Capitolo 4

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Un' inebriante profumo di lasagne appena sfornate mi inonda le narici.
Mi alzo lentamente per poterle mangiare. Dei capogiri mi colgono alla sprovvista.
Tremo prendendo le posate. Svariati bocconi mi finiscono addosso ma non appena riesco a portarmi un pezzo di lasagna alla bocca mi sento invadere da una nuova sensazione carica di elettricità e adrenalina.  Mi sento di nuovo viva.
L'uomo di prima torna, nel frattempo ho mangiato tutto quello che era nel piatto.
- Ora che ho mangiato devi rispondere alle mie domande
-Va bene
-Prima di tutto, chi sei?
-Sono il dottor Nilson, Erik, se vuoi.
Ho 56 anni, una moglie e avevo una figlia: Lea. Aveva più o meno la tua età. Non sono uno psicologo né uno psichiatra ma se non vuoi parlare con loro, sono a tua disposizione
- se tua figlia aveva la mia età, quanti anni ho io? Qual è il mio nome? Perché sono in ospedale? Ho una famiglia?
- calma, ragazza. Una cosa alla volta.
Abbasso lo sguardo
- non ti stavo sgridando. Sta tranquilla.  Allora, la prima domanda era quanti anni hai,giusto?
Annuisco
-23 credo-  mi informa Erik. - Somigli molto alla mia Lea.-  continua  - Non so altro su di te. Appena la polizia ci consegnerà gli archivi dell'altro istituto, te li farò leggere.
-Grazie. Perché sei gentile? Non si tratta di una farsa per potermi far del male?
-No. Sono gentile perché la gentilezza è una virtù molto importante
-Virtù- sorrido appena. Mi sembra una strana parola.
Nel suo sguardo vedo un allarme fugace.
-Dovrai fare riabilitazione nel parlare, nel camminare e nell'interagire con gli altri. Non sappiamo quanto tempo sei rimasta chiusa lì, qui sei rimasta svenuta per quattro giorni. Dovrai permettere ai medici di aiutarti
-Perché?
-Beh se sei qui c'è un motivo, no? Si può aiutare solo chi vuole essere aiutato. E poi potrebbe essere l'unico modo per uscire di qui.
- Chi mi garantisce che non mi succederà nulla? Tu?
-Sì, io. Vedi, fai bene a non fidarti ma la vita a volte non ci lascia scelta, devi osare.
Volto lo sguardo verso la finestra, ora quello squarcio di cielo che mi era permesso di vedere è nero e punteggiato da un'infinità di puntini bianchi.
- Chi mi ha tirata fuori di lì?
-Io. Sono venuto con i paramedici e i pompieri.
-Pompieri?
-C'è stato un incendio.
- Mi hai salvata allora?
- Sì.
-Avresti potuto lasciarmi morire. Perché non lo hai fatto?
-Non ho potuto farlo con mia figlia, così ho deciso di farlo con altri.
-Lo avresti fatto a prescindere?
-Certo.
Rimaniamo in silenzio.
-Se mi fanno qualsiasi cosa ti prendi la responsabilità- affermo sicura.
- Ci sto. Ora riposa è tardi. Non vedrai gli psicologi fino a che non sarai in perfetta forma fisica.
-Okay.
-Buona notte.
Faccio un cenno con il capo e mi volto dall'altra parte. Ho dormito fin troppo e non ci sono tracce di sonno in me, solo domande.
Le parole di Erik mi volteggiano nella mente creando caos assoluto.
Cerco una posizione più comoda quando le rivedo: le ombre incappucciate. 

Sono qui.Urlo.

 Il mio grido sorge dal profondo e si allarga in tutta la stanza, così come il sole.

A butterfly in a jailDove le storie prendono vita. Scoprilo ora