Epilogo

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"Ma tu sempre in bagno devi andare, prima di un concerto?"

Fabrizio non lo degnò di una risposta, continuando a sistemarsi i capelli, rendendoli ancora più spettinati.

"Te la sei poi fatta controllare, la prostata?" insistette Ermal, sistemandosi meglio l'auricolare dentro all'orecchio, per eseguire l'ultimo controllo dell'apparecchiatura, davanti al tecnico dei microfoni.

"Aho, e nun rompe'! Quanno scappa, scappa," ridacchiò Fabrizio, annuendo verso il tecnico, per confermare che sentiva bene.

Si avvicinarono all'uscita che dava verso il palco e il rumore della folla si intensificò. Le luci si attenuarono e le urla di dodicimilasettecento persone esplosero come un'unica voce. Non erano niente rispetto alle centocinquantamila di Pyongyang, ma gli ululati, i fischi, i cori improvvisati erano quelli che conosceva e a cui era abituato.

Ermal e Fabrizio si guardarono negli occhi e sorrisero. Poi si abbracciarono di slancio, tenendosi stretti. L'emozione del primo intero concerto insieme li travolse. Quell'album, che era stato concepito in Corea del Nord scrivendo canzoni nella spoglia camera d'albergo e poi nel volo di ritorno. Quel disco, che era semplicemente arrivato, non pianificato, non ponderato, ma che era uscito così com'era, come un figlio non programmato. Quelle canzoni, che non parlavano d'amore, di donne, di storie finite male, ma soltanto di vita, di scelte, di atti di coraggio e di amicizia.

Tutto il peso di quello che avevano vissuto piombò loro addosso, lì, al Forum d'Assago, solo una manciata di secondi prima di salire sul palco.

"E' ora," sussurrò Vigentini, la chitarra al collo e il plettro in mano.

Ermal e Fabrizio si staccarono, senza levarsi gli occhi di dosso, il cuore gonfio di una commozione impossibile da reprimere.

"Ci si vede su!" esclamò Ermal, scompigliando i capelli all'amico, per poi voltarsi e dirigersi verso l'entrata che dava sul palco dal lato opposto.

Fabrizio annuì, lo sguardo perso nel vuoto. Rivide i momenti più drammatici della fuga dallo stadio, con nelle orecchie ancora il rumore degli spari e delle grida, come gli accadeva ogni notte. Rivide Mi-Cha, Chin-Mae e pure la Park, ripassò con lo sguardo i volti fieri dei ribelli. Aveva seguito la rivoluzione leggendo ogni giornale e guardando tutti i tg che poteva. C'erano stati scontri, morti e feriti in entrambe le fazioni. Kim aveva reagito col pugno di ferro, l'America aveva minacciato di intervenire, l'Unione Europea aveva invitato alla diplomazia e la Corea del Sud aveva aperto le porte ai rifugiati nordcoreani. L'intera faccenda era avvolta da una cortina di mistero: le notizie dalla Corea del Nord provenivano solo da fonti del regime, e ai giornalisti era stato negato il visto per entrare nella nazione.

Fabrizio non aveva avuto alcuna notizia di Mi-Cha, Chin-Mae e degli altri ribelli. Morse le labbra e ignorò la commozione che gli risaliva dal cuore agli occhi, lottando per tenerla a bada. Per distrarsi mise piede dietro le quinte, tra il fumo che aveva invaso tutto il palco, come una nebbia, e i riflettori che danzavano come impazziti per aumentare l'attesa dei due cantanti. Avvicinò l'occhio ad un piccolo foro nel pesante telo nero che schermava le quinte. Una folla immensa attendeva in piedi con le braccia alzate come tanti rami ondeggianti, accarezzati dal vento. Davanti a lui, nel parterre, riversa contro le transenne, una fila di ragazze tra i quattordici e i sedici anni aspettava impaziente, con fasce annodate in testa, cartelloni inneggianti ai MetaMoro, e cellulari alla mano. Percorse con lo sguardo tutto il parterre, per poi concentrarsi sulle tribune. In prima fila vide una coppia che aveva attirato la sua attenzione, per un motivo che non sapeva spiegarsi. Lui - notò con un tuffo al cuore - aveva tratti orientali, ma non avrebbe saputo discernere se coreani o meno. Stava cercando di convincere una donna - più scura di carnagione e dalla fisionomia sudamericana - a sedersi, ma lei non ne voleva sapere e si dimenava con il resto del pubblico. La leggera canottiera aderente fasciava una pancia impossibile da nascondere: era incinta.

Siamo in missione per conto di DioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora