1 - terrore

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Sono nata in Argentina nel 1976 durante il golpe, era cominciato mentre ero nella pancia. Le strade erano piene di posti di blocco e qualsiasi stranezza poteva farti finire in un centro di detenzione. In quegli anni sono sparite trentamila persone, per la maggior parte studenti, ma anche gay, lesbiche e alcuni adulti come mio nonno Horacio.

Avevo 6 mesi quando l'hanno sequestrato: arrivavano con le macchine verdi Falcon.

"Je suis un enfant de la Guerre" dice Paul Virilio.

Moi, je suis un enfant du Coup d'Etat.

Una hija del Golpe.

"Io ti allattavo e piangevo. Ti allattavo e piangevo"

Il terrore lo ciucci dal seno di tua madre.

Il terrore lo sfiori per strada durante i controlli militari, lo vedi in televisione mentre compra una Coppa del Mondo e la gente esulta di una felicità che è un pianto disperato in una ricreazione che dura troppo poco: i mondiali del '78.

Il terrore è una dimensione che non ti abbandona mai.

Siamo nel 2018 e l'Argentina ha voltato pagina, cresce e vige la democrazia. Ritornano i treni coi biglietti agevolati e i crediti per la prima casa, le pensioni per le casalinghe e gli aiuti dello Stato, ma l'Argentina non dimentica il terrore.

Il terrore non si dimentica una volta che lo impari.

Il terrore passa attraverso il sangue, da una generazione all'altra.

Il terrore è denso.

È pericoloso quando un popolo dimentica il terrore: il terrore non si deve dimenticare.

Golpe: il 24 marzo del 1976 ero nella pancia della mamma da tre mesi. Ha avuto le contrazioni ma mi ha tenuta stretta dentro. Nessuno era più al sicuro, potevi sparire per un capriccio.

Buenos Aires, febbraio del '77. Avevo sei mesi ed ero la primissima bambina della primogenita di una famiglia con 7 figli. Mio nonno mi chiamava "la nipote di mia moglie" perché gli faceva strano essere nonno, ma in realtà era troppo contento e sapeva che ne avrebbe avuti tantissimi, di nipoti, con 'sti 7 figli.

Mio nonno faceva il commercialista. Mio nonno era di sinistra. Mio nonno, abbiamo saputo da poco, era un dirigente dei Montoneros*. Si chiamava Horacio.

Be', quel febbraio, durante il matrimonio della secondogenita, le luci in Chiesa si spengono di botto. Qualcuno ha tagliato il filo dell'elettricità. Mio nonno, sull'altare, è nervoso e si guarda sempre all'indietro, come se aspettasse qualcuno.

Funzionava così, con loro. Agivano col terrore.

Il matrimonio lo fanno piazzando una macchina coi fari accesi davanti al portale della chiesa. Ho provato ad immaginare la scena, con gli abbaglianti puntati sulla schiena degli sposi e le ombre lunghe per la luce radente. E vedo tutto in bianco e nero.

Dopo la festa, dove il nonno appare sempre nelle foto guardando atrove, be', dopo la festa, il mattino dopo, si ferma silenziosa una Ford davanti casa.

Le Ford Falcon verde militare, di quelle che usavano loro per andare a prendere la gente, e non le rivedevi più. Mia nonna, Hebe, sulla porta di casa rimane congelata e le scende la pipì da sotto la gonna.

Mio nonno non sappiamo come né quando né se sia in effetti morto. Lo supponiamo. Sappiamo che è stato nell'inferno della Esma da qualcuno che ne è uscito, e rispettando la catena della memoria ce lo ha fatto sapere. Stop.

Mia nonna quando ha rifatto il passaporto le hanno scritto sullo stato civile: "nubile". Perché un desaparecido spariva ovunque, anche dall'anagrafe. Sparirono in trentamila. TRENTAMILA.

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