplice frase risulta un'ardua impresa. Mi chiedo se sia sempre stato così difficile.
-Quattro giorni. Eravamo preoccupati visto che non ti svegliavi.
Voglio saperne di più su di me, perché mi trovo in un ospedale? e perché ero in un centro psichiatrico?

L'uomo prende di nuovo la parola prima di me  -Ti prometto di rispondere ad ogni tua domanda, per quanto mi sia possibile. Ma ora devi mangiare. Che le porto signorina? Sorride gentilmente. Inizialmente pensavo volesse azzannarmi ma poi ho capito che era un segno di amicizia.

- Posso mangiare quello che voglio?
- Certo. La nostra cuoca, Rosalba, è in grado di preparare qualsiasi cosa
-Lasagne
- Agli ordini!- Sparisce dietro la porta di legno: è verniciata di bianco ma avrebbe bisogno di essere ritinteggiata. Qui è tutto bianco.
C'è anche una finestra con le tende tirate ma riesco ad intravedere un'infinita distesa di azzurro. Il cielo.
Non me lo ricordavo così maestoso. Mi perdo in esso ma non lo temo. E se fossi libera? L'idea è talmente allettante da farmi svenire nuovamente.

A butterfly in a jailDove le storie prendono vita. Scoprilo ora