Capitolo 18 - Signore delle Memorie

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Improvvisamente lei sembrò tornare in sé, rinsavire. Agilmente si tirò in piedi di tutta fretta e mise almeno due metri di distanza tra noi.

I suoi occhi lucidi mi osservarono increduli e sgranati, mentre la mano correva al collo, dove poco prima le mie labbra si erano posate.

"D-devo andare!" Farfugliò confusa.

Le mie sopracciglia si avvicinarono tra loro mentre assumevo un'espressione mesta.

"Certo", confermai, "anche io".

Mosse due passi indietro senza riuscire a voltarmi le spalle; il petto che si alzava e abbassava veloce per seguire il ritmo sconnesso del respiro. Poi si girò e prese a camminare a grandi falcate verso il suo territorio, dall'altra sponda del lago.

"Gwenwyfar", la richiamai, alzandomi in piedi, le braccia dritte lungo i fianchi e un'espressione improvvisamente neutra a celare ogni mio sentimento.

Lei si voltò e mi dedicò un'occhiata fugace.

"Sappiamo dov'è la vostra tana".

Era un avvertimento. L'ultimo... Poi avrebbe dovuto pensare con il suo branco cosa fare, non avrei più potuto dire altro.

Annuì, con negli occhi una nuova ombra ad oscurare quel verde bosco. Poi se ne andò, senza aggiungere altro.

Poco dopo feci lo stesso. Si era fatto tardi.

Quando arrivai, la villa era avvolta nel silenzio più totale.

I miei passi echeggiarono sul pavimento di marmo scuro, rimbalzando sulle pareti e producendo un eco sinistro intorno a me.

Nonostante questo, sapevo dove fossero tutti, li potevo percepire come si percepisce la mano attaccata al polso. Perché in fondo era questo che il mio clan rappresentava... una parte di me.

O almeno era quello che avevo sempre creduto.

Le porte a doppio battente del soggiorno erano chiuse. Da lì proveniva un esile vociare; le spinsi lentamente e si aprirono con un leggero cigolio dei cardini dorati.

Ed eccoli... ogni singola faccia, immobile, impassibile, si voltò verso di me e i loro occhi mi inchiodarono dov'ero, sulla soglia.

Madre Ludivine era seduta al centro del soggiorno su una poltrona dallo schienale alto e vermiglio. Le gambe erano fasciate da pantaloni neri e le sue iridi erano puro ghiaccio brunito.

Nel totale silenzio avanzai di qualche passo fino essere davanti la padrona, lì chinai la testa rispettoso e rimasi immobile.

"Ci degni della tua presenza". Sussurrò, accavallando con lentezza le gambe.

"Mi rincresce, padrona". Risposi piano, senza staccare gli occhi dagli intarsi del tappeto persiano sotto ai piedi.

"Guardami". Sibilò perentoria.

Alzai gli occhi nei suoi. Il volto della vampira era una maschera di freddezza... poi vidi le sue narici fremere e i suoi occhi farsi due fessure minacciose.

"Cos'è questo odore?" Domandò, insinuando nella sua voce un gelo quasi percepibile sulla pelle.

Stava avvertendo l'odore di Gwenwyfar su di me e io non potevo mentire. Non più.

"L'odore di un licantropo, Madre". Risposi con voce incolore.

In quel momento mi sentii totalmente svuotato per provare qualsiasi cosa, tranne un vago senso di liberazione. Sapevo sarebbe dovuto succedere, prima o poi. Tenere un segreto a Madre era impossibile. E quel segreto mi gravava fin troppo nel petto. Quindi, se avesse voluto trascinarmi all'Inferno, le avrei facilitato ogni singolo passo... D'altronde era quello che meritavo per il mio tradimento, soprattutto perché non rimpiangevo nulla di quello che avevo fatto.

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